Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Durante la seconda cena di gala di Identità New York, quella di venerdì 2 ottobre, Davide Scabin mi ha ricordato quanto scritto alla reception della Boeing a Seattle: “Per forma, dimensioni delle ali e peso corporeo, il calabrone non potrebbe volare. Ma lui non lo sa, e vola”. Ecco, quando il piemontese ha confermato che avrebbe preparato tagliatelle alla bolognese per 150 persone, tutti gli hanno dato del matto. Facile sbagliare cottura, tempi, servizio, tutto. Ma lui non ci ha pensato, e ha volato altissimo.

Scabin si prende sempre dei rischi che sovente vanno contro la logica. Non che i suoi colleghi non abbiano dato il massimo senza rete, ma quando giochi in trasferta è sempre bene evitare in avvio le tre punte e optare un uomo in più in difesa. C’è sempre tempo per cambiare. Davide no, lui attacca subito. Non c’è verso, è la sua indole.

Una volta sbagliò tutto. Un pomeriggio in Finlandia decise di cuocere il salmone in un buco in terra, sotto braci ardenti, i tranci avvolti in una coperta, sopra terra, foglie e zolle a ricoprire ogni punto. Purtroppo calcolò male i tempi e il pesce rimase praticamente crudo. Espressi il mio dispiacere per Scabin ad Albert Adrià, pure lui lassù oltre il circolo polare artico e il catalano mi rispose: “Lui è Davide e Davide non fa una zuppa”. Esatto: tenta l’impossibile. Ed è per questo che lo ammiro.

Paolo Marchi
, testi di Carlo Passera, Valeria Senigaglia e Gabriele Zanatta
 

World Pasta Day & Congress 2015

Il 25 ottobre si celebra a Expo Milano il World Pasta Day; il 26 e 27 il congresso mondiale della pasta, organizzato International Pasta Organization. Sarà una tre giorni importante per tutti noi pastai perché riaffermeremo the truth about pasta, le verità sulla pasta, negli ultimi tempi messa in discussione da una serie di falsi miti (per esempio: la pasta fa ingrassare, la pasta è nata in Cina, il glutine della pasta gonfia e fa male…) che offuscano le caratteristiche straordinarie di questo prodotto.

Nella 3 giorni interverranno illustri autorità dal mondo istituzionale, scientifico e della cucina. Sarà con noi anche Massimo Bottura, che descriverà la sua visione dell’alimento principe della dieta italiana, tra tradizione e futuro. Ci sarà una cena nella terrazza del padiglione italiano concertata dal cuoco italo-americano Bruno Serato, che cercherà di dimostrare che la pasta può essere una soluzione importante per trovare un equilibrio tra fame e obesità.

Il 26 e il 27 ottobre si terranno numerose sessioni multiple di protagonisti autorevoli sui temi dell’ambiente, dell’innovazione e della nutrizione. Capiremo che la pasta risponde tutti i giorni alla sfida centrale di Expo “Nutrire il pianeta”. Capiremo quanta se ne produce, distribuisce e consuma nel mondo. Quali sono i mercati emergenti, le dinamiche del grano e tanto altro. Seguiteci per contribuire a riaffermare tutte le verità su un prodotto straordinario. Per informazioni e partecipare al World Pasta Day & Congress 2015, clicca qui.

Riccardo Felicetti, presidente di International Pasta Organization
(Nello scatto tratto da Identità New York, si riconoscono, da sinistra, Massimo Bottura, Paolo Marchi, Michael White, Paula Perlis, Gennaro Pecchia, Riccardo Felicetti e Davide Di Fabio)
 

New York/1: l'autunno di Bottura a New York

Autumn in New York, i Passatelli risottati in un "brodo di tutto" di Massimo Bottura, chef dell'Osteria Francescana di Modena. Il piatto è stato al centro della seconda, splendida lezione di Identità New York. L'abbiamo raccontata per filo e per segno. (foto Brambilla/Serrani)
 

New York/2: la pasta prêt-à-porter di Scabin

Davide Scabin, chef del Combal.zero di Rivoli (Torino) serve l'Amatriciana direttamente nella pentola a pressione con Elisabetta Serraiotto di Grana Padano e Paolo Marchi di Identità Golose. E' la fine della lezione del cuoco piemontese a Eataly New York, il consueto passaggio dell'uragano che scombussola il pasta-mondo. Abbiamo riassunto tutti i contenuti sul sito di Identità. (foto Brambilla/Serrani)
 

New York/3: tagliatellissime con il cubetto

Le applauditissime Tagliatelle alla Bolognese di Davide Scabin, primo piatto servito nella seconda cena di Identità New York, alla Birreria Eataly. Lo chef del Combal.zero avrebbe voluto servirle con il proverbiale ricciolo di burro in cima, un regresso infantile, ma in assenza dell'arricciaburro ha dovuto ripiegare su un cubetto. (foto Brambilla/Serrani)
 

New York/4: La minestra di Fortunato Nicotra

Minestra cotta in brodo di aragosta e gamberetti, il piatto presentato a New York da Fortunato Nicotra, cuoco di Lidia Bastianich. Sono Spaghettoni Kamut Monograno Felicetti, cotti dopo essere stati spezzettati, «Ma è possibile utilizzare anche una buona pasta corta», ha spiegato il cuoco. La cottura è quella del risotto, con lo stesso rapporto brodo/pasta del risotto, forse con un poco più di liquido perché la pasta assorbe in genere di più. L’impiatto è completo con un gamberone con crumble tostato di pane e mandorle che regalano croccantezza all'insieme.
 

Il mazzo di fiori... di zucca di Ceraudo

La giovanissima cuoca calabrese Caterina Ceraudo ha festeggiato il suo compleanno a Identità Expo S. Pellegrino cucinando uno Spaghetto ai fiori di zucca. Giovane, calabrese e stellata, lavora nel ristorante di famiglia Dattilo a Strongoli. Pochi gli ingredienti dei suoi piatti, Caterina fa una cucina essenziale e leggera, in controtendenza con l’opulenza della tradizione regionale calabrese. Ma un ingrediente non manca mai, il limone, lo stesso che appare nella ricetta presentata a Expo.

Essenziale non significa banale. I fiori di zucca sono cotti in padella con un velo di olio di oliva, di casa Ceraudo ovviamente, poi abbattuti e successivamente frullati con il Paco Jet per ottenere una crema che conserva tutto l’aroma e il colore del fiore fresco. Il sapore amaro e vegetale dei fiori di zucca si amalgama con la nota acida dello spaghetto, cotto in acqua aromatizzata con limone e vino bianco, ma pochissimo sale, per creare il ricercato umami.

Anche qui sono i dettagli a fare la differenza, il limone è quello biologico coltivato direttamente in loco e il vino, il Grisara, è ricavato da uve pecorella, un vitigno autoctono calabrese “da taglio” recuperato dal papà in tempi non sospetti e vinificato in purezza. Un gusto pieno e sapido grazie anche alla spadellata finale dello spaghetto nel “sughetto” di acciuga, aglio, zest di limone, peperoncino e acqua di fiori di zucca. «Sono gli ingredienti stessi che mi dicono come esaltarli» spiega la Ceraudo, che ha scelto l’acciuga proprio perché la crema di fiori di zucca già ricorda le alici sotto sale.

Questo concentrato di aromi del Sud incontra il Nord nella grattugiata finale di Grana Padano che da’ la nota “lattosa”. Il piatto, in carta al ristorante, è una rivisitazione della classica minestra di patate e fori di zucca, una ricetta molto amata dalla zia della cuoca che la cucina spesso. In questo caso però l’amido del tubero è sostituito dalla pasta, servita tiepida.
VS
 

Di Gennaro: lo Spaghettone di Gallipoli

Fan sfegatato del gambero rosso di Gallipoli, Stefano di Gennaro del ristorante Quintessenza di Trani presenta uno spaghetto Felicetti che sembra abbracciare tutta la Puglia. Un solo ingrediente dominante che il cuoco valorizza fino all’essenza senza sprecarne nemmeno un’antenna. Le carcasse sono tostate, raffreddate in ghiaccio e poi metà rimesse in pentola. Metà di queste diventano una bisque, secondo la classica ricetta francese, e il resto sono usate per creare un olio arancione ai crostacei. Il gambero, crudo, compare alla fine sul nido di spaghettone mantecato nel brodo di gamberi.

Dalla costa si passa poi all’entroterra con la mollica di pane fritta, aromatizzata con zest di limone Femminiello ed erbe aromatiche fresche, e infine spolverizzata sulla pasta a dare la parte croccante e l’olio aromatico completa il piatto. Un ritrovo di IGP regionali con il pane che è di Altamura, il limone “quattro stagioni” (raccolto fino cinque volte l’anno) del Gargano e ovviamente il gambero di Gallipoli, a condire una pasta che già contiene la Puglia nell’anima, in quanto in parte fatta con grano coltivato nella medesima regione del cuoco.

Alla sua prima esperienza sul palco Stefano Di Gennaro centra in pieno il bersaglio per l’organizzazione con cui lavora e la ricetta gustosa dal sapore pieno e rassicurante che riporta ai piatti sontuosi della domenica casalinga. La famiglia è un elemento importante per il cuoco, fiero dei suoi genitori contadini che gli hanno insegnato a valorizzare ogni prodotto e che convive ogni giorno con i suoi tre fratelli, di cui uno in cucina e due in sala.

Il nome del ristorante Quintessenza richiama invece l’anima degli ingredienti e una cucina semplice, che esalta le eccellenze del territorio senza troppi procedimenti “cervellotici”. «La mia idea di cucina è di valorizzare gli ingredienti al massimo con sapori non contrastanti ma comprensibili da tutti» dice Di Gennaro, che continua «non ho avuto esperienze “stellate”, io interpreto quello che è la mia idea di ristorazione, nel bene e nel male; mi ritrovo nelle parole di Niko Romito: la fortuna è quella di sbagliare da soli senza influenze esterne».
VS
 

Da Camanini la pasta è un ripieno

Riccardo Camanini, chef di Lido 84 a Gardone Riviera (Brescia) , si è disimpegnato alla grande con un piatto insolito: non una pasta ripiena, ma un ripieno di pasta. «Io vado a correre spesso e il carboidrato non manca mai nella mia alimentazione, condito solo con un filo d’olio – ha raccontato il cuoco - Abbiamo deciso di proporre qui a Identità una Pasta, patate e seppia, ricetta recente che fa parte anche del menu Oscillazioni, che raccoglie i nostri ultimi piatti. Molto debbo all’insegnamento di Marchesi, mi ha trasmesso il massimo rispetto del prodotto e la semplicità. Cerchiamo sempre di rimanere molto fedeli all’ingrediente e al gusto, quello che propongo è una distillazione di quanto ho visto, studiato, mangiato. Ma deriva dalla pratica, dall’assaggio, non programmo quasi mai».

Pasta e patate è un classico della quotidianità partenopea, il tocco dello chef lo reinventa in un’interpretazione personalissima: «Uso pasta Felicetti anche perché è povera di amido, e in questo caso ho già quello della patata». Dunque spaghetti Felicetti al nero di seppia («Un prodotto di eccellente artigianalità»), che vengono cotti e poi lasciati raffreddare in una sorta di rotolo: così si incollano tra loro, «di solito, è un grave errore in cucina». Ma Camanini non sbaglia: il rotolo di spaghetti diventa il ripieno di una sorta di cannellone di patate bollite e poi lavorate con lo tsumapuro, ossia la mandolina cinese, in grado di ricavarne una sfoglia sottile, sarà la finta pasta che racchiude il ripieno di spaghetti. «Uso le patate bergamasche di Rovetta, mantengono la consistenza al taglio ma non perdono in dolcezza».

Per la salsa: olio extravergine, 40 grammi di altre patate, 200 grammi di acqua di cottura di cozze, sale, 5 grammi di scalogno crudo, 50 grammi di seppia cruda, una punta del suo nero, 15 grammi di aglio nero fermentato indiano, «concentra la parte zuccherina, tanto che i nipponici lo usano per i dessert. E’ molto delicato ma mi consente di donare anche un tocco di acidità alla ricetta. Per tradizione mangiamo paste che insistono su un unico tono, ciò crea assuefazione in bocca; un po' di acido invece sollecita le papille gustative, senza modificare il gusto finale». Il cannellone viene cotto nel burro (quello pannoso ed elegante di Beppino Occelli) e poi condito con la salsa, «abbiamo lavorato sulla sintesi, volevamo accoppiare i vari elementi in una forma esteticamente piacevole».
CP
 

Paolo Trippini: irrompe l'autunno

Il piatto presentato da Paolo Trippini - ristorante Trippini di Civitella del Lago (Terni) - a Identità Expo S.Pellegrino in partnership con Monograno Felicetti dipinge un quadro d’autunno: Spaghetti di farro Felicetti, carote, castagne, paté e tartufi. «Abbiamo portato le castagne», spiega Paolo, «sono le prime della stagione, ancora un po’ acerbe e con nota tannica e vegetale: le tagliamo a cubetti crude e le mettiamo all’interno. I tartufi invece provengono dalla val Tiberina, i funghi ipogei che mi convincono di più. Ne cuociamo una parte con olio, aglio e timo mentre un’altra la mettiamo grattata a crudo alla fine, in modo classico».

E’ una ricetta che assorbe influenze anche dal Lazio e dalla Toscana, regioni vicinissime a Civitella del Lago. Ma sopra tutto spicca un simbolo che più umbro non si può, il patè di fegatini e cuori di pollo: «Li mettiamo sul fuoco, facciamo rosolare molto bene con spicchio di aglio, un pezzo di limone, rosmarino e salvia. Una volta scuro, sfumiamo con due parti di vino bianco e una di aceto. Si evapora l’alcol, frulliamo e passiamo al setaccio».

L’altro elemento cardine della preparazione sono le carote: «Ne estraiamo il succo dolce, le facciamo bollire in acqua fino a stracottura, nel rapporto di un litro d’acqua e 500 grammi di carote. Le frulliamo al Bimby, filtriamo con un colino sottile, teniamo tutto una notte in frigorifero. Un’altra parte di carote la essicchiamo, lessiamo e stendiamo sul silpat in forno a 80°C». Tutti gli ingredienti sono preparati separatamente, con un apporto ridottissimo di sale «perché vogliamo che i sapori rimangano indistinti, anche una volta che vengono uniti».

Nel frattempo si buttano gli Spaghetti di farro Felicetti, «Utilizziamo il farro perché è uno degli alimenti principe della nostra terra. La mia cottura prediletta? Nè scotta nè al dente: la scolo 'al giusto'». Terminata la cottura, spadellamento con il succo della carota e un po’ d'olio di mantecatura e impiatto a nido di pasta avvoltolato sopra al patè. Grandi note che preparano l’autunno, in una giornata ancora molto sbilanciata sul caldo estivo.
GZ
 

Linguine, patate e cozze: Agostino Iacobucci

In viaggio gastronomico per l’Italia con Agostino Iacobucci che presenta a Identità di Pasta a Expo un piatto ricco di spunti regionali. Nato vicino al mare, il cuoco palesa le sue origini scegliendo le cozze campane e omaggia la città d’adozione con le patate di Bologna DOP. La pasta è fatta al nord con grani del sud e il pecorino toscano completa la carta geografica.

La ricetta è stata ideata per Identità Expo S.Pellegrino ma è già stata rodata al suo ristorante I Portici di Bologna, dove ha riscosso un buon successo. Si potrebbe anche chiamare incontri di amidi: le linguine cuociono assieme alle patate che poi però spariscono dal risultato finale. La pasta invece rosola ulteriormente in una padella con la sua acqua di cottura e parte dell’acqua di governo delle cozze, cotte a 92 °C per 6 minuti. Il pecorino, giovane per non essere troppo invasivo, è sciolto con un goccio di panna nel bimby a 50°C per creare una salsa, ma viene aggiunto a freddo per mantecare il tutto. La maionese fatta con la parte gialla delle cozze e aromatizzata al dragoncello completa la pasta super cremosa, rinfrescata in ultimo da una grattugiata di zest di limone.

La passione del cuoco per la pasta è palpabile: «al Sud siamo pastaioli, la domenica si preparano i paccheri al ragù napoletano (un sugo che anche io ho in carta ma per condire dei tortelli con crema di parmigiano) non possiamo perdere la nostra identità per correre dietro alle mode del lavoro, bisogna cucinare quello che si ha nel sangue - dice lo chef, che continua - sperimentare è importantissimo ma la Vespa anni ’50 non passerà mai di moda». Il talento di Iacobucci è celebrato in “100 chef X 10 anni”, il libro firmato da Identità Golose che celebra i 10 anni del congresso di alta cucina.
VS
 

Deidda: la Sardegna tra le penne

Penne lisce Monograno Felicetti, fichi d’india, zafferano, bottarga, ricotta di pecora, gambero affumicato ed erbe aromatiche sono le leccornie che compongono il piatto presentato da Stefano Deidda, chef del Corsaro di Cagliari, a Identità di Pasta a Expo, una composizione di pasta fredda.

Le classiche penne incontrano la biodiversità sarda in modo armonico. La scelta della casalinga penna liscia non è casuale: «La pasta non è solo un raccogli-sugo, ma protagonista a tutti gli effetti per consistenza e sapore del piatto che crei e le penne "reagiscono" bene a questo condimento», dice il cuoco.

Protagoniste, oltre alla pasta, anche le eccellenze gastronomiche dell’isola dei nuraghi, dallo zafferano DOP di San Gavino ai fichi d’India che fanno sognare il mare. Questo è richiamato anche dalla sapidità dei gamberi e della bottarga di muggine, una vera prelibatezza locale che «più grande è, meglio è, perché la stagionatura dev’essere lenta e serve quindi una pezzatura significativa per avere la giusta proporzione tra prodotto e sale» spiega Deidda, che continua: «Poi è importante che, la bottarga, sia lavorata entro un’ora dalla pesca altrimenti il ristagno del sangue compromette la stagionatura e dà una sensazione di amaro in bocca».

Il piatto è una passeggiata nel "giardino" sardo che comincia con la pasta cotta e raffreddata cui si accompagnano a crudo lo scalogno e la zest di limone grattugiato, la ricotta di pecora e gamberi crudi marinati con sale affumicato. Lo zafferano DOP di San Gavino e i fichi d’India ci sono ma non si vedono perché infusi a 60 gradi e poi lavorati per ottenere un gel arancione intenso. Infine gocce di maionese di corallo (di gambero) e scaglie di bottarga completano il mosaico dando dolcezza e sapidità al piatto. Un’armonia di sapori e colori con cui si può giocare a fare diversi abbinamenti: gambero e pasta, gel e ricotta, oppure tutti insiemi nel boccone perfetto.

Il fico d’India e lo zafferano sono quasi agrodolci e non sovrastano la delicatezza del formaggio di pecora, le erbe della macchia mediterranea donano freschezza al piatto e le note affumicate del gambero marinato stuzzicano il palato. La complessità di sapori suggerisce un’interessante abbinamento al calice, che riappacifica anche l’animo sardo al gusto francese con un sauternes giovane.
VS
 

Colombo: spaghetti con spremuta di Sicilia

«Amo la pasta, la mangio ogni giorno, non riesco a farne a meno» ha dichiarato Antonio Colombo, pasticcere della Locanda Gulfi di Chiaramonte Gulfi (Rg). E nulla ricorda più l'estate della combinazione amici-ricci di mare-scarpetta, ovviamente con una grande pasta «soprattutto lo spaghetto unisce tutti, da Nord a Sud. Quant'è bello, gioioso, sentirsi proporre una spaghettata a mezzanotte?».

Colombo ha un’anima pasticcera, ma è cuoco a tutto tondo che viene da una famiglia di macellai (con zii pasticceri) e vuole essere chef completo, nel dolce e nel salato. Formatosi in molti indirizzi, ha fatto esperienza in ogni ruolo della brigata e ha lavorato persino in un panificio. Il suo spazio è comunque la pasticceria, ma col motto: "Non c’è dolce senza un pizzico di sale". A Identità Expo ha svestito i panni di pasticcere per presentare una ricetta semplice, gustosa e facile da replicare a casa, ma intrisa di gusto e di tutto l'amore per la pasta tradizionale, «per me è quella classica, distruggerla sarebbe come asfaltare il Colosseo».

Gli spaghetti di grano duro sono nati in Sicilia e lo chef ha quindi abbinato il gusto rustico dei Monograno Felicetti kamut allo iodato dei ricci di mare presentati in due consistenze e temperature: caldi, soffritti con zucca violina a brunoise, con aglio e prezzemolo, per mantecare la pasta; e crudi, aggiunti all’ultimo. Gocce di un olio regale, quello dei monti Iblei, circondano poi lo spaghetto, leggiadramente adagiato sulla crema di tenerumi e ricoperto da una soffice spuma di mozzarella di bufala (la ricetta originale prevede la ricotta). L’anima pasticcera del cuoco fa capolino con il limone candito e il burro per mantecare il tutto. Gli spicchi di pomodorini datterino gialli e rossi completano invece la gamma cromatica.

Il gusto è morbido come un cuscino, ma intenso; la dolcezza del latticino si sposa benissimo alla mineralità dei ricci e all'agrumato del limone. In ogni forchettata si ritrovano i profumi del Sud e del mare.
VS
 

Ricci, verdure e finger lime: Enrico Bartolini

«Faccio spaghetti bolliti e conditi bene». Esordisce sorridendo Enrico Bartolini del Devero di Cavenago Brianza. «Fresca o secca? Io partecipavo, quando ero più giovane, alla corrente dei cuochi italiani che preferiva la fresca ripiena, perché quella secca mi sembrava si prestasse meno alla creatività dello chef, che è alla perenne ricerca di golosità e raffinatezza. Era un mio pregiudizio». Concetto ribadito poco dopo: «Mi pento di non aver continuato a fare piatti tradizionali, perché sono buoni e nel cuore delle persone. Ma venivo da un percorso stellato e pensavo che dovessi rispettare certe aspettative proponendo ricette innovative».

Elogio della semplicità? «La carbonara è famosa perché ha un nome che si ricorda e un sapore goloso, gli spaghetti al pomodoro abbinano due ingredienti che sono facili da trovare, e così via. Quando si mangia sempre la stessa cosa si ha voglia di farla diversa; ma l’elaborazione non è mai necessaria se non aggiunge qualcosa in più». Scatta l’applauso. Il rapporto tra Bartolini e la pasta è poi mediato da ricordi d’infanzia, «mi ritrovo studente, quando tornavo a casa per ultimo e trovavo sempre la pasta scotta, perché era stata preparata per gli altri familiari che avevano già finito di pranzare. Ho deciso di fare il cuoco anche perché ero stufo di mangiarla così», sorride.

Così anche oggi scuoce la pasta, la frulla e la mischia al tuorlo d’uovo, poi sugo di guanciale e abbattitore a creare una sorta di bonbon: Carbonara dentro l’uovo. Stesso discorso con la pasta al pomodoro: il ripieno cremoso viene racchiuso in un succo di pomodoro gelificato. Ma è tempo di riprendere il concetto di “spaghetti bolliti conditi bene”: «Quando sono al dente li condiamo con l’olio e stop, per valorizzare al massimo la pasta, per fare uscire la qualità della semola», in questo caso si tratta di uno spaghettone Monograno Matt Felicetti: alto contenuto proteico e ottima maglia glutinica, quindi enorme tenacità. Non scuoce proprio.

La versione più ricca, che Bartolini prepara davanti alla numerosa platea, è una riedizione di un piatto che serve anche al Devero: Spaghetti sui ricci di mare, ovvero coi coralli del riccio sul fondo, «hanno una consistenza perfetta per condire». Sopra la pasta, invece, un battuto di verdure ed erbe a crudo (peperone verde, cetriolo, finocchietto, aneto, cerfoglio), olio e sale. Infine finger lime, «ossia palline simili al caviale, dal sapore quasi resinoso, ricordano il pepe rosa». Al Devero la stessa ricetta vede le verdure marinate nel chartreuse e gli scampi invece dei ricci.
CP
 

Idea Simone Cipriani: il cono alla ribollita

Simone Cipriani gioca a Identità di Pasta, a Expo, ispirandosi a Davide Scabin che, in collaborazione con Pastificio Felicetti, guida l’esercito di cuochi italiani che stanno costruendo la “nuova cucina regionale d’Italia”. Qui siamo in Toscana: la sostenibilità è data da ingredienti poveri e a scarto zero, e poi c’è l’elemento sorpresa nel piatto del giovane cuoco del ristorante Santo Graal di Firenze. Fa l’en plein con un golosissimo Cono di ribollita fredda, «ho pensato di recuperare una ricetta storica in cui gli ingredienti sono precedenti addirittura la scoperta dell’America. Poi l'ho rivisitata in maniera divertente e con un tocco di moderno pomodoro rosso». Ma la vera ispirazione - dichiarata - viene da Scabin, «i suoi input sul pongo di pasta sono un vero spettacolo» ammette Cipriani.

Il cui piatto è tutto da ammirare: un cono di pasta, appunto, avvolto da cavolo nero disidratato che regala colore e sapidità, riempito di zuppa di cipolle e mousse di ribollita preparata con cavolo nero, verdure e fagioli. «La parte migliore del classico cornetto gelato, secondo me, è quella finale, dove c’è il cioccolato, perché è l’ultimo boccone quello che ti fa venire voglia di prenderne un altro e ricominciare a mangiare. Quindi nella parte finale metto una zuppa di cipolla molto tirata, che ha un sapore dolce e cremoso, poi riempio con la mousse», spiega.

Il gelato sopra al cono è un nido di spaghettini cotti nell’acqua al cavolo nero, messi in forma e nappatati nel gel di ribollita che si scioglie letteralmente in bocca, «gli amidi dai 60 gradi in su creano un gel che, se lasciato riposare, mantiene la propria forma» dice Cipriani. Nessun gelato è completo senza le dovute decorazioni, così gli anelli di cipolla fritti e gli sprinkle di pasta stracotta, fritta e passata nel pomodoro secco (tipo chips all’italiana) evocano un’anima anni ’50. Golosità pura è, infine, il tocco di panna montata infusa nel grana e sormontata da pop di croste di parmigiano cotte sottovuoto e fatte scoppiettare in padella.
VS
 

Baldessari e la pasta al pomo d'oro

Classe 1977, trentino della Valsugana – di Roncegno Terme per la precisione - Giuliano Baldessari nel suo ristorante Aqua Crua ha preparato uno Spaghettone Matt Felicetti al pomodoro: ma è una ricetta un po’ bizzarra, il titolo è tradizionale, il resto no. Di pomodoro, ad esempio, non c’è traccia: «Volevo un piatto diverso, il primo pomodoro arrivato in Italia era giallo, per questo è stato chiamato “pomo d’oro”. Ho quindi voluto provocare con una preparazione semplice, ma che esprime un concetto del quale mi sono innamorato». E’ un'anteprima per Identità di Pasta, «presto andrà in carta all’Aqua Crua». Prevede non pomodoro, ma pomo d’oro: mele di San Giovanni, dell’Alto Lazio, che maturano da fine giugno ad agosto.

Lo chef le passa all’estrattore a freddo per ottenerne il succo. Intanto cuoce la pasta in acqua salata e aromatizzata con la curcuma. Prepara a parte il condimento. Prevede l’estratto di mele, pasta di peperoncini frullati e assai "hot" (Baldessari dice: «Sono “cattivissimi”. Io uso molto il piccante, profuma e dà una mano alla digestione»), salsa di soia senza glutammato, sciroppo d’uva, «noi abbiamo abolito il saccarosio a suo favore, è del tutto naturale, fantastico». Quindi olio all’aglio, succo di limone, basilico fermentato.

Lo chef lega il tutto con pane sbriciolato, disidratato e fritto, fatto con farina di Timilia, un frumento siciliano, «buonissimo. Dà sentori di cannella». Impiattamento e applauso finale, perché gli spaghettoni risultano piacevolissimi e complessi, prima dolci, poi regalano note acide e infine piccanti. Tutta la gamma quasi si crescesse dall'infanzia alla maturità, come dicevamo prima.
CP
 

Ajo e ojo? Purché Monosilio style

Luciano Monosilio di Pipero al Rex di pasta se ne intende, «fa parte del nostro quotidiano. Io e mio fratello siamo vissuti a fettuccine», narra. A Identità Expo ha presentato però un’altra ricetta, i classici “aglio olio e peperoncino”, ovverosia i “vermicelli borbonici”, come veniva chiamata questa storica specialità della tradizione partenopea. Spaghetto, secondo tradizione? No, rigatoni Felicetti. «Perché il Khorasan? Perché ha un aroma lievemente amaro, ricorda un gusto vegetale che richiama il prezzemolo», a sua volta ingrediente della ricetta, in almeno tre vesti diverse.

La prima, in polvere: lavato, mondato, asciugato e disidratato, «come fosse tè matcha, di cui ricorda anche il profumo». Poi, alcuni gambi vengono immersi nell’acqua di cottura della pasta, per donare note erbacee e persino acide (il prezzemolo contiene acido ascorbico, che viene però rilasciato solo sopra i 60°). Infine, un poco viene anche fritto. Altra componente fondamentale, la polvere di peperoncino. È un blend di polvere di peperone rosso dolce e di polvere di peperoncino piccante; vengono arrostiti, spellati, disidratati e mischiati in parti uguali, prima di affumicarli un poco. Esito: ricordano in tutto e per tutto lo straordinario pimenton de la Vera, regalano a ciascun piatto almeno un paio di marce in più.

Monosilio prepara poi anche un po’ di crema di pecorino romano giovane (non deve essere troppo sapido). Lo stesso formaggio viene utilizzato per creare un infuso: 1 litro d’acqua, 200 grammi di pecorino, 100 di grana padano e subito sul fuoco a 70°; si filtra e questo diventa liquido di cottura finale dei rigatoni, che già saranno stati parzialmente cotti in normale acqua non salata. Passano quindi in padella con l'infuso suddetto (500 grammi per 700 grammi di pasta) condito con peperoncino piccante: vi rimangono alcuni minuti, con aggiunta dell’olio, versato a intervalli successivi.

Manca un solo elemento alla ricetta classica: l’aglio. E’ in crema: si sbollenta 5 volte, sempre scolando (assicurarsi sia un aglio giovane); poi si cuoce e si riduce nel latte, si aggiungono 50 grammi di panna ogni 300 di riduzione, infine 5 grammi di colla di pesce, sale e pepe. Lo chef sorprende con una tovata finale: fette di guanciale prodotto dai suoi amici di Re Norcino nell'Ascolano. Sottili, si spolverano col prezzemolo e vanno a condire la pasta.
CP