Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Ieri pranzo davvero godurioso e goloso, preciso e intelligente, in un gioco di equilibro tra tanta tradizione e territorio ma anche giusti e brillanti innesti creativi da parte di Antonio Petrone, chef-patron che ha due principesse tra sala e cantina, la moglie Imma e la cognata Lucia, Ferrara il loro cognome.

Il loro locale, aperto il 1° agosto 2010, si trova alle spalle di Salerno, ad Acquamela di Baronissi, telefono +39.089.954740. Ha un nome bellissimo, Pensando a te, e una carta a 360°, menù lungo il giusto se si sceglie di lavorare prodotti freschi. Cinque i primi, quattro paste, una ripiena, e un risotto rigorosamente per due persone. Li ho dribblati perché da Roma in giù preferisco mille volte la pasta secca; ha più senso, che vuole dire tante cose e tutte positive.

Prima lo Spaghettone aglio e olio con lupini di mare e acqua di broccoli. Buono, ma mi aspettavo una più marcata nota di mare. Poi i Paccheri con ragout di ricciola, un po’ di peperoncino e finocchietto selvatico, quasi perfetti. Infine le Candele alla genovese con cipolla ramata di Montoro. Una genovese superba.

La genovese è un ragù di cipolle e manzo che cuoce mezza giornata. Difficile trovarla davvero buona anche perché è pressoché sconosciuta lontano dal Vesuvio. Non ha mai conquistato il mondo, ma nemmeno l’Italia. Come ha scritto Luciano Pignataro nel suo blog a inizio 2016: “Riflettevo come questa ricetta, pur essendo di gran lunga la più popolare in città e in parte della Campania, è ancora assolutamente sconosciuta fuori dalla regione”.

Tempo di preparazione a parte, comunque un serio ostacolo, tutto è in pratica giocato su due ingredienti, la cipolla e la polpa. E qui sta il difficile, dare personalità e profondità a tanta semplicità iniziale. Il resto sono dettagli, pedoni stessimo giocando a scacchi. Alla fine ne esce un sugo che tende al dolce. La delusione è in agguato anche perché storia, memoria e retorica spariscono quando si cambia regione, resta la ricetta e quella giudichi.

La Genovese di Antonio Petrone è l’eccezione. Lui si nasconde dietro alla qualità delle cipolle ramate di Montoro, paese dell’Avellinese dove vive. Va bene come punto di partenza, poi si aggiungono testa, cuore e mani del cuoco.

Paolo Marchi
, testi di Gabriele Zanatta
 

Il settimo sigillo di Identità di Pasta

Quest’anno Identità di Pasta taglia la sua settima edizione. Alla fine di ognuna delle precedenti sei, ho sempre pensato che fossimo arrivati al massimo, a livello di interpreti ma soprattutto di idee. E l’anno dopo mi ritrovavo puntualmente smentito. Mi auguro di essere nella stessa situazione mercoledì 9 marzo 2016.

Le premesse di quest'edizione sono sicuramente importanti: i nomi che leggete sotto appartengono tutti a persone che conoscono bene la materia pasta. Professionisti che la studiano da tanto tempo, che non s’improvvisano per il gusto di una spettacolarizzazione fine a se stessa. Portabandiera di un tema e di un genere alimentare che in queste poche stagioni è letteralmente esploso, e non solo a livello di alta ristorazione, la quale ha fatto da volano per tutte le fasce del comparto.

Mi ha fatto sorridere quello che Alessandro Negrini ha detto qualche giorno fa: «Se al ristorante ti portano 20 pietanze senza mai un piatto di pasta, significa che sono 20 antipasti». È verissimo perché in Italia la pasta detta il ritmo, segna la svolta a tavola, separa un prima da un dopo. Per questo l’8 marzo cercheremo di nobilitarla come e più di sempre, nel libero spazio di Sala Blu 1.
Riccardo Felicetti
(Nella foto al centro, con Carlo Cracco a Identità Expo)
 

Carlo Cracco, la saga continua

La settima edizione di Identità di Pasta, martedì 8 marzo 2016, si aprirà con un gradito ritorno: sugli schermi del grano duro comparirà, per la prima volta dopo 3 edizioni, Carlo Cracco del ristorante Cracco di Milano (lezione ore 10.20). Nel 2013 il cuoco vicentino, allora al fianco dell’ex sous-chef Matteo Baronetto, aveva stupito con un piatto che ha segnato la nostra memoria: Rigatoni con mastica (accento sulla “i”) e funghi porcini crudi (il piatto nella foto di Brambilla/Serrani).

Non è ancora dato sapere il contenuto della lezione ma noi siamo curiosi di capire come aggiornare lo straordinario campionario ventennale di primi piatti di pasta secca (o fresca) del vicentino. Un approccio che ha sempre inteso la pasta come trave portante e non veicolo qualsivoglia. Qualche esempio? Li avevamo ricordati sul nostro sito qualche tempo fa: Ravioli di latte di capra con funghi porcini alle erbe (1997), Spaghetti fritti con composta di pomodoro e basilico fritto (2002), Paccheri di gruyère (una pasta non pasta, anno 2004), i celeberrimi Ravioli ripieni di maionese con ricci di mare e semi di basilico (2006), gli Spaghetti al peperone rosso e acciughe salate (2012)…
 

Stracuocere la pasta con Negrini e Pisani

Alessandro Negrini e Fabio Pisani. I ragazzi de Il Luogo di Aimo e Nadia di Milano bisseranno (ore 11.10) il ‘complotto nordista’ inscenato pochi giorni fa alla sortita meneghina de Le Strade della Mozzarella. Citiamo dalla fresca cronaca di Carlo Passera .

«Negrini ha ribaltato ogni dogma, scuocendola per 50 minuti. La pasta scotta non è una novità assoluta nell’alta cucina. Basti pensare a Davide Scabin, che la usa come fosse pongo nel suo Bombolone di pasta. O ad Alfio Ghezzi, che ha valorizzato un giustificato luogo comune anti-trentino («Un milanese giudica cruda la pasta cotta a Napoli e scotta quella a Trento, e un napoletano scotta già quella di Milano», ha scritto Paolo Marchi) nei suoi Spaghetti alla chitarra smalzadi, capaci di “nobilitare” una pasta scotta e poi condita con patate a cubetti, cipollotto e fondo di vitello, il tutto spadellato con un sugo di carne (ovvero “smalzadi” in dialetto).

Negrini fa un passo in avanti, di nuovo con la complicità di un trentino: la sua idea, nata infatti dal confronto con Riccardo Felicetti, ha l’apparenza di un normale piatto di pasta, ma non lo è. Usa un formato particolare, una Calamarata di Gragnano del Pastificio dei Campi, che fa (s)cuocere per 50 minuti, cosicché ogni singolo “calamaro” mantiene la forma ma cambia texture, rivelando in bocca una consistenza come fosse crema di grano. Dopo averla scolata, la fa raffreddare per stabilizzarne la struttura glutinica; quindi la condisce con una specie di giro d’Italia della bontà, rispettoso in questo di stile e tradizione propri de Il Luogo di Aimo e Nadia».
 

Nicola Fossaceca: tra l'ittico e il grano duro

Altro giro (ore 12.00), alto debuttante assoluto su un palco di Identità Milano. Nicola Fossaceca, abruzzese al timone di Al Metrò di San Salvo (Ch) porterà la sua interpretazione della pasta secca, che lui ama bagnare col mare Adriatico, alla stessa maniera, ma solo un poco più a sud, di Moreno Cedroni, il cuoco che lo fulminò sulla via del pesce gourmet.

Il 33enne chietino non vuole ancora rivelare al pubblico i contenuti del piatto dell’8 marzo, ma di sicuro lo schema riprodurrà il binomio mondo ittico/grano duro che lui ama, esattamente lo stesso con cui, in una torrida giornata di fine giugno, rinfrescò gli astanti di Identità Expo. Furono degli Spaghettoni alle cicale di mare e ostriche (nella foto Brambilla/Serrani), un incastro indovinato di ingredienti poveri, le cicale di mare, e di lusso, le ostriche. Il povero e il ricco. Il cuoco cuoceva la pasta rigorosamente al dente e la faceva “rilassare” in padella con l’acqua di ostriche. Chissà in Sala Blu 2.
 

Camanini e la cacio e pepe cotta in vescica

“Semplicemente pasta”, titola la lezione (ore 12.50) di Riccardo Camanini del ristorante Lido 84 di Gardone Riviera. «L’ho scelto», ci racconta lo schivo cuoco della provincia bresciana, «perché non amo molto le autocelebrazioni o i temi che rischiano di esaltare troppo quello che facciamo. La mia cucina è molto semplice. Magari con abbinamenti insoliti, ma lineare».

Non vediamo l’ora di vedere i due piatti pensati per la Sala Blu 1, anche perché si tratta di anteprime assolute: «Non li metterò mai in menu prima del 9 marzo e non compariranno mai alla carta: saranno semmai parte del menu “Oscillazioni”, il più creativo, quello che cambia tutti i mesi a seconda delle disponibilità». Udite, udite: il primo piatto sarà «Una Cacio e pepe a tutti gli effetti, ma con il rigatone kamut Felicetti cotto nella vescica di maiale, alla maniera classica francese». Classica per modo dire: i transalpini ci hanno sempre cucinato dentro polli e galletti, mai la pasta. Ora però stop alle anticipazioni, sennò che gusto c’è?

Seconda proposta, altro colpo originale: «Sarà una Tagliatella all’uovo Felicetti lavorata con la mimosa. Un gusto saponino, tendente all’amorognolo, che vi sorprenderà. È il mio omaggio dell’8 marzo alle donne». E a tutti noi che siamo in curiosa attesa.
 

Matias Perdomo: pasta come libertà

Meno per più, uguale libertà. Il titolo della lezione di Matias Perdomo (ore 14.10) di Contraste (Milano) è tutto un programma. Cosa vuol dire l’uruguagio? «Significa ‘Meno volume per più desiderio = libertà di apprezzare la pasta secca per quello che è realmente. E’ l’evoluzione di 7-8 anni di studio sul genere alimentare. Un rendere giustizia a questa nobilissima materia prima, che diminuirò di massa perché non è solo un veicolo per il sugo o un involucro per il ripieno, ma è un prodotto che mi entusiasma anche per tutti i suoi significati storico-sociali: la pasta che viaggia il mondo, la pasta legata alla guerra, la pasta come panacea e conforto alla sofferenze. Un simbolo universale sul quale ci giochiamo tanto nel mondo».

Una difesa della pasta vista con gli occhi di un non-italiano (o di un quasi-italiano), occhi più liberi di moltiplicare le prospettive su paccheri e spaghetti: «Con il primo dei due piatti cercherò di intrappolare in un barattolo il profumo che sentiamo sulla tromba delle scale quando torniamo a casa. C’è sempre una vicina che cucina la pasta senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Col secondo piatto parlerò di una sorta di ritorno all’essenza della pasta: userò solo farina, acqua e tempo». Alla fine, potranno godere tutti con un assaggio di Aglio, olio, peperoncino, calamaretti e colatura di alici, «Il massimo della semplicità».
 

Cristina Bowerman: il riciclo si fa haute

Pasta e alta cucina: one day later. Utilizzo e recupero della pasta. Ha le idee chiare Cristina Bowerman di Glass Hostaria per la sua lezione (ore 15), anche se prima è dovuta passare attraverso il sano esercizio del dubbio: «Ci ho messo un po’ a definire i contenuti perché tutto mi sembrava un po’ banale». Quel che però è banale per la cuoca pugliese, per un cuoco normale è originalità.

L’idea di fondo si svilupeerà attraverso una duplice trama: «Recuperare in cucina può essere inteso nel senso dell’Expo del riciclo. In questo senso proporrò una mia versione metamorfica della pasta del giorno dopo. Qualcosa sulla linea di uno spaghetto che vuole diventare una lasagna. Beh, non proprio quello ma è per rendere l’idea… Che cercherò di complicare per rendere più interessante».

Seconda trama: «Porterò una cottura non espressa di pasta secca, un’infusione a freddo di 24 ore. Pasta non precotta, diciamo, ma cotta diversamente». Interessante il trait d’union tra le due proposte: le ricette di recupero della pasta pertengono storicamente a una dimensione popolare della ristorazione. Io offrirò due esempi che, spero, possano attecchire nel segmento haute».

 

Peppe Guida, disarmante e sostenibile

Dopo Camanini e Fossaceca, ecco un altro debuttante assoluto a Identità (ore 15.50). È Peppe Guida dell’Antica Osteria Nonna Rosa di Vico Equense (Napoli), «Ma sono pronto a bissare presto», ci rivela al telefono, «con un casolare di campagna che sto risistemando». Un bel dì vedremo e assaggeremo.

Veniamo alla pasta: chi meglio di lui tra i campani può parlarne? È tra i pochi cuochi a tenere un menu degustazione 100% pasta, «Un percorso di otto portate», ci ha già raccontato Valentina Santonastaso, “fra proposte vegetariane, di pesce, di carne e piatti della tradizione”. «A Milano», torna il cuoco, «vorrei portare piatti di semplicità disarmante, con materie prime poverissime ed eccellenti. Perché purtroppo la pasta secca è ancora sottovalutata nell’alta ristorazione: me ne accorgo facendo dei giri dai colleghi. Temono tutti la cosa che, se sbagli 30 secondi di cottura, salta il piatto».

Piatto numero uno: «Sarà uno Spaghetto aglio e olio senza olio. Un piatto totalmente vegetale e senza grassi, per dimostrare che si può fare una grande pietanza con due ingredienti che ognuno di noi tiene a casa». Secondo capitolo: «Calle con cipollotto, cacio e 'nduja, una rivisitazione piuttosto particolare della Genovese. Sono entrambi piatti che cercano di preservare il concetto di sostenibilità, per salvaguardare le generazioni che verranno».
(foto scattidigusto.it)
 

Ciccio Sultano e la virilità dello spaghetto

Chi non ricorda gli Spaghetti impastati con succo di carota in salsa taratatà e profumi di piante limoncine di Ciccio Sultano (foto)? Il cuoco del Duomo di Ibla li portò a un’edizione di Identità London, ottobre del 2011. E noi siamo felici di conoscere il suo volto pastaiolo, quasi 5 anni dopo (ore 16.40).

I prodotti ragusani saranno la chiave di volta per due pietanze, una di pasta secca e una di pasta fresca: «Non mancherà il pomodoro», anticipa al telefono, «né la salsa di sanapo, senape selvatica che lavoriamo con la mandorla. Saranno entrambe espressioni della nostra cucina moderna, ancorata al piacere gustativo ma anche agli aspetti più cerebrali. Espressioni di un territorio e racconti del momento che stiamo vivendo. Un’epoca sicuramente adulta rispetto a prima, anche se cerchiamo di non trascurare mai l’aspetto godereccio e goliardico della tavola».

E, infatti, appena dopo, i toni si fanno scherzosi: «Per noi siciliani la pasta è lunga. Viviamo i formati corti come un ridimensionamento. Forse, freudianamente, abbiamo sempre bisogno di sentirci virili».
 

Chiude il sipario il mago Davide Scabin

L’anno scorso la chiusura della giornata della pasta spettò a Massimo Bottura. Quest’anno salirà per ultimo sul palco - moderato dalla giornalista Eleonora Cozzella, presentatrice di tutte le prime 6 edizioni – Davide Scabin del Combal.zero, the pasta king (ore 17.30).

Come al solito, vige un riserbo totale sui contenuti della lezione. Qualcosa riesce a dirci Riccardo Felicetti, lo storico braccio armato del cuoco rivolese: «Sta lavorando attorno a un paio di concetti nuovi, sempre nella direzione della pasta intesa come materia e non come formato. Una riflessione sulla massa della stessa, un’evoluzione dei sofficini preparati per Foodcleanic e del bombolone di cacio e pepe. Ma non fatemi dire di più».

Nell’attesa, ci si riattivano sinapsi e salivazioni a pensare alla lezione dell’anno scorso, con la Pasta in burnia, ossia sottolio in vasetto; con il Pongo di pasta, stracotto e poi frullato. Per non dire della Amatriciana in pentola a pressione, una tecnica che ha fatto così rumore da arrivare all’orecchio di Michelle Obama.