Gentile {NOMEUTENTE}
Ci siamo appena lasciati alle spalle la terza edizione di Identità Chicago che da oggi, lunedì 3 ottobre, noi di Identità penseremo alla settima a New York. Che segna un importante debutto: quello della pizza. A Milano è una presenza costante da anni e lo scorso anno l’abbiamo celebrata per una settimana a Londra da Harrods grazie a Simone Padoan e Franco Pepe, ma oltre oceano, in America non ancora.

Bisogna cercare di capire quando i tempi sono maturi, quando è il momento giusto per presentare una novità. Da questa parte dell’Atlantico del Nord non è facile per noi italiani parlare di pizza. Certo, la conoscono tutti e tanti sono convinti sia un’idea a stelle e strisce. A Chicago ad esempio, quella Chicago Style ha ben poco in comune con qualsiasi pizza del Buon Paese. Nella forma del disco, con i bordi stretti e rialzati, nulla a che vedere con le nostre cornici arrotondate come dolci piccole colline, ricorda una quiche lorraine, una “vasca” rotonda nella quale trovi di tutto. E in un’abbondanza che stordisce, con la passata di pomodoro generalmente spalmata sopra come fosse panna o crema su una torta di compleanno. Per noi un’assurdità totale, anche un attentato al fegato, come annegare un etto di spaghetti in due o tre di sugo unto e bisunto.

Però noi siamo italiani e allora meglio informarsi e cercare di capire. E così la pizza, quella italiana, la nostra, pur con i mille distinguo che possiamo fare in patria, debutterà quest’anno a Manhattan, nella Scuola di Eataly Flatiron, grazie a Franco Pepe che prima sarà in lezione assieme con Lidia Bastianich e poi protagonista della cena assieme con i vari Bottura e Romito, Atala e Kenney, beato tra gli chef. Quando affermo che un pizzaiolo è un cuoco, uno chef specializzato in pizze intendo questo, una tessera in quel mosaico più vasto che è la ristorazione.

Paolo Marchi
 

I 10 anni di PizzaUp

Lieviti, farine, impasti, provocazioni culinarie, è pizza o non è pizza, il Manifesto della pizza italiana contemporanea con i più affermati giornalisti della gastronomia italiana, lo chef che lavora fianco a fianco con il pizzaiolo, il primo per respirare gli impasti, il secondo per apprendere gli equilibri. Questi i passati nove anni di PizzaUp, il simposio tecnico sulla pizza italiana ideato assieme a Chiara Quaglia, perché la pizza com’era non ci piaceva.

Il decimo compleanno è una tappa importante per tutti gli eventi, ma per me e Chiara lo è in particolare per un evento nato e cresciuto in casa nostra, nell'antico molino di famiglia, un incubatore annuale di novità e riflessioni che hanno dato natali e strumenti tecnici ai più tra i pizzaioli noti di oggi, quelli che hanno accettato le provocazioni e si sono messi in gioco per diffondere la buona cucina partendo dal piatto più popolare d’Italia.

Ora l’antico molino sede di PizzaUp (e dell’Università della Pizza) è diventato piccolo rispetto ai temi e alla numerosità di richieste di partecipazione, così come i confini italiani della pizza si rivelano sempre più angusti.
Ecco perché il decimo compleanno lo festeggeremo all’estero, a Dubai, la città che oggi più di altre mira a diventare il crocevia di culture, stili di vita e traffici commerciali. In un contesto di cucina, e non poteva essere diversamente dopo l’edizione 2015 costruita sulle relazioni di 3 importanti cuochi "stellati" (Heinz Beck, Nicola Portinari e Piergiorgio Parini). A Dubai perché è lì che si terrà la prima settimana della cucina italiana nel mondo, animata da decine di cuochi italiani riuniti nel consueto summit annuale, luogo e momenti ideale per parlare di pizza italiana a quel mondo che della pizza italiana ha spesso un’idea distorta. Saranno 3 giorni di sessioni tecniche, cooking show e relazioni congressuali sul tema del futuro della pizza (e la pizza del futuro) affidate (in ordine di programma) a Renato Bosco, Corrado Scaglione, Giovanni Marchetto, Gennaro Nasti, Beniamino Bilali, Lello Ravagnan, Massimo Giovannini, Antonio Pappalardo, Tony Nicolini, Franco Pepe, Simone Padoan, Giulia Miatto, Fortunato Ostacolo e Luigi Acciaio.

Piero Gabrieli
 

Nino Di Costanzo: pizzaiolo e chef, binomio perfetto

«Ah, proprio domani mi vedrò con Franco Pepe, che è un amico oltre che un grande professionista. Ragioneremo un po’ sulle pizze da portare alla lezione che terrà a Identità New York martedì 4 ottobre». Se si analizza il rapporto tra alta cucina e nuova pizza italiana, come stiamo facendo (vedi gli articoli su Ugo Alciati e Moreno Cedroni) un riferimento imprescindibile è Nino Di Costanzo, cui va attribuito il virgolettato sopra.

Lo chef ischitano del Danì Maison da tempo si confronta col mondo degli impasti, prima in sinergia coi fratelli Salvo, ora appunto con Pepe. Spiega: «E’ bello farlo perché mi piace sposare le tecniche di uno chef con un prodotto come la pizza. Io credo che il pensiero sull’abbinamento debba essere semplice, non occorra strafare. Me con l’esperienza tecnica e di cucina è possibile proporre un prodotto migliore».

Netta è la distinzione netta di ruoli: «Non mi permetto di entrare nel merito degli impasti, questo è un aspetto che sta al pizzaiolo. Posso solo ragionare in termine di accostamento, ossia se col tal condimento vada meglio un disco bianco o uno integrale».

L’esito di tale sinergia è «un’evoluzione straordinaria del mondo della pizza, che ne ha accresciuto la qualità. Dobbiamo dire grazie a tante persone, a iniziare da Enzo Coccia, che per primo ha espresso una visione nuova: quella che vede la pizza dialogare con le eccellenze del territorio». Ma attenzione, «credo anche che tale crescita debba porsi dei limiti: ossia i pizzaioli non devono staccarsi dal loro mondo. Altrimenti si rischia di combinare pasticci. La pizza deve rimanere un piatto semplice».

Però senza barriere. Di Costanzo è certo legato alla tradizione della sua regione, ma senza il paraocchi: «In questi anni si sono sviluppate “scuole” diverse, è un allargamento dei confini che fa solo bene e che tra l’altro ha avuto ottimi esiti. Per dirla in altre parole: anche da chi ha una visione diversa da quella napoletana, penso a Simone Padoan o Renato Bosco, si mangia una pizza straordinaria». Certo, pizza partenopea e gastronomica «sono prodotti diversi. Noi in Campania abbiamo una certa visione di base, ma il mondo cambia e tale trasformazione non va demonizzata. C’è tanto da fare, tante opzioni possibili: io sarei lieto, ad esempio, se si riprendesse la tradizione della doppia cottura, prima fritta e poi nel forno a legna, o viceversa».

Carlo Passera
 

Come era... è a Moncalieri, il nostro assaggio

Ne avevamo dato l’anteprima a luglio e oggi, a due mesi dall'apertura, siamo andati a provarla. Stiamo parlando della nuova pizzeria Come era… è a Moncalieri, in provincia di Torino (corso Savona 17. Tel. +39.011.641925. Aperto a pranzo in settimana e tutte le sere), la primogenita del format Pizzeria Gourmet di Giuseppe Acciaio, amministratore della Gma Import Specialità di Pompei.

Tante le novità, in primis la macchina per impastare a mano brevettata con il brand AT da Luigi Acciaio, formatore di pizzaioli gourmet e presidente dell’Associazione Pizza Napoletana Gourmet: «Sono molto fiero di questa mia invenzione: oltre ad aiutarci nel lavoro, ha anche un appeal sui clienti che la vedono all’opera» ci spiega. Stiamo parlando di un impastatrice assistita posta al centro del locale dove ogni sera uno dei pizzaioli dà spettacolo con una vera dimostrazione pratica, «il movimento rotatorio aiuta a dimezzare i tempi di lavorazione (4 minuti per 16 chili di impasto) e gli ingredienti vengono mixati con più facilità. L’impasto è idratato al 70% con Petra di tipo 1 e 2, ma se uso una farina integrale, come Petra 9, arrivo anche al 90%».

Farina, acqua, lievito liquido ricavato dalle birra belghe di loro produzione e sale marino integrale: questa la base dell’impasto che viene messo a lievitare per circa 28/36 ore.

Le pizze sono cotte nel forno elettrico con piano refrattario che non fa disperdere il calore e mantiene la temperatura a circa 480 gradi, per una pizza croccante e morbida allo stesso tempo.

Tre i pizzaioli, Michele Conforti, Vincenzo Aprea e Andrea Baldassarre - che sia alternano tra loro nella preparazione, cottura e farcitura: «La nostra pizza viene lavorata fuori dal forno e molti sono i prodotti messi a crudo: ad esempio su una base bianca viene aggiunta mozzarella di bufala, basilico e olio evo a crudo al cui centro c’è una scenografica cascata di prosciutto».

Per il topping solo il meglio delle eccellenze italiane come la mozzarella di bufala campana dop Ella ed il pomodoro corbarino I Sapori di Corbara, pomodoro del Piennolo del Vesuvio dop e pomodorini giallo del Vesuvio (nella foto, la pizza Pomo D'Or: pacchetelle di pomodorino giallo L'Orto di Lucullo, fior di latte e fior di ricotta di bufala Ella, basilico Dop, aglio fresco e olio evo Dop Pregio), oltre a molti presìdi Slow Food.

«Stiamo avendo molto successo. La pizza che va di più? La Cetarese con filetti di tonno, sgombro e alici di Cetara, mozzarella di bufala campana dop, pomodorino corbarino in acqua e sale, origano, basilico, olio; la Lardo e fichi caramellati del Monte Somma al peperoncino e la Fassona, un omaggio al Piemonte, con base focaccia Petra 3 e 9 del Molino Quaglia, carna cruda di Fassona tagliata al coltello, capperi di salina, senape, pappacelle e olio evo».

Tania Mauri
 

La favola di Santarpia, dalla Campania a Firenze

“Da Castellamare di Stabia a Firenze: Giovanni Santarpia ha portato nella città toscana colori e sapori della tradizione gastronomica napoletana”, leggiamo nella scheda a lui dedicata sul sito di Petra. Bella la storia, quella di questo classe 1973 che il forno a tolto dalla strada, «nel 1988, dunque da adolescente, i miei genitori vollero che mi trovassi un’occupazione. Così andai a fare il ragazzo di bottega in una pizzeria». Fatale fu qui l’incontro con Espedito Raffone, già panettiere e pizzaiolo: «Si mise a darci delle dritte sugli impasti».

La passione nasce dunque per caso, ma poi viene supportata da dedizione e sacrifici: «Nel 2006 provai a mettermi in proprio, con la mia Palazzo Pretorio a San Donato in Poggio», una frazione di Tavarnelle Val di Pesa, 40 minuti abbondanti da Firenze. Fu l’inizio di un successo che si è trasferito nel nuovo indirizzo, denominato proprio Santarpia e inaugurato nel dicembre scorso in largo Pietro Annigoni 9/C, proprio a Firenze (tel. +39.055.24.58.29. Aperto solo la sera, chiuso il martedì): impasto con un blend di farine 0 Special e Unica di Molino Quaglia, doppia lievitazione dalle 30 alle 48 ore, impasto molto idratato, stesura a mano, «è un modo per avere un disco non duro, con alveoli».

La pizza è di tipo campano doc, ma non partenopeo classico, «invece dei 50 secondi di cottura (in forno a legna) prediligo tempi più lenti, diciamo un minuto e mezzo, come si fa a Tramonti o Gragnano». In questo modo il cornicione alto è croccante fuori e tenero dentro, «evito l’effetto gommoso che amano molto a Napoli, ma qui a Firenze è poco popolare perché considerato di difficile digestione».

Per il topping Santarpia sceglie la strada delle poche varianti (in menu le pizze sono una dozzina, ma cambiano spesso a seconda della stagionalità e ci sono sempre un paio di proposte del giorno), per avere sempre prodotti freschi e d’eccellenza, «punto sulla qualità e l’equilibrio».
CP
 

Pizza d'autore 1: al Relais & Chateaux di Andrea Mattei

Quelli della panificazione intelligente e della pizza sono mondi che dialogano sempre più con l’alta cucina. Un’ennesima prova l’abbiamo avuta ai tavoli di un prestigioso Relais & Chateaux italiano, il Borgo San Pietro di Chiusdino (Si), chef Andrea Mattei. Sontuosa la cornice, encomiabile il lavoro che Mattei sta portando avanti nel grande orto con Davide Rizzi, esperto di agricoltura biodinamica.

La sistemazione della parte dedicata al food, che sarà operativa alla riapertura primaverile, doterà il ristorante gastronomico di un forno a legna a vista, ma ce n’è uno già oggi e cuoce tutti i lievitati maison, a iniziare dalle pizze servite nella seconda insegna mangereccia della struttura, il Treehouse, sorta di trattoria toscana d’alto livello.

Qui il pasticcere di casa, Diego Poli, classe 1988, ha elaborato un impasto per le pizze poi “firmate” dai pizzaioli Daniele Paladini e Alessandro Anastasio: farine selezionate, lunghe lievitazioni fino a 48 ore, lievito madre di 81 anni cui si abbina pochissimo lievito di birra, «quando stendiamo l’impasto aggiungiamo un poco di semola, di farina di grano e farina di ceci», racconta Mattei.

Il topping varia spesso, così da prevedere oltre alle classiche varianti, altre basate su ingredienti di stagione. Noi abbiamo assaggiato una gustosissima pizza coi primi funghi porcini di stagione.

Come mai la pizza in un Relais & Chateaux? Spiega Mattei: «Vogliamo offrire alla nostra clientela, che è in massima parte costituita da stranieri, un’esperienza a 360° della grande cucina italiana, e io penso che la pizza ne faccia pienamente parte».

Ma al Borgo San Pietro c’è attenzione per tutto il mondo dei lievitati. Il pane è a lievitazione naturale, frutto di prove su prove fatte da Poli.

Autoprodotti anche grissini e crackers, questi ultimi con una particolare tecnica «che mi ha insegnato l’amico pizzaiolo Massimo Giovannini, dell’Apogeo di Pietrasanta». In sostanza gli scarti del lievito madre accumulati con la pulitura vengono recuperati, frullati con acqua, poi stesi e messi in forno, in modo da ottenere crackers deliziosi, serviti con una crema di latte affumicato di pecora, quelle del Borgo San Pietro, ovviamente. Snack da re(lais), proprio.
CP
 

Pizza d'autore 2: al Turin Palace di Stefano Sforza

Altro esempio di brillanti, giovani chef che si “convertono” alla pizza è quello offerto da Stefano Sforza (ne abbiamo recentemente parlato qui), del ristorante Les Petites Madeleines al Turin Palace Hotel, ovviamente a Torino. Per tutta la stagione estiva ha proposto pizze gourmet nel suo ristorante gastronomico; e presto l’offerta tornerà, in vista del Natale.

Tre le varianti proposte, a rotazione: la Venere (nella foto), con impasto a base di farina di riso Venere, farina macinata a pietra, lievito madre e miele, nella farcitura protagonisti pomodorino nero confit, scampi, burrata di Andria, fiori di zucca, insalata mizuna e basilico; la Selvaggia (impasto creato da una miscela di farina integrale e farina macinata a pietra ottenuta dalla macinazione del grano duro Cappelli), arricchita con carne di cervo marinato per 12 ore con anice stellato e bacche di ginepro, crema di mozzarella e crema di fave aromatizzate allo zenzero, più una spugna di pepe nero; infine la Piemontese, topping di carpaccio di Fassone, robiola di Roccaverano, mozzarella fiordilatte e fichi. Il gusto particolare dell’impasto era dato dall’aggiunta di un cucchiaino di caffè.

Spiega Sforza: «Anche se non siamo una pizzeria abbiamo voluto proporre una pizza, peraltro con impasti un po’ particolari e lunghe lievitazioni, su richiesta dei clienti del nostro hotel. Ha funzionato benissimo, soprattutto quella con l’impasto a base di riso Venere e condita con gli scampi, la più “estiva”. Ora abbiamo sospeso la cosa, perché richiede molto tempo, ma la riproporremo a breve».

Il modello di riferimento per lo chef è stato quello della pizza napoletana classica, con cornicione alto, poi completamente rivisitato nell’abbinamento. «E abbiamo anche realizzato delle pizze al tegamino, siamo pur sempre a Torino…».
CP
 

Daniele Gourmet raddoppia: dopo Eboli, Avellino

A pochi mesi di distanza dall'apertura di Daniele gourmet – Pizza e Fritti a Eboli (Sa), Giuseppe Maglione fa il bis con il nuovo Daniele Gourmet – Pizza e Cucina ad Avellino, all’interno dell’ex locale di famiglia completamente ristrutturato (Viale Italia 233. Tel. +39.0825.33451. Aperto tutti i giorni a pranzo e a cena).

Nato con “le mani in pasta” - sua nonna Anna Daniele vendeva pizze fritte già nel 1965 - Giuseppe ha scelto di partire dalla tradizione arricchendola di creatività, nuovi abbinamenti e miscele di farine rinnovate. Una diversa idea di pizza, la sua, ottenuta esclusivamente con prodotti locali e italiani, freschi di stagione e provenienti dai migliori artigiani campani.

Talento, caparbietà e ricerca sono le qualità di Maglione, che ci spiega: «Sono convinto che in questo momento storico così felice per la pizza noi pizzaioli siamo chiamati a rivoluzionare la nostra attenzione alla materia prima. La pizza può trasformarsi – come sta già facendo in alcuni casi – in un'ambasciatrice della nostra terra, motivo per cui prediligo gli artigiani locali e chi lavora con etica ed attenzione».

Per questa seconda apertura, insieme al ricco menu della pizzeria (presenti anche le pizze senza glutine che hanno un piccolo forno dedicato), non manca la cucina classica con proposte del giorno scelte in base ai prodotti di stagione dove si predilige – come tradizione per la famiglia Maglione – una cucina espressa di mare.

E quindi dai classici antipasti campani - crocchè di patate misto, arancino con Arborio e integrale al ragù, frittatina napoletana con mortadella di Bologna Igp, mozzarella panata, montanara - alle pizze vegetariane come la Margherita Antica con Antico Pomodoro di Napoli “Il Miracolo di San Gennaro”, mozzarella di bufala campana Dop del Caseificio Costanza, olio evo Dop Torretta e basilico fresco. Poi proposte creative, come la pizza Violetta (nella foto) con patata viola, provola affumicata di Agerola, speck dell'Alto Adige Igp, caciocavallo irpino Azienda Agricola Mariconda, pomodorino del Piennolo confit, olio evo Dop. Infine impasti particolari: al limone per la Gamberi e Agrumi con fior di latte di Agerola Fior d'Agerola, gamberi di Mazara del Vallo, fette di limone e arancia, olio evo Dop; o alle noci per la Pere e Gorgonzola (è vegetariana) con fior di latte, pere fresche, gorgonzola Dop, miele e olio evo Dop. Ricca carte dei vini e delle birre.
TM
 

Pizza e cucina, Callegari a Roma fa tris con Sbanco

Se fossimo agli esami di maturità potremmo dire che anche la terza prova è stata brillantemente superata da Stefano Callegari. Il mago del Trapizzino, il celebre triangolo di pizza che ha stregato persino New York, ha aperto, dopo Tonda e Sforno, il suo terzo locale, Sbanco (via Siria 1. Tel. +39.06.789318. Aperto solo la sera).

Il locale è formato maxi, con grandi vetrate, look metropolitano e un lungo bancone all’americana; nasce dall’unione di “tre moschettieri romani” della buona tavola e del bere birra: Stefano Callegari, Giovanni Campari del Birrificio del Ducato e Marco Pucciotti, noto imprenditore della ristorazione.

Anche qui si conferma la regola che “dietro a un grande uomo c’è una grande donna", visto che la cucina è dominata da Sarah Cicolini, ex Metamorfosi di Roy Caceres. Oltre a ideare nuovi piatti e alla mise en place per il disco bianco, si occupa degli antipasti, dei primi e dei secondi, degli sfizi e dei dolci.

Ingredienti di prima qualità e grande attenzione alle materie prime anche per le pizze, sfiziose, intriganti, creative e, semplicemente, buone. Geniale il Rosettone di pizza con la mortadella (nella foto); piaciona, golosa la Cacio e pepe (da dividere perché impegnativa se mangiata intera), che presuppone una cottura molto particolare del disco bianco su cui viene distribuito del ghiaccio: solo fuori dal forno viene aggiunto il pecorino romano Dop per creare l’effetto crema... E ancora: perfetta la classica Margherita, audace la Colpo di code con coda di rospo, coda alla vaccinara e cacao.

In attesa che venga installato l’impianto di produzione per la birra al piano inferiore si può scegliere tra 15 birre alla spina da gustare al bancone o la tavolo.
TM
 

La Bufalaccia a Palermo punta tutto sui gusti forti

Ogni città in Sicilia ha la sua pizza. Che sia lo sfincione palermitano, la scaccia siracusana, u pituni o la focaccia messinese, il pizzolo ragusano, la schiacciata catanese o la pizza siciliana dell’Etna (che in realtà è un calzone fritto), hanno tutte una base comune fatta di farina, acqua e lievito, ma sono farcite e cotte in maniera diversa.

Noi però abbiamo trovato a Palermo una pizzeria, La Bufalaccia (via Principe di Palagonia 4F. Aperto solo la sera), dove poter mangiare una buona pizza napoletana, con il cornicione per intenderci, esaltata da ingredienti locali.

Farina, pomodoro San Marzano Dop e mozzarella Dop sono di origine campana. Il pizzaiolo, di scuola partenopea, crea un blend di farine a cui aggiunge, in una percentuale minore rispetto al totale, quelle di grani siciliani (Tumminia e Russello). Utilizza il lievito madre che rinfresca ogni giorno e il suo impasto ha tempi di maturazione e lievitazione dalle 24 alle 36 in atmosfera controllata prima e ambiente poi. Il forno è a legna e le pizze vengono cotte a 350/400 gradi.

Molte le proposte, tra antipasti, fritture (panelle e timballi in primis) e pizze, tantissime pizze divise tra classiche, fritte, “tradizione quasi napoletana”, gusto ricco, territorio siciliano, del posto, la Bufalaccia, la tramontina... Notevole la Monrealese, ridondante come la cattedrale del luogo cui è dedicata, con ricotta di pecora, cipolla rossa a crudo, caciocavallo, pangrattato, pomodoro, acciughe e pomodoro fresco. Da segnalare anche la Verdure grigliate, con miele di ape nera sicula e mozzarella di bufala; o la Nebrodi con i gusti di quei monti della Sicilia orientale, quindi pomodoro, mozzarella fior di latte, provola affumicata, ricotta di pecora infornata, guanciale di maiale al pepe nero, salame di Sant’Angelo e pistacchio di Bronte.

Se proprio dobbiamo fare un appunto, dobbiamo dire che le pizze sono fin troppo cariche, per cui si perde il sapore dell’impasto e dopo averne mangiata una diventa impegnativo affrontare i dolci, peraltro molto golosi. Ma sembra che i siciliani le amino così, copiose e ricche. (Nella foto, la pizza Pesto di pistacchi, salsiccia, ricotta di pecora, scaglie di grana e olive nere).
TM
 

Enzo Coccia il 10 ottobre con Le Tavole di Identità Golose

E proprio il succitato Enzo Coccia della pizzeria La Notizia di Napoli sarà il protagonista – dopo Renato Bosco e Franco Pepe - del prossimo appuntamento con Le Tavole di Identità Golose, in programma al ristorante Bioesserì di Milano il prossimo 10 ottobre alle ore 20. Il menu prevede Bianca di kamut al gorgonzola con alici, crema di zucca e i suoi semi, poi Pizza fritta con ricotta di bufala, fiori di zucca, pepe nero, la Margherita Dop con pomodoro San Marzano Dop, mozzarella di bufala Dop, pecorino romano Dop, basilico, olio extravergine di Oliva Dop, quindi Andiam per funghi (ossia velatura di pomodoro San Marzano, mozzarella di bufala affumicata, pomodorini del Piennolo, funghi pioppini, Grana Padano, basilico, olio extravergine di oliva) per finire con un Bignè croccante al fondente e vellutata di zucca e il caffè Lavazza.

Il costo è di 40 euro con abbinamento di champagne incluso, per prenotazioni tel. 800.825.144 (numero attivo da lunedì a venerdì dalle ore 9.30 alle ore 18) o presso il Bioesserì al tel. +39.02.89071052.