Newsletter 488 del 10.06.2016
 
 
Gentile
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  (Ri)uniti per la pizza, così martedì scorso abbiamo titolato nel nostro sito il pezzo che Carlo Passera ha scritto dopo la presentazione da Alice, il ristorante di Viviana Varese e Sandra Ciciriello all’interno di Eataly Smeraldo a Milano, di Where to eat pizza.

Un mese fa ero rimasto davvero male per il coordinatore dell’opera, Daniel Young, e per i pizzaioli più acclamati per la cancellazione a Caserta, alla Reggia, non nelle cloache, dell’anteprima di una pubblicazione che premia largamente Napoli, la Campania e l’Italia. Purtroppo però il migliore pizzaiolo, Franco Pepe, è di Caiazzo in provincia di Caserta e non del Vomero o di via dei Tribunali. Da qui il dipanarsi di un butto episodio che a Milano abbiamo in parte cancellato.

Nel locale c’erano tutti i migliori pizzaioli secondo il team di Young, un americano che vive a Londra, mancava giusto Simone Padoan, impegnato vicino Padova. Sono orgoglioso di questo, di avere fatto in modo che professionisti ben diversi tra solo si ritrovassero tutti assieme a parlarsi e confidarsi nel nome della pizza. Che poi sia avvenuto a Milano la dice lunga su quanto vi sia da fare perché la nostra ristorazione faccia sistema, dentro e fuori il Buon Paese.

Paolo Marchi

 
     
     
     
     
 
50 Best: entra Romito, suspance su Scabin
 
     
 

Con la cerimonia per i 50 Best alle porte (sarà lunedì sera a New York, Paolo Marchi sarà là a seguire gli italiani, incrociando le dita per Massimo Bottura) è stata resa nota la classifica per quando riguarda i piazzati tra il 51° e il 100° posto. Entra Niko Romito (nella foto), esce Davide Scabin, che era al 65° posto, dopo essere stato 51° nel 2014 (ma questa potrebbe anche essere una buona notizia). Cinque considerazioni principali.

1 - Entra finalmente in classifica Niko Romito, e per la verità la cosa curiosa era che già non ci fosse. E’ all’84° posto, ma ha tutte le carte in regola (e la stima anche a livello internazionale, vedi – tanto per dire – questa nostra intervista a Mauro Colagreco, per la 50 Best dello scorso anno il migliore di Francia, all’11° posto) per crescere ancora.

2 - All’86° posto c’è Umberto Bombana, molti se lo dimenticano perché il suo 8 ½ è a Hong Kong. Ma il passaporto è quello giusto. Per lui il piazzamento è agrodolce: era 62° nel 2015.

3 - A proposito di discese: male Le Chateaubriand di Inaki Aizpitarte, giunto 74°. Solo l’anno scorso era 21°. Nel 2011 e 2010, rispettivamente con il nono e undicesimo posto, era diventato una sorta di “caso”: primo ristorante di Francia per la lista, uno smacco per la grande cucina transalpina sopravanzata da questa informale bistronomia d’autore. La 50 Best aveva così indicato una sorta di modello di rinnovamento, che oggi non tira più.

4 - Discese o salite? Lo scorso anno, con Bombana, l’altro italiano tra il 51° e il 100° posto era Davide Scabin. Quest’anno non appare, in questa classifica. Un altro clamoroso smacco, dopo la scelta della Michelin di togliergli una stella? Può essere, ma forse anche il contrario: lo chef di Rivoli potrebbe essere tra i primi 50.

5 - Non ci sono nella classifica 51-100 né Enrico CrippaMassimiliano Alajmo, lo scorso anno al 27° e 34° posto. Incrociamo le dita, ma nulla lascia pensare a un crollo tale da averli fatti uscire dalla classifica.
Carlo Passera
 
     
     
     
     
 
A Milano (ri)uniti i più grandi pizzaioli
 
     
 

L’happy end di una vicenda che avuto risvolti spiacevoli (ne abbiamo scritto qui e qui) è giunto martedì a Milano. Presentazione di Where to Eat Pizza (Phaidon, per ora solo in inglese), organizzata da Identità Golose all’Alice dell’Eataly Smeraldo. C’era Paolo Marchi, il curatore Daniel Young, con lui alcuni dei 1.077 esperti che hanno collaborato alla selezione delle migliori pizzerie del mondo. Ma soprattutto c’erano loro, i pizzaioli, senza divisioni geografiche.

Nord (Renato Bosco, Patrick Ricci, Bruno de Rosa, Corrado Scaglione, per dirne solo alcuni), Centro (Gabriele Bonci, Giancarlo Casa) e Sud (Franco Pepe, Ciro Salvo, Salvatore Salvo, Gino Sorbillo, Enzo Coccia). Foto di gruppo, sorrisi, considerazioni. Nessuna conflittualità: un gruppo forte, che diventa fortissimo se diventa compatto. Pura eccellenza italiana celebrata dalla guida di Young, le cui parole sono state introdotte da quelle di Marchi: «Questo libro dimostra un grandissimo amore per la pizza. Pensiamoci: il riso o la pasta sono italiani, ma non li abbiamo inventati noi. La pizza è tutta nostra, anche se ormai appartiene al mondo, come dimostrano le 1.705 pizzerie recensite, in tutti i continenti».

Nella foto Paolo Marchi, Tania Mauri, la padrona di casa Sandra Ciciriello, Luciana Squadrilli, Daniel Young e Franco Pepe. L'incontro di Milano è stato l'occasione anche per parlare di La Buona Pizza (Giunti), testo firmato dalla Mauri e dalla Squadrilli, in libreria dal 6 di luglio.
CP
 
     
     
     
     
 
The Vegetarian Chance, la terza edizione
 
     
 
Sabato 11 e domenica 12 giugno torna a Milano, per la sua terza edizione, The Vegetarian Chance, il concorso ideato dallo chef del ristorante milanese Joia Pietro Leemann, vero pioniere dell'alta cucina vegetariana, e dal giornalista Gabriele Eschenazi.

Il nuovo appuntamento verrà realizzato grazie alla partnership col Mudec (il neonato Museo delle Culture di Milano). Sarà Enrico Bartolini, che recentemente ha trasferito il suo ristorante al terzo piano del Mudec, a ospitare il concorso internazionale, che vedrà protagonisti otto chef: Masayuki Okuda del ristorante Al-checciano di Tsuruoka (Giappone), Lennart van Weert del Sandton Hotels Chateau de Raaye (Olanda), Andrea Ferrucci di Marcelin di Montà d’Alba, Gianfranco Ceccato dell’Osteria Zanzibar di Bellinzona (Svizzera), Fabio Vacca dell’Hotel Marinedda Thalasso di Palau, Sabina Joksimovic del Venissa di Mazzorbo, Tommaso Segato de La Montecchia di Padova, Antonio Zaccardi di Piazza Duomo ad Alba.

Ospite molto speciale sarà poi Moshe Basson (nella foto), cuoco che arriverà appositamente da Gerusalemme. Specialista in cucina biblica, etnobotanico, esperto in dieta mediterranea, storico dell’alimentazione, attivista in difesa dei cibi antichi, vegan friend. Un cuoco poliedrico e speciale che condividerà la sua esperienza con i partecipanti a questo importante evento. Qui il programma dettagliato delle due giornate.
Niccolò Vecchia
 
     
     
     
     
 
Vibrazioni peruviane al Cambio di Torino
 
     
 
Ormai suonano ovunque, e dunque non potevano non arrivare al Bar Cavour del ristorante Del Cambio le vibrazioni peruviane. Si chiama infatti Peruvian Vibes il temporary allestito fino al quattro settembre al piano superiore dello storicissimo locale torinese amato secoli or sono da Camillo Benso, detenuto ora dall’imprenditore Michele De Negri e condotto con mano sicura da Matteo Baronetto.

È proprio Baronetto che ha scelto Roberto Sihuay Ramirez (nella foto) del Ceviche 103 di Barcellona per proporre alla clientela del lounge bar una carta fresca e profumata, giusta per l’estate cittadina. Le volte scure venate d’oro del first floor affacciato su piazza Carignano si sono così riempite di motivi amazzonici e sonorizzazioni ad hoc (con un programma di concerti live). Ma soprattutto il menu “tradizionale” – fatto di club sandwich e crudi di pesce – s’è arricchito delle ricette di Ramirez, quelle raccolte anche nel suo libro “103 lecciones para comer, beber y querer a la peruana”.

Allo start noi abbiamo provato i suoi ceviche – clàsico e de aji amarillo –, la causa de pollo confitado, l’ensalada de quinoa e tanti altri piattini di grande freschezza accompagnati dalla mixology sudamericana: il Pisco Sour e il Chilcano, naturalmente, ma anche il cross-over Torino Perù, con pisco e vermouth.

«La cucina peruviana non è solo una moda», dice Baronetto, «E’ solidissima, affascinante, e conta su una biodiversità unica e terribilmente seducente». Una seduzione accessibile: piatti tra i 12 e i 22 euro, servizio smooth, atmosfera very cool per rinfrescare la lunga estate calda. Sperando che arrivi.
Luca Iaccarino
 
     
     
     
     
 
Unduetrestella, la Puglia sfoggia i suoi gioielli
 
     
 

14 giugno, nuova sede del ristorante Pashà di Conversano (Bari). Sono il quando e il dove di Unduetrestella, una serata speciale, ideata e realizzata dall’architetto Danilo Giaffreda e dalla giornalista Sonia Gioia, che porrà al centro di tutto i protagonisti - «di cucina e di sala», specificano giustamente - dell’alta ristorazione pugliese.

La cena corale metterà in fila tutti coloro che da Foggia in giù possono fregiarsi della stella Michelin: Teresa Buongiorno dell’Osteria Già Sotto l’Arco di Carovigno, Andrea Cannalire del ristorante Cielo presso il Relais La Sommità di Ostuni, la padrona di casa Maria Cicorella, Franco Ricatti del Bacco di Barletta, Antonella Ricci e VinodSookar del Fornello da Ricci di Ceglie Messapica, Angelo Sabatelli dell’omonimo ristorante di Monopoli e Felice Sgarra dell’Umami di Andria.

A cucinare interverrà anche un pugliese impegnato per altri lidi, Pasquale Laera, già sous-chef di Antonino Cannavacciuolo a Villa Crespi e attualmente executive del Boscareto di Serralunga d'Alba in Piemonte. Tutte buone premesse per realizzare il desiderio degli organizzatori: «Dialogare e concretizzare il sogno di una ristorazione pugliese con la voce più forte e il peso che merita oltre i confini regionali e nazionali». Informazioni e prenotazioni +39.373.8002809. (Nella foto, i cuochi dell'edizione 2015).
GZ
 
     
     
     
     
 
A Lecce brilla il talento dei Pellegrino Bros
 
     
 

Fossi un pendolo, oscillerei tra Milano, dove sono nato e lavoro, e Presicce, tra Gallipoli e Leuca, dove mi rilasso anche quando sono alla scrivania, tale l’intensità della luce e il colore del mare. Non ho scelto come secondo tetto il Salento e la provincia di Lecce perché vi si mangia bene, ma perché si sta bene. E’ ben diverso. Però le cose stanno cambiando.

Alle case delle grandi famiglie, si affiancano piacevoli novità. Una è proprio in pieno centro leccese, in via degli Acaja 2, telefono +39.0832.092601. Insegna di 4 lettere: Bros che sta per brothers, fratelli, i due fratelli Pellegrino, il primogenito Floriano e il terzo nato, Giovanni, ai dessert Isabella Osbourne, fidanzata del primo. Nessuno tra loro tocca quota 30 anni e Isa è appena maggiorenne. Poco dopo l’apertura, avvenuta il 26 dicembre 2015, ha scelto un’altra strada il secondogenito. Buon per lui visto che ha scoperto di avere altri orizzonti.

I Pellegrino Bros sono veri e Lecce dovrebbe amarli perché certi talenti non passano ogni mese, però, trattandosi di un locale pubblico, di una impresa economica, i primi a dovere entrare in sintonia con la città devo essere loro. Ho perso il conto dei tanti che hanno dovuto rivedere le loro ambizioni e i loro piani e la colpa, a loro dire, era quasi sempre «della gente che non capisce di cucina». E’ quasi sempre vero ma il primo che deve fare in modo che i concittadini aprano occhi, cuore e mente e tifino per te, è lo chef.
pm
 
     
     
     
     
 
Salina, Santoro e Caruso carnivori per una sera
 
     
 

«Due stelle fanno scintille», specificano assennatamente gli organizzatori di una cena speciale che animerà il Signum di Salina (in foto) il 14 giugno prossimo. Sono quelle che brillano nel firmamento Michelin dall’ultima edizione della Rossa, stelle accese da Giovanni Santoro dello Shalai di Lingualossa (sull’Etna) e Martina Caruso, cuoca padrona di casa.

Succede che la cuoca aveva cucinato pesce a casa del cuoco amico nel maggio scorso. E ora il “ritorno”: insieme hanno studiato un menu di carne che al solo leggere la lista delle pietanze sale l’acquolina. Solo i finger di apertura sono 6 (ad esempio il Carpaccio di vitellina con albicocca e zenzero del cuoco e la Rochere di agnello della cuoca). E si continuerà così con alternanze terrestri, tra un’Animella di vitello, campari e panna acida (Martina) e un Agnellino da latte, riduzione al nerello, chips di patate e bufala (Giovanni). In sala, mesceranno e parleranno i due giovani patron, Leonardo Pennisi e Luca Caruso. Costo 100 euro bevande incluse, prenotazioni +39.090.9844222. Noi ci saremo e vi relazioneremo.
GZ
 
     
     
     
     
 
Zacapa, il fine dining e i nuovi piatti di Trippa
 
     
 

Il rum Zacapa nasce nella parte orientale del Guatemala e invecchia sugli altipiani della città di Quetzaltenango, a un'altitudine di 2300 metri. Da anni, in Italia e non solo, questo distillato viene proposto in serate speciali in abbinamento alla cucina di raffinati chef, a dimostrare come possa essere un perfetto accompagnamento anche per una cena di qualità.

Come quella proposta martedì 7 giugno nel ristorante milanese Trippa, di cui ci raccontava pochi giorni fa uno dei due soci fondatori, Pietro Caroli. L'altro socio, lo chef Diego Rossi, ha proposto piatti soprattutto nuovi, pensati per l'occasione: in particolare ha lasciato il segno un perfetto Risotto ai gamberi rossi di Mazara, anice, lime e testina di vitello (nella foto). A cui si accompagnava in modo mirabile il Cola-Malteco, un cocktail preparato da Filippo Sisti, talentuoso barman di Carlo e Camilla in Segheria, che ispirandosi al Cuba Libre lo ha ricreato con Zacapa 23, caffè di pistacchio, lime, caramello al tamarindo e castagna d'acqua.
NV
 
     
     
     
     
 
Il Salmone Misoyaki (col sake) di Kiyo
 
     
 

Nella galassia sterminata – e spesso di qualità discutibile – dei ristoranti giapponesi a Milano, va segnalato con favore Kiyo, ristorante del distretto Ravizza-Marghera, nato nel marzo 2010. Se ne parla poco, ma è un indirizzo valido. In cucina c’è Katsumi Soga, per anni sous chef da Nobu.

Il menu è ampio, ma di buona resa: circa una cinquantina di proposte, alle quali si affiancano 4-5 piatti fuori carta. A noi è piaciuto molto il Salmone Misoyaki marinato al miso e cotto al forno, splendido l’abbinamento con un sakè Dewanoyuki kimoto (Watarai Honten) della Sake Company di Milano (nella foto).
CP
 
     
     
     
     
 
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