Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
come ha raccontato bene Carlo Passera nel sito di Identità, clicca qui per il pezzo, Davide Oldani è stato il primo chef italiano a cucinare, preparare una pietanza con l’ausilio di una stampante 3D. Davvero mi suona tanto insolito e fatico a comprenderne le sbalorditive implicazioni di un macchina una, destinata a lasciare un traccia netta e chiara. Però mi sento particolarmente contento perché ogni possibile coinvolgimento di una stampante 3D un cucina, rivoluziona il concetto assoluto di cucina, cuoco, cotture, pranzi.

Paolo Marchi,
testi di Gabriele Zanatta
 

Felicetti: estasiato dagli spaghetti dei Cerea

Per una volta vorrei infrangere le regole di questa rubrica e parlare di un solo piatto perché è uno dei migliori che io abbia mai potuto mangiare in vita mia. E’ successo a Brusaporto, pochi giorni fa, a casa dei grandi Cerea, una dinastia che tra pochi giorni celebra mezzo secolo di storia e bontà.

Si chiama Spaghetti “Ajo-Ojo”, seppie e piselli e si trova in carta ora al ristorante. La consistenza della pasta - che non è stata cotta ‘al chiodo’ ma giusta - andava ad aggiungere quella consistenza mancante alla seppolina fritta e alla superficie morbida dei piselli. Una botta di sapori clamorosi in uno spettro molto ampio di texture.

Bobo Cerea è stato superbo nel realizzare un bilanciamento straordinario tra gusti e spessori. Lo ricorderò per molto tempo.

Riccardo Felicetti
 

Lo spaghetto e pomodoro di Romito: Questa è l'Italia

Sabato 7 maggio, è toccato a Niko Romito l’onore di aprire la due giorni di lezioni al Seoul Food Festival. L’abruzzese, chef e patron del Reale Casadonna a Castel di Sangro in provincia di L’Aquila, secondo collaudato schema, ha scandito i tempi del suo intervento con le immagini dei suoi piatti più riusciti, a iniziare dall’Assoluto di cipolle (2009) per arrivare alla Verza (2016) passando per il carciofo (2013).

Dopo avere ricordato che «la cucina è memoria» Niko ha lanciato uno scatto gigante di spaghetti al sugo di pomodoro. La platea è stata attraversata da un ohhh d’ammirazione mista ad acquolina: «Questa è l’Italia e, si presti attenzione, non sono spaghetti al pomodoro che trovate un po’ ovunque, bensì Spaghetti e Pomodoro nei quali il pomodoro non copre la pasta e gli spaghetti giocano un reale ruolo da protagonisti».
 

Jun Lee: tajarin in salsa coreana

Cow parsnip leaf & tajarin, ovvero Tagliolini all'uovo conditi con aglio tostato e foglie di pastinaca. È un piatto proposto non da un piemontese ma da Jun Lee, chef-patron del ristorante Soigné, Contemporary cuisine of Seoul. Se l’è trovato davanti Paolo Marchi, in un recentissimo viaggio in Corea del Sud.

«Jun si è fatto le ossa al Culinary Institute of America», ha raccontato il fondatore di Identità Golose, «poi in insegne come il Lincoln Center dove l’allora chef Jonathan Benno gli ha insegnato l’arte dei tajarin all’uovo. Lui li propone nell’immancabile menu degustazione perché nei locali di questo genere la carta è pressoché abolita, ovunque ai quattro angoli del globo, con aglio tostato e foglie di pastinaca».

«I suoi percorsi riflettono la multiculturalità della capitale coreana, un mix di Italia, Francia e America vissute con ingredienti locali. L’olio al tartufo potrebbe anche gettarlo nello scarico, mentre fa specie notare come uno chef che ha definito la sua cucina per il 50% italiana, non abbia mai fatto gavetta in un nostro ristorante».

«Quest’ultima riflessione acquista ancora più peso se si pensa che lo stesso Jun Lee è anche titolare di Doughroom, letteralmente la camera della pasta. E non, come è facile pensare, i capelli d’angelo di riso, grano saraceno o soia che trovi ovunque in Asia. La nostra pasta: pappardelle, garganelli, cavatelli, agnolotti, cannelloni… Guai ridere pensando a chissà quali nefandezze in cottura. Stefano Di Salvo, che cura la proposta tricolore al JW Marriott, mi assicura che lì si mangia bene. Vorrei avere avuto una mezza giornata in più per provare a mia volta».
 

Lo spaghettone cavolo e menta di Baronetto

Questo piatto dai toni accesi lo firma Matteo Baronetto, chef del ristorante Del Cambio di Torino. Nome in carta: Spaghettone al cavolo rosso, pane e menta. Un nuovo capitolo che prolunga la leggendaria saga dei primi del cuoco di Giaveno, impegnat(issim)o da 2 anni esatti in piazza Carignano.

«E’ un po’ un’evoluzione del filone che inaugurammo ai tempi di Cracco con lo Spaghettone con succo di peperoni e acciughe secche», ci racconta, «qui la centrifuga/concentrato è di cavolo rosso, ridotto in padella fino a diventare viola shocking», una tonalità che sembra quasi finta. «Tiro via lo spaghettone dall’acqua a 4 minuti alla cottura e rifinisco la cottura in padella, così i pori dilatati della pasta sono ben disposti ad assorbire colore e gusto».

Ancora una volta il grano duro assorbe la personalità del sugo: s’impregna di un gusto dolciastro e vegetale che fa la gioia dei vegetariani, «ma non dei celiaci», precisa. E il crumble di pane? «Replica l’usanza siciliana delle briciole di raffermo sopra allo spaghetto con le sarde. O la mia, che in gioventù mi facevo gli spaghetti in bianco con pane sopra: era il mio ‘il parmigiano dei poveri’». La menta è il sigillo balsamico e rinfrescante: «Qui in Piemonte è molto usata, tanto che ci prendono in giro per come la pronunciamo». Ti piacciono gli spaghetti cavolo e mènta? Eccome.
 

Regine & Re di Cuochi: mezzo secolo di alta pasta

Ancora uno Spaghettone, ancora il Piemonte. Lo scatto è tratto dalle stanze della Palazzina di caccia di Stupinigi, alle porte di Torino, dove ha luogo fino al 5 giugno prossimo la mostra Regine & Re di Cuochi. Sono gli Spaghettoni di camomilla, calendula e gelsomino, un viaggio nell'orto di Antonia Klugmann, chef del ristorante L’Argine di Vencò (Gorizia), forse la meno nota di tutti e 33 i cuochi che il team del curatore Marco Bolasco ha scelto per rappresentare la cucina italiana d’autore, una scelta coraggiosa che noi di Identità appoggiamo integralmente.

In generale, varrebbe la pena visitare la mostra anche solo per la certosina ricostruzione di due millenni (!) di cucina ‘italiana’, un maxi-pannello curvo in apertura che traccia con un angolo piatto gli highlights della nostra civiltà alimentare da Marco Gavio Apicio a Massimo Bottura. Appena dopo, il clou dell’esposizione: 33 silos multimediali, ognuno dedicato ai principali “Interpreti dell’identità nazionale e della cultura contemporanea”, da Massimiliano Alajmo a Gianfranco Vissani.

In questo scenario, la pasta grida il suo ruolo egemone, sia essa nella versione fresca e ripiena degli eterni Agnolotti del plin di Lidia Alciati, «il pizzicotto come sublimazione del gesto e modello assoluto», o in quella secca, anno 1965, dello Spaghettone di grano duro al cipollotto fresco e peperoncino con filo d’olio e basilico ligure di Aimo Moroni. Detto che la foto delle Tagliatelle con broccoli, calamaretti e ricci di mare di Gennaro Esposito (2010) rievoca sapori inebrianti solo a guardarla, fa pensare il fatto che primi piatti come quelli della Klugmann o i Tagliolini al cipresso con le vongole del romagnolo Piergiorgio Parini (anno 2012) hanno catapultato il genere verso altezze e concetti che mezzo secolo fa non avremmo potuto immaginare.
 

Marianna Vitale: un degustazione a tutta pasta

Chi era presente a Identità di Pasta 2015, alla lezione di Marianna Vitale, chef del ristorante Sud, avrà senz’altro riconosciuto il piatto: è lo Spaghetto Pizza Margherita e aveva la particolarità di essere arrostito per tre secondi su una piastra e poi servito a temperatura ambiente, caratteristica che favoriva il pieno rilascio della sua piacevolissima nota amara/arrostita.

Ne riparliamo perché la pietanza è una delle 5 del menu “a tutta pasta” che la cuoca di Quarto (Napoli) ha concepito da questa primavera per magnificare il grano duro. «Cinque piatti dall’antipasto al dolce, a 40 euro», ci ha raccontato la cuoca, «che inizialmente erano rivolti a tutti quegli stranieri che, nonostante le difficoltà logistiche e di viabilità, scelgono misericordiosi di fare una deviazione da Napoli». Solo che il degustazione ha iniziato a spopolare anche tra i clienti napoletani: «In effetti, pensandoci, anch’io faccio lo stesso quando mangio fuori: il piatto di pasta non deve mai mancare, esattamente come il caffè al mattino».

Successo e istinto l’hanno incoraggiata a percorrere questa strada e così, nella primavera di quest’anno, parte il menu a tutta pasta, formati diversi di aziende diverse: «Pastificio dei Campi, Felicetti, Garofalo, Divella... Perché la dispensa di ogni napoletano non è mai monomarca». Per approfondimenti sugli altri 4/5 del menu di pasta, leggere qui.
 

Alberto Riboldi a Brescia: back to black

Total black! Ha un look grintoso a dir poco, degno dei più temibili MIB, quello che invece è un primo piatto che sorprende per come riesce a coniugare raffinatezza e intensità di gusto allo stesso tempo. E per come riesce, pur giocando su una combinazione di ingredienti consolidata, diremmo classica, a non essere scontato.

Forse l’aspetto dark va visto anche come un’allusione alla notte: una lussuosa quanto lussuriosa spaghettata di mezzanotte. Ecco svelato il mistero de “Il successo 2015”, piatto in carta, opera dello chef Alberto Riboldi, a Castello Malvezzi (Brescia): Spaghetti freddi al nero selezione Monograno Felicetti con erba cipollina, citronette, scalogno stufato e Caviar Calvisius Siberian (serviti su un piatto d’ardesia). Una matassa dipanata ad arte, lungo una linea orizzontale, in cui si verifica una congiuntura perfetta di più elementi (anche da qui “il successo”?!): gli spaghetti neri, pressoché a temperatura ambiente, sono perfettamente al dente e ben lubrificati, ma senza esser acquosi e senza eccessi di condimento (un buon olio extravergine fa da volano agli aromi della citronette, dello scalogno stufato e dell’erba cipollina senza restarne sopraffatto).

Rivela Riboldi: «Io raffreddo gli spaghetti in tegame, non sotto l’acqua fredda». Accanto, da dosare a piacere, 10 grammi di Caviar Calvisius Siberian, un tocco di finissima sapidità ittico-iodata che fa letteralmente decollare ogni forchettata. Back to black!
Errica Tamani
 

La pasta di legumi di Peppe Zullo

Peppe Zullo, chef a Orsara di Puglia (Foggia) e vecchia conoscenza di Identità, ha lanciato Felicia, una linea interessante di pasta di legumi. La gamma prevede per ora due tipi: i Fusilli ottenuti da farina di piselli verdi bio 100% e i Sedanini da farina di lenticchie rosse bio 100%. Vendute in formati da 250 grammi, sono gluten free e adatte alla dieta di chi non tollera lattosio, lievito o frumento (e anche da chi segue un’alimentazione vegana). «Un tempo», ha spiegato il cuoco orsarese, «i legumi erano la carne dei poveri. Ma oggi hanno tutti i requisiti per potersi prendere finalmente la rivincita». Per saperne di più, pastadilegumi.it
 

Salvatore Bianco: della Buatta e altre storie

La foto riproduce la Buatta di pasta al pomodoro presente nel menu degustazione del ristorante Comandante del Romeo hotel di Napoli. Dentro al barattolo ci sono dei tubetti con la salsa di tre pomodori, nel contagocce accanto dell’olio extravergine d’oliva con sentori vegetali pronunciati e nel cucchiaio della granita di basilico. È solo una delle versioni di pasta al pomodoro che prepara Salvatpre Bianco, un asso del genere. Ne abbiamo scritto diffusamente sul sito di Identità.
 

Pivato: la cacio e pepe è dentro al raviolo

I Ravioli cacio e pepe con guanciale croccante, culmine di un piacevole lunch-break allestito da Paolo Pivato, chef del bistrot La Bottega del Vino di Milano. La salsa cacio e pepe è nel ripieno, alla maniera dei celebri Fagottelli alla carbonara di Heinz Beck.