Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Scrivo questo saluto dall’altro emisfero, da Bariloche in Patagonia, dove mi trovo su invito del ministro del turismo argentino José Gustavo Santos che a gennaio ha dato il via a CocinAR, contrazione in questo caso di Cocina Argentina. Idea poderosa, fare di questo immenso paese una meta golosa, potente ma non originale perché è una via già percorsa da tanti prima, ad esempio dal Perù al quale il governo del presidente Mauricio Macri si ispira.

La novità è tutta a livello locale e ha tratti che mi hanno portato con la testa in Italia. Come noi siamo stufi di essere associati nel mondo a pizza e mandolino, così i nostri cugino dell’emisfero australe vorrebbero si sappia che vantano una biodiversità incredibile che non può essere confinata a carne e grigliate, per quanto eccezionali siano. Così ecco una struttura ministeriale andare alla ricerca di quei cuochi e quelle produzioni che con la loro contemporaneità sono in grado di fare la differenza.

Guai non essere nel solco delle tradizioni, ma è altrettanto importante non apparire datati, impolverati. In fondo è la lezione, meno di dieci anni fa, di Davide Scabin a Riccardo Felicetti. Al termine di una cena straordinaria, Felicetti chiese allo chef perché non avesse servito un piatto di pasta secca. Risposta: «Perché è banale». Poco tempo dopo, il produttore trentino tornò al Combal.zero e consegnò una busta di spaghetti a Scabin: «Chef, me li sbanalizzi». E così sarebbe stato.

E ora la storia si ripete, in altre forme e dimensioni. Rimane il fatto che ogni progetto che guarda al futuro, vuole mettersi alle spalle quelle banalizzazioni che offuscano anche le realtà più importanti salvando il meglio. Un po’ come dopo il bagnetto si getta via l’acqua sporca, stando bene attenti a non gettare via anche il bimbo.

Paolo Marchi,
testi di Gabriele Zanatta
 

Felicetti e Valentino, «Il più grande di tutti»

Come fare a sperimentare su un alimento così tradizionale come la pasta? Ce lo chiediamo spesso e la soluzione non è facile, anche a causa della retorica che avvolge il nostro mondo, pronto a magnificare impianti vecchi e stili in qualche caso un po’ datati. L’unico obiettivo che guida quotidianamente il nostro lavoro è uno solo: fare le cose nel modo migliore possibile.

Talvolta quest’esercizio conduce a qualche deviazione dal mainstream, inclusa l’esasperazione della tipologia: passiamo dai 18 mesi di test sul cavatappi trafilato in bronzo, incredibilmente complesso da gestire, al Valentino, un formato che abbiamo lanciato proprio in questi giorni.

Lo abbiamo definito «Il più grande di tutti noi» perché è il maggiore della nostra famiglia Monograno, perché porta il nome di mio padre ma anche quello del pilota su due ruote più grande che esista. È un superspaghettone del diametro di 2.5 mm, ottenuto dopo aver studiato a lungo diagrammi di essiccazione e trafila: quest’ultima, realizzata con fori singoli in una lega di bronzo e ottone, ha un massello di 2 metri.

Il piatto che trovate nella foto qua sopra l’ho fatto prendendo ispirazione da Alessandro Gilmozzi: Valentino al burro con qualche alice e un tozzo di panvecchio.
Riccardo Felicetti
 

I Ravioli di rana pescatrice della Francescana

Questo piatto ricorda molto i Ravioli di porri, foie gras e tartufi, il celebre Sogno di un francese di fare la pasta come un italiano, di cui parlammo in una newsletter di oltre 3 anni e mezzo fa. Solo che i ravioli, gli ormai proverbiali «contenitori di idee» di Massimo Bottura, in questo caso hanno un ripieno di fegato di rana pescatrice.

«E’ parte del mio percorso ironico», ci spiega il modenese dell’Osteria Francescana, il primo ristorante al mondo «Al momento dello stuzzichino vi avevo servito un macaron di coniglio alla cacciatora, un simbolo dell’alta cucina francese con un ripieno popolare e italiano. Al coniglio avevo però tolto il fegato. Che ritorna poi come ripieno di questo raviolo, fegato di rana pescatrice. Il coniglio però è ancora presente nella salsa al fondo, che viene unita a una bisque classica. L’arte è sempre un rimando di richiami, di elementi che tornano e si sovrappongono. È come concepisco io la mia cucina».

A noi rimane l’assaggio, uno scontro di mare e terra che deflagra lasciando sul campo reliquie molto saporite.
 

Lo Yaki soba dell'Iyo e la pasta senza confini

Yaki soba, letteralmente “soba saltata”, è uno dei piatti più importati e popolari della cucina giapponese. Quello in foto, davvero succulento, l’abbiamo assaggiato all’Iyo di Milano. Sono spaghetti di grano saraceno al salto, con ricciola e verdure. Ci spiega tutto il suo autore, lo chef monzese Michele Biassoni, classe 1987.

«Per questo piatto utilizziamo soba secca, importata direttamente dal Giappone: è fatta con farina di frumento e farina di saraceno. Utilizziamo il wok arroventato ad alta temperatura, saltiamo diverse verdure come cavolo cinese, cavolo cappuccio, carote, germogli di soia, funghi shiitake, bamboo, cipolla bianca, calamari e pesce bianco. Successivamente aggiungiamo la pasta e terminiamo di saltarla con della salsa worchester giapponese, cioè soia, frutta e verdura fermentata. E una nostra salsa a base di salsa tonkatsu, anch'essa a base di soia, sesamo e olio di sesamo, un filo di olio extra vergine italiano alghe nori e germogli di daikon».

La particolarità? «È ‘mantecata’ con olio extravergine d’oliva, per creare l'emulsione che usa molto nella tradizione della pasta italiana. In Giappone la soba si può gustare anche in brodo, calda o fredda, con base dashi e aggiunta di soia e mirin». All’Iyo “pasta” significa anche udon, «molto più spessi dei soba, composti farina di frumento: li saltiamo con le mazzancolle e una salsa di crostacei, e li terminiamo con katsuobushi, alghe e germogli».

E la pasta italiana? «Più che quella secca, mi manca la preparazione di quella fresca. Stiamo cercando soluzioni tipiche italiane con gusti e tecniche orientali. All’Iyo non ci diamo limiti, anche perché un tagliolino fresco all'uovo saltato al wok può essere molto interessante se condito nel giusto modo».
 

Lo spaghetto mantecato nel Chianti dall'Asinello

Senio Venturi, 38 anni, è uno dei volti in ascesa della gastronomia toscana. L’Asinello, in località Villa a Sesta a Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena, è ben ancorato al suo territorio, il Chianti. E non si accontenta di riprodurre lo stanco spartito della tradizione.

Il piatto in foto è uno Spaghetto mantecato all'alloro e olio nuovo con ceci e baccalà. Una pasta secca nella terra della pasta fresca? Perché no. «Come tutti i nostri piatti», ci racconta lo chef, «anche questo nasce dallo studio delle materie che ritroviamo nelle nostre campagne o nella tradizione locale. Utilizziamo il cece piccino di Pacina, coltivato in biologico dalla Pacina di Castelnuovo Berardenga. E spaghetti Fabbri http://pastafabbri.it/, uno dei più validi pastifici toscani».

Ceci e baccalà è un binomio classico del centro Italia. Ma qui si insegue un filone più contemporaneo: «Cerchiamo di lasciare il sapore degli elementi il più limpido possibile, aggiungendo aromi che ne esaltino le caratteristiche e aggiungano freschezza. Lo spaghetto viene mantecato con una base di brodo di alloro e olio nuovo extravergine d’oliva. Il baccalà è cotto sottovuoto a 64 gradi e messo a falde, così che uno può gustare il sapore al morso, con una nota sapida non costante e quindi sorprendente».

Il fondo di cottura del baccalà è montato e aromatizzato con mandorle tostate. «Quello che ci interessa è che la pasta funga da elemento aromatico neutro di base e renda il mix degli elementi diverso a ogni forchettata ma equilibrato al finale».

Considerazione conclusiva: «Nei decenni passati, la pasta secca ha sofferto un po’ l’ombra alle spalle della pasta fresca, frequente oggetto di sperimentazione degli chef. Ma non dobbiamo dimenticare che rappresenta un caposaldo della nostra cucina, e fortunatamente ha dato slancio a una moltitudine di pastifici artigianali che stanno portando ad altissimo livello la qualità delle materie prime e del prodotto finale. Per questo vale la pena darne lettura accurate e personali». Giustissimo.
 

Il Fusillo, scampo e sesamo nero dei Bros

Fusillo, scampo e sesamo nero. È uno dei piatti di pasta secca più chiacchierati dell’estate. Ma rimane in carta anche nella stagione invernale da Bros, ristorante “sorpresa dell’anno” per la Guida di Identità Golose 2017. «La voglia di amaro», ricapitola la genesi del primo piatto lo chef Floriano Pellegrino, «è impressa nella memoria del nostro palato sin da piccoli, quando ci abbuffavamo di cicorie otrantine. Da questo stimolo è nata l'idea di utilizzare il sesamo nero tostandolo e poi emulsionandolo per abbinarlo al brodo di scampi e rivitalizzare la sua dolcezza. Contemporaneamente abbiamo equilibrato il tutto con scalogno crudo in infusione di aceto rosso cinese: completa con la giusta acetosità e aromaticità».

Fusillo, scampo e sesamo nero

Ricetta per 4 persone

Ingredienti
400 g di fusillo gentile
180 g Sesamo nero
100 g Aceto rosso cinese
2 scalogni francesi
15 scampi

Procedimento
Pulire gli scampi della carcassa e dell'intestino e metterli da parte. Con il carapace, fare un brodo molto concentrato con il quale andremo a cucinare la pasta. Affettare lo scalogno affettarlo metterlo in infusione nell'aceto rosso per un giorno.

Tostare il sesamo nero e con un blender creare una crema aiutandosi con l'olio di semi. Quando tutti gli elementi sono pronti, cucinare la pasta in abbondante acqua salata. Quand’è ancora ben indietro di cottura, buttarla in una padella con il brodo di scampi. Quando è sufficientemente cremosa, tirare fuori e schizzare il piatto con salsa di sesamo nero. Adagiare i fusilli sopra, finire con gli scampi crudi temperati e lo scalogno acetato. Servire caldo, magari con una Birra Moretti Radler al limone.
 

Uno Spaghettone per il Tiglio

Il piatto in foto, Spaghettone burro alici, è una delle specialità simbolo di Enrico Mazzaroni, chef marchigiano del ristorante Il Tiglio di Montemonaco (Ascoli Piceno), chiuso a causa del sisma che ne ha compromesso la struttura. La solidarietà dei cuochi non si è fatta attendere: diversi ristoranti hanno voluto concertare cene a 4 mani per gli sfortunati ragazzi. Le occasioni nell’immediato sono 3. Ricapitoliamole.

Mercoledì 30 novembre cena a Roma con Davide Del Duca dell’Osteria Fernanda. Circa 50 posti disponibili, prenotazioni osteriafernanda@libero.it">osteriafernanda@libero.it, +39.06.5894333 e +39.347.4459593. Costo della Cena: 100 euro vini inclusi (selezionati da Paolo Trimani). Menu e altre informazioni qui.

Domenica 4 dicembre, nella sede dell’associazione culturale Cusvi a Castelfranco Veneto (Treviso), Enrico Mazzaroni e Gianluigi Silvestri cucineranno con Nicola Dinato, chef del ristorante Feva. Per costi e menu, clicca qui.

Giovedì 12 dicembre, il 4 mani sarà con Daniele Usai de Il Tino di Fiumicino (Roma). Prenotazioni +39.06.562 2778 e info@ristoranteiltino.com">info@ristoranteiltino.com. Costo della Cena: 90 euro vini inclusi (marchigiani, selezionati da Gianluigi Silvestri). Un’occasione per assaggiare lo spaghetto in foto. Mentre il resto del menu, si trova qui.
 

Le fettuccelle trasparenti di Pescion

Fettuccella di farro, scampi e ricotta. È un primo piatto goloso, incluso nel menu invernale del ristorante Pescion di Pescara. «La fettuccella», spiega Luca Mastromattei, chef 30enne di questo ristorante in ascesa nelle considerazioni di critica e pubblico, «è una pasta secca del Pastificio Monica Flarà di Basciano, Teramo».

Il farro è di genere pretuziano, «un seme autoctono, con basso contenuto di glutine macinato a pietra. Parliamo quindi di farine grezze, non raffinate e coltivate, prodotte e trasformate in azienda, senza prodotti esterni». La ricotta, di capra, viene invece dall’azienda De Vitis di Fara Filiorum Petri, nel Chietino (telefono +39.0871.70264): «E’ ottenuta da capre di razza Saanen, allevate con soli prodotti interni all’azienda». Gli Scampi «sono stati pescati in Adriatico della motopesca "Iolanda Madre", armatore Alessandro Camplone di Pescara. E non sono stati trattati». Più trasparente di così…
 

I Tagliolini con granchio, sedano e castagne di Epiro

I Tagliolini con granchio, sedano e castagne del ristorante Epiro, una deliziosa invocazione autunnale tra il mare e la terra, firmata da Matteo Baldi, co-chef con Marco Mattana di un bistrot che sta alzando sempre di più l'asticella della qualità, in zona San Giovanni a Roma.