Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Nove lezioni quest’anno, martedì 10 febbraio per la precisione. Non era mai accaduto che una delle giornate che si svolgono in una delle due sale blu ne sommasse così tante, ma quanto le idee abbondano è sempre difficile rinunciare a qualcosa rinviandola all’anno seguente. Così abbiamo preferito guadagnare tempo e spazio per far sì che una giornata che sarà aperta da Marianna Vitale, si concluda con Massimo Bottura.

Non era mai accaduto che uno chef fosse relatore in tre distinte giornate. Succedo adesso con il modenese, complice il Milano food&wine festival che lo vedrà sul palco domenica sera con il piatto pensato per l’Expo. Poi l’Auditorium lunedì e la pasta martedì.

Personalmente sono molto interessato alla lezione dei fratelli Costardi. Christian e Manuel, tra i massimi interpreti del risotto in Italia (quindi nel mondo), proporranno loro interpretazioni della pasta, uscendo così dalla loro gabbia dorata. Gabbia perché se cucini solo pasta nessuno avrà mai qualcosa da ridire, è in pratica la regola per noi italiani. Ma se invece ti voti al culto di riso e risotto, prima o poi arriverà chi dirà che sei limitato. Nel calcio succede con chi è mancino, sovente bollato perché ha solo un piede per calciare. Come se chi usa il destro, ne avesse due.

Paolo Marchi, testi di Gabriele Zanatta
 

La maturità della pasta in 6 edizioni

Martedì 10 febbraio Sala Blu ospiterà la sesta edizione di Identità di Pasta. Altre 9 lezioni, che si aggiungeranno alle 40 già scritte nella storia recente di questo format, con il coinvolgimento di decine di cuochi dal sud e dal nord e qualche incursione di importanti protagonisti stranieri.

Non può che far piacere. Fa piacere soprattutto considerare che dalla prima edizione è cambiata la percezione globale: nel 2010 eravamo quasi noi a chiedere un favore ai cuochi. Spiegavamo loro che avremmo voluto vedere interpretazioni nuove, diverse. Che la pasta doveva tornare al centro della scena, uscire dal ruolo di stanco veicolo del sugo.

Oggi c’è poco da spiegare perché c'è molta più sensibilità sul tema. Non c’è ristorante d’alta cucina (o quasi) che non presenti in carta almeno un piatto di pasta secca. E, parallelamente, si moltiplicano i produttori che hanno capito quanto sia importante investire sulla ricerca e sulla qualità di un prodotto troppo a lungo svilito da approssimazione e faciloneria.

Identità di pasta di quest’anno accoglierà cuochi e cuoche, chef di mare e montagna, italiani e d’Oltreoceano. Chef storicamente abili col riso o con la pasta fresca che decidono di loro spontanea volontà di cimentarsi con un genere distante dalle loro tradizioni e abitudini. Mettersi in discussione è sempre prova di maturità.
Riccardo Felicetti (nella foto con Davide Scabin)
 

Marianna Vitale preferisce il Mischiato Delicato

Spetta a Marianna Vitale da Quarto il compito di trainare per prima il carro di pasta di grano duro (inizio lezione, ore 10.15). Non l’unica donna e nemmeno l’unica campana, tuttavia, perché quasi all’epilogo arriverà il turno della collega conterranea Viviana Varese.

La cuoca dell’anno di Identità Golose, racconta per noi Valentina Santonastaso, ha una passione smodata per i carboidrati tanto che, se viaggia lontano in luoghi in cui non è sicura di trovarli, se ne porta in valigia in quantità. Nel menu del suo ristorante c’è solo pasta secca perché la pasta fresca non è pasta: non ha lo stesso nerbo indistinguibile della pasta di Gragnano con cui è cresciuta e non fa parte del suo universo alimentare di riferimento. È anche distante dal riso, anche se meno, perché quello - lo ammette - lo mangia, anche se prima lo appallottola e lo frigge, preferibilmente.

Per i suoi pasti di ogni giorno predilige la pasta lunga, liscia e trafilata al bronzo, cui associa al massimo 2 ingredienti, come vongole o alici. La pasta ideale subisce una mezza cottura in acqua bollente e termina poi con una lunga mantecatura. Deve inoltre riposare in pentola: quel poco che basta a farne abbassare la temperatura di servizio di qualche grado per garantire una maggiore godibilità del piatto e della pasta stessa.

Il Mischiato Delicato è la scelta che la cuoca ha fatto per uno dei due piatti che porterà a Identità di Pasta: L’Impepata. Un piatto che racconta il mare, l’estate e gli scogli in un boccone e catapulta le papille nella tipica Zuppa di cozze e limone consumata dall’intera città. Un sapore intenso, dall’acidità dirompente, rotta dalla dolcezza del peperone e del riccio di mare, volutamente privo di equilibrio e capace di innescare un incalzante meccanismo per cui una cucchiaiata tira l’altra.
 

Costardi, ovvero la pasta nel regno del riso

Scelgono un refrain scabiniano al 100% i fratelli Manuel e Christian Costardi da Vercelli: «Chi l’ha detto che la pasta è un primo piatto?». Troppo facile sarebbe infatti per loro, vercellesi doc, scrive Carlo Passera – limitarsi a cucinare una pasta risottata: «Oggi è tanto di moda, però nostra mamma utilizzava questa tecnica già 15 anni fa, crediamo fosse tra le prime…».

Sia come sia, i due ragazzi (ore 11.10) risponderanno alla domanda retorica di cui sopra con un evidente asserzione negativa: «La pasta non è solo un primo piatto perché ha vaste potenzialità ancora poco esplorate». Non da loro, ricorderanno i lettori di Identità di pasta a rammentare il cannolo di grano duro, un pacchero prima cotto per 12 minuti in un brodo con scorza d’arancio e bacche di vaniglia, poi raffreddato e fritto per due volte nell’olio. Meglio della cialda della tradizione siciliana.

Ma i Costardi proporranno anche un concetto di dolce a metà tra la nostra tradizione e quella orientale, tenendo d’occhio l'Oriente: sarà una sorta di ramen, con dei noodles in un brodo di cioccolato. Per il resto, divertissement allo stato puro: spaghetti cotti in infusione di aglio, peperoncino e aromi, poi fritti e serviti croccanti al cartoccio, «quasi fossero patatine o popcorn da sgranocchiare al cinema».
 

Luca Fantin, pasta per i giapponesi

L’edizione 2015 verrà anche ricordata per il debutto assoluto di un cuoco di sicuro avvenire (anzi, già “avvenuto” per noi di Identità che l’abbiamo appena incoronato “cuoco dell’anno”), Luca Fantin, dal 2009 chef del Bulgari Ginza Tower di Tokyo, hotel 5 stelle, brigata di dieci persone.

In un panorama extra-italiano privo di veri grandi interpreti del grano duro, sarà un piacere ascoltare l’esperienza di un ragazzo (ore 12.05) che al 95% vanta una clientela giapponese, «commensali attenti, sofisticati, che spendono tanto ma lo fanno bene». «Ho tolto la carta», ci spiegò poche settimane fa, «faccio solo due menu degustazione. E senza sconti: all’inizio cuocevo pasta e riso un po’ di più per venire incontro ai gusti locali, ora li tengo sempre al dente».

Due i piatti nella fondina del veneto classe 1979, entrambi legati del filo rosso del titolo della lezione: Territorio. Il primo, ci racconta via email, saranno delle «Linguine di semola cotta nella lattuga salata con crema ed ostrica affumicata. Un piatto ispirato al territorio giapponese in cui la pasta mi aiuta a risaltare l’ostrica, l’ingrediente principale. Un piatto-paesaggio che faremo vedere».

Il secondo sarà un «Brasato e non brasato con verza e maltagliati, un’idea nata guardando a un classico italiani, ancora una volta adattato al pubblico giapponese. È un brasato servito però in due part: sotto un brasato goloso; sopra dei maltagliati. Una sorta di pasta in 2 servizi».
 

Berton al mare tra rigatoni e conchiglie

Anche Andrea Berton, come tanti colleghi, è rimasto folgorato sulla via della pasta secca: «Fino a qualche tempo fa ero da fresca o ripiena ma ora la bilancia pende più dal lato del grano duro: quando un piatto è fatto bene dà grandi soddisfazioni».

Soluzione numero uno della lezione (ore 14): Pasta ai frutti di mare, un grande classico che qui classico non è, naturalmente. È un rigatone Felicetti in equilibrio stabile tra vongole, cozze e fasolari “in coppa”, una pasta che si sente al palato. Un gusto diretto, naturale, con un che di terroso/sabbioso aggiunto da una polvere di porro disidratato, «un effetto griglia», rivela, «come se i frutti fossero stati cotti su una brace». Secondo piatto: Conchiglie al pepe e lumachine di mare con lenticchie germogliate, «Germogliate perché così hanno un sapore più morbido, non così legante o pervasivo. Ma non farmi dire di più».

Va bene, sviamo allora verso una nota interessante: d’estate, in carta in viale Liberazione c’è sempre un piatto di Spaghetti al pomodoro, gesto lodevole che dovrebbero imitare tutti i grandi ristoranti d’Italia, perché con quello non puoi bluffare. «Nella mia versione lo spaghetto è caldo e la salsa fredda. È una crema di pomodori con datterini frullati con olio extravergine, basilico fresco tagliato a julienne e crema di olive taggiasche. Per me, il principio più importante è che il pomodoro non dev’essere cotto». Aspettiamo trepidanti l’estate.
 

Enrico Croatti, dalla Romagna alle vette trentine

Esordio assoluto su questi schermi anche per Enrico Croatti (ore 14.45) del Dolomieu, ristorante contenuto nel DV Chalet hotel di Madonna di Campiglio. Il riminese classe 1982 ha scelto come titolo “A mani nude verso l'infinito”, un omaggio a Paul Preuss, un grande alpinista austriaco del primo Novecento, guarito da una forma di poliomelite, scalando vette da subito per sconfiggere il male (300 picchi già ascesi all’età di 11 anni!).

L’infinito di Croatti assumerà due forme: la prima sarà un piatto very hard, Pasta ai ricci di mare e carpaccio di toro, «Un omaggio al mio Maestro Gino Angelini», ci spiega, «che mi ha trasmesso la sua grande follia e conoscenza gastronomica. Adoro poter scoprire, conoscere e applicare la mia tecnica su ingredienti insoliti, ma di grande valore. In questo caso, i testicoli del toro».

Ascesa numero due: Ricordo di un coniglio alla paesana. «E’ un omaggio ad Anna Lucia e Carlo Alberto Bauer, che quarant’anni fa cominciarono il loro lavoro appassionato e competente di raccolta delle ricette della cucina tradizionale trentina. Erano mossi dall’amore per la loro terra e la loro cultura, espressa nei sapori e nei profumi, nel rapporto antico coi prodotti e coi cibi. Erano del tutto consapevoli della ricchezza di quella cultura, del patrimonio prezioso che stavano censendo». Come Croatti, esploratore delle vette trentine e della piana romagnola.
 

Davide Scabin, la quiete prima della tempesta

Della lezione di Davide Scabin (ore 15.30) è pressoché impossibile anticipare alcunchè. Come ogni edizione, le sue creazioni sono avvolte dal riserbo, un vuoto che puntualmente ha gli effetti del ciclone dopo l’ora scarsa spesa in Sala Blu 2.

I lettori di questa newsletter conoscono perfettamente la rivoluzione impressa sulla pasta secca dal rivolese. Un moto che ha preso corpo nel 2008, quando Scabin incrocia nelle sue traiettorie Riccardo Felicetti, del pastificio di Predazzo in Trentino. «Mi ha dato le chiavi della sua Ferrari», rievoca oggi grato il piemontese.

E lui che se ne fa? Prima di salirci a bordo, inizia a scrutarla con sguardo prospettico inclinato: «Impiegai due mesi per capire cosa volessi da lei. Fino ad allora era un piatto che mi faceva mia mamma a casa a stop. Avevo chiuso da un pezzo il mio ciclo legato alla progettazione e packaging delle forme, ma la pasta mi riconduceva violenta a quella dimensione. Conoscete infatti un oggetto più di design di uno spaghetto o di un conchiglione?».

No, in effetti. Da qui la pasta secca è finalmente sdoganata nei menu dei ristoranti di alta cucina e irrompe nei congressi d’Europa dalla porta principale, influenzando generazioni di cuochi. Se oggi trovate così tanti ristoranti che mettono in carta conchiglioni ripieni o grano duro come improvvisa star di un dessert, è a questo movimento iniziale che dobbiamo guardare. Un movimento che ogni anno si arricchisce di postulati numerosi e importanti: Pasta Combal Sushi, Spaghetti Pizza Margherita, Black is Black, Pasta and Salad, Pasta Squeeze, Fusillone Wrapped… Il prossimo nome, martedì prossimo.
 

Il senso di Tony Mantuano per il gluten-free

Con Tony Mantuano ci eravamo lasciati a ottobre a Chicago, a lezione con Ugo Alciati. Il cuoco decano di Spiaggia, l’insegna trentennale più famosa e prestigiosa della metropoli dell’Illinois, ci aveva lasciato con un’acquolina in bocca filologicamente “scorretta”.

Quel bel riavolo a forma di bauletto non era ortodosso, scriveva Federico De Cesare Viola, almeno per 3 motivi: «la sfoglia era cotta prima di comporre il raviolo (che in realtà, nonostante il suffisso –etto era invece oversize), il ripieno era di crescenza (prodotta a Dallas) e infine, e cosa più importante, era gluten-free».

Ad accompagnare nel piatto il solitario fazzoletto di pasta c’era una spadellata di funghi porcini freschi, rosolati nel burro marrone e un po’ di Grana Padano grattugiato espresso. Un piatto vigoroso e opulento, tutto giocato sulla qualità della materia prima. «Perché» – sottolineò Mantuano – «una delle cose che fa più arrabbiare gli italiani è quando all’estero si perde il controllo sulla qualità e sull’autenticità dei prodotti delle vostre regioni».

Il piatto gluten-free verrà replicato in Sala Blu 2 (ore 16.15) per la platea italiana. Seguirà una seconda pietanza, delle Linguine di farro. Due modi differenti per esplorare la personalità della pasta, finalmente e ovunque superiore a quella del sugo cui si accompagna.
 

La feconda follia di Viviana Varese

La pasta ha sempre giocato un ruolo centrale nei ghirigori disegnati da Viviana Varese (nella foto di Irene Voltlini), prima in via Adige e ora al secondo piano di Eataly Smeraldo. Una carta ricca pure oggi, lesta a passare disinvolta dal Superspaghettino con brodo affumicato e julienne di calamaro di sempre a nuove suggestioni come la Pasta con patate, estratto di basilico, pecorino e totanetti o il superopulento Tortello ripieno di arrosto con crema di zucca, spuma di grana, tartufo nero e castagne, sapori alla terza.

La lezione di Milano (ore 17), penultima della giornata, sarà un panegirico attorno alla follia. Ma pazzia in senso jobsiano, erasmodarotterdamiano, per cui le idee migliori non sono il frutto di un pensiero calibrato della ragione ma gesti figli di una lucida e visionaria follia. Perché, confermò Einstein «solo quelli che sono matti da pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero». Stay hungry, stay foolish, insomma.

«Io sono folle ma ben accompagnata», ci anticipa la cuoca in una gelida sera di fine gennaio. Ecco perché alla lezione di Sala Blu 2 a un certo punto saliranno sul palco tutti e 34 i membri dell’equipaggio Alice, uno squadrone che abbiamo già visto sfilare per intero tra le pagine di “Alice e i nati per soffriggere”, testo in cui ognuno di loro firma una ricetta. I due piatti di pasta della lezione (che se rimane del tempo diventeranno tre) saranno una tagliatella di farina di ceci (gluten free al 100%) e degli spaghettini frullati a cous cous che si gioveranno della felicissima compagnia di un broccolo, torsolo incluso. Il resto, sorpresa.
 

Bottura, the Picasso of pasta (secca?)

La foto di Paolo Terzi immortala Massimo Bottura in apertura a un articolo ficcante, pubblicato su Artspace. Il titolo, The Picasso of Pasta?, è aperto. Di certo il punto di domanda si cancella da sè a pensare allo straordinario campionario di paste fresche o ripiene allestito nei decenni dal modenese. Martedì (ore 17.45) Bottura salirà sul palco per la prima volta a spaccare il capello di una pasta secca. Il titolo promette bene: Lo spaghetto che vuole diventare una lasagna. La consacrazione?