Gentile {NOMEUTENTE}
Un giorno chi mi chiede il miglior pasto della mia vita o dell’anno che sta per concludersi. In un’altra occasione ecco un lui smanioso di sapere dove può portare una lei perché si sciolga completamente (e in certi casi mi viene da rispondere da Pomellato, perché una cena certo non basta). Poi c’è quello che vuole tanto, magari pure tutto, senza però spendere (“Sai, se telefoni e prenoti tu…”) piuttosto che il gruppo Vacanze Piemonte, da evitare perché è altissimo il rischio della grolla finale piuttosto che del coro e magari addirittura del trenino.

La faccio breve: per quante cose possa sentirmi chiedere, sogno di potere un giorno parlare con orgoglio di una scuola milanese della pizza. Non ho la minima idea di come potrebbe essere, non vale rispondere allo zafferano o al prezzemolo. Intendo tutto quello che sta a monte della guarnizione, del cielo come farine, impasto, lievitazione, cornicione o non cornicione, temperatura del forno, tempi di cottura. E ancora mozzarella sempre o mozzarella con giudizio… tonda, una a testa, o tonda servita a spicchi assieme con lui, lei, loro…

Ecco, non si potrà mai dire a Ferran Adrià che la pizza è nata a Milano, leggere per favore la seconda notizia, ma quando si inizierà a parlare seriamente di pizza nella città dell’Expo 2015?

Paolo Marchi
Testi di Carlo Passera e Luciana Squadrilli
 

Storie di mani e di farina

Assodato che viene prima il grano della farina (leggi sul numero precedente di Identità di Pizza), dopo la farina viene sicuramente l’impasto. E per fare un impasto ci vogliono anche le mani. Come dire che la farina diventa arte attraverso le mani dell’artigiano. Mani che trasformano storie di vita in prodotti esclusivi, unici e riconoscibili come gli artigiani che li hanno ideati. Frammenti di alimentazione che ridisegnano una gastronomia in perenne divenire secondo il mutare dei tempi.

Mani e farina sono il punto di partenza, poi serviranno i lieviti, l'acqua, i grassi, le uova, lo zucchero. A seconda del punto di arrivo, dolce o salato. E infine il calore del forno o della cucina, che modella il gusto e definisce i colori. Quest'anno a Identità di Pane e Pizza, lunedì 9 febbraio 2015 (leggi il programma qui) avremo veri momenti di puro coinvolgimento, dove ascolto e tatto troveranno numerose occasioni di incontro per comprendere i piatti attraverso le storie che li hanno fatti nascere. È sarà straordinario guardare al di là delle ricette per cogliere il filo che lega personaggi così diversi come Francesca Morandin, Rocco Princi, Simone Padoan, Renato Bosco e Alberto Morello (in ordine di apparizione sul palco).
Piero Gabrieli
 

Adrià e la pizza: morbida o croccante?

¿Cuál fue la primera pizza de la historia? Quale è stata la prima pizza della storia? La domanda a bruciapelo twittata qualche tempo fa da Ferran Adrià ha fatto scattare sull'attenti in molti: che intenzioni ha lo chef più innovatore del pianeta? Che voglia lanciarsi anche lui nell'avventura di una pizzeria? In realtà la domanda si affianca a tanti altri simili quesiti con cui lo chef catalano invita i lettori a partecipare alla sua “sfida” gastronomica sul sito e sui social della Fundacio Telefonica, progetto culturale spagnolo che ospita la mostra Ferran Adrià: Auditando el proceso creativo. Una sorta di full immersion nell'universo creativo di Adrià e del suo team ai tempi di elBulli e oltre, visitabile presso l'Espacio Fundación Telefónica fino al 1 Marzo 2015.

Ma a quanto pare Ferran sulla pizza ci sta lavorando davvero: a ottobre – più o meno in concomitanza con il tweet sulla pizza – in occasione di un viaggio negli States per un intervento sul processo creativo alla Harvard University di Boston, è stato avvistato a New York seduto all'ambito “pizza bar” della lanciatissima pizzeria Marta di Danny Meyer e Nick Anderer. Tra gli indirizzi più hot della Grande Mela, Marta è famoso per le sue pizze sottili e croccanti di “scuola romana”.

E sarebbe proprio questo tipo di pizza che interessa maggiormente ad Adrià tanto che, in visita – di piacere o lavoro? – a Napoli, pare sia rimasto “deluso” da alcune pizzerie tradizionali presso cui era stato indirizzato da Marco Bolasco, o meglio dallo scoprire che la vera pizza napoletana è soffice e non croccante D'altro canto, egli stesso nel suo tweet scriveva anche: “Investigare le origini ci aiuta a reinventare”. Cosa tirerà fuori dal forno Ferran?
LS
 

Antonio Pappalardo, passione Australia

Vien voglia di chiamarlo “Antonio l’Australiano” per i suoi numerosi viaggi nel Nuovissimo Continente. D’altra parte lui è così: poliedrico, adrenalinico, fantasioso, ambizioso, mai domo: come quando non si accontentò della solita pizza “alla napoletana” servita nel locale di famiglia – origini di Castellammare di Stabia, ma a Rezzato (Bs) da anni – e decise di avventurarsi sui sentieri ancora poco conosciuti della pizza da degustazione. Ne ha fatta di strada (e di ore di volo) da allora, Antonio Pappalardo: a fine ottobre era di nuovo in Australia, invitato da Stefano Manfredi, che in quel Paese è una istituzione in campo gastronomico e che ha voluto il giovane collega per curare l’apertura della sua nuova pizzeria a Sidney, un locale che si chiama Pizzaperta.

Il binomio Pappalardo-Manfredi si è rivelato fertile e il primo è tornato nel Belpaese con un bel carico di idee. Ne è seguita la serata Walkabout Pizza alla Cascina dei Sapori, sorta di bilancio dell’esperienza coronato dalla presentazione di una pizza speciale, nata dalla collaborazione tra i due. Una delizia assai golosa e piaciona (nella foto Aromicreativi): impasto realizzato con farine Petra (Petra 1, Petra 3 e Petra 9), cotto in forno a legna; farcitura con crema di noci macadamia, capasanta grigliata, chips di crudo e crumble di macadamia tostata. È stato lo zenith di una serata-evento da leccarsi i baffi: dopo un aperitivo con degustazione di alcune delle materie prime selezionate da Pappalardo per i suoi topping, ecco un Panino cotto a vapore (impasto realizzato interamente con farina integrale Petra 9) farcito con baccalà mantecato, crema di cavolfiore e cappero confit dall’aromaticità così intensa da sbaragliare gli avversari.

Poi un’altra pizza da degustazione: impasto realizzato con lo stesso mix di farine della precedente, cottura in forno a legna, farcitura composta da bufala affumicata, broccolo, ciccioli e rapanelli. Squisito anche l’ultimo assaggio, di pizza in teglia alla romana con impasto ad alta idratazione con farina Petra 3 e cottura in forno elettrico. Leggero e croccante, dunque, per fare da contrappunto all’eccezionale intensità della farcitura: fiordilatte, guanciale nostrano, stracchino delle pertiche e radicchio tardivo.
CP
 

Jim Lahey, senza impasto dall'Italia a New York

Spesso si sottolinea la differenza tra l'artigiano – come solitamente ama definirsi chi lavora con il cibo – e l'artista, ma nel caso di Jim Lahey potrebbe essere difficile. Panificatore e pizzaiolo americano – titolare della mitica Sullivan Street Bakery da 20 anni, e dal 2009 anche della pizzeria Co. – Lahey “nasce” scultore e ha il temperamento dell'artista, concentrato quando serve ma in perenne cerca di ispirazione. E in patria viene riconosciuto come un rivoluzionario, per la sua tecnica d'impasto particolare che riprende un'antica tradizione italiana.

In occasione del tour di presentazione dell'edizione italiana del suo libro “Pane senza impasto” (Guido Tommasi Editore), lo abbiamo incontrato per farci raccontare del suo metodo per fare il pane (e la pizza), e del suo rapporto con l'Italia. «Ero venuto qui, nel 1986, per studiare da vicino gli artisti italiani – racconta Jim – ma la vera rivelazione fu l'approccio al cibo, l'abitudine a mangiar bene e a fare attenzione a quel che si metteva nel piatto. Una cosa totalmente nuova per me, negli USA di 30 anni fa». Jim torna negli States e, tra delusioni d'amore, l'insofferenza per il junk food e le difficoltà dell'ambiente artistico, scopre di trovare sollievo in una cosa sopra ogni altra: la cucina, e l'impasto. «Per me fare il pane era una specie di autoterapia: dormivo con la pagnotta accanto al letto!». Una volta deciso che l'arte bianca sarebbe stata la sua strada, nel '91 torna in Italia per studiare: questa volta con i panificatori italiani, a San Gimignano, Roma, Genzano.

È da qui che nasce la sua “rivoluzione”: niente rinfreschi continui e procedimenti complicati, il pane buono è alla portata di tutti. Come facevano una volta le donne di casa che avevano poco tempo, servono farina, sale e poco lievito secco; si aggiunge l'acqua, si mescola velocemente e si lascia fermentare l'impasto, dando il tempo di crescere. Una volta pronto si tocca appena, poca pieghe ed è fatta. Dopo un altro riposo in canovaccio, l'impasto si passa in una pentola in ghisa scaldata a 250°, coperta per intrappolare l'umidità, e poi si cuoce; servono pochissima fatica, attrezzatura base e un po' di pazienza.

«Il pane è sempre stato semplice – dice Jim – siamo noi che lo facciamo complicato». Stesso procedimento per la pizza, che ha però un impasto meno idratato e più consistente per poter essere lavorata. Qualche fortunato ne ha potute assaggiare alcune in occasione della serata organizzata a novembre con Katie Parla da Emma, a Roma, per la presentazione del libro. Gli altri, possono andare a trovare Jim nella Grande Mela.
LS
 

Alle prese con “l’altro” cioccolato di Modica

Piace a molti pizza-chef il cioccolato modicano Sabadì, che ha ormai ampia fama “gourmand”: lo si acquista da Selfridges a Londra, da Eataly un po’ ovunque. Non a Modica, qui il suo creatore, Simone Sabaini, 40 anni, di Verona, non ha voluto alcun punto vendita, solo un modesto laboratorio. Inutile dire che utilizza il cacao migliore, proviene dall’Ecuador. Ma soprattutto ha ideato un sistema di produzione diverso da quello tradizionale: «Per come è realizzato di solito, il cioccolato presenta aromi che decadono troppo rapidamente».

Bisogna allora trovare strade alternative, inventare macchinari specifici, «applicare la tecnologia a una lavorazione classica» per far sì che possa avvenire a temperatura più bassa, con un ciclo più lungo; così le tavolette riescono a mantenere intatta nel tempo la loro carica aromatica. Ed entrano pertanto nelle cucine di numerosi chef. Simone Padoan le utilizza come componente di alcune sue pizze. C’è quella con sedano rapa grigliato, rapa, cipolla in carpione, “terriccio” di cioccolato e nocciole (nella foto Aromicreativi); c’è l’altra che vi unisce distillato di Prime Uve, battuta di manzo e spinacino; oppure la “Orto dolce”, che presenta il Modica insieme a frutta e verdura candita, cremoso alla carota e cioccolato bianco, sorbetto gelato alla mandorla di Noto.

L’altro pizza-chef Renato Bosco ci fa un dessert (semifreddo al cioccolato con tocchetti di pane da lievito madre); Davide Longoni un panettone, Paolo Parisi vi condisce i ravioli di carne, con maggiorana e arancia rossa; al Cru.dop di Roma lo spolverano sui crudi di pesce; se ne servono anche due fornelli creativi come Nicola Cavallaro e Fabrizio Mantovani. E Teo Musso lo abbina alle sue birre.
CP
 

Pro Loco Pinciano, pizze made in Lazio

Ha aperto da pochi mesi – per la precisione dalla sera del 31 ottobre – ma ha già una nutrita schiera di fan e clienti affezionati. Stiamo parlando di Pro Loco Pinciano, la nuova “pizzeria con bottega” aperta da Gastone Pierini e Fiorentina Ceres (entrambi nome noti della ristorazione romana, Gastone in particolare con il fratello Franco già protagonista di diverse “avventure” tra cui il Moma) a due passi da Porta Pia. Zona fino a poco tempo fa sguarnita dal punto di vista gastronomico, che adesso – con Marzapane, Portineria, Enoteca Guerrini e qualche altro indirizzo più quest'ultima novità – sta diventando ad alta densità golosa. Se poi il nome vi ricorda qualcosa, siete nel giusto.

Gastone e Fiorentina hanno infatti voluto coinvolgere nel progetto – in qualità di fornitore/supervisore – anche Vincenzo Mancino, creatore di Dol-Di Origine Laziale, marchio con cui seleziona e distribuisce i prodotti di eccellenza del Lazio spesso misconosciuti dagli stessi abitanti della regione, e di Proloco a Centocelle. Il locale in zona Pinciana ne riprende il nome e la formula: un grande banco all'ingresso e scaffali con ogni bendidio esposto in vendita per l'asporto o il consumo in loco (salumi e formaggi straordinari, in primis) e i tavoli a cui sedersi per assaggiare gli stessi prodotti protagonisti di gustosi piatti di cucina, e soprattutto delle pizze cotte al forno a legna. Tutto laziale – e all'insegna della digeribilità – anche l'impasto, molto idratato e ottenuto da un mix di farine locali con una percentuale di grano spezzato, olio exravergine del Lazio e pasta madre di riporto dell'impasto del pane del Moma «perchè ci piace l'idea che la pizza torni ad essere figlia diretta del pane, e ne conservi il sapore come era in origine» spiega Gastone.

Ma in questo caso a rubare la scena all'impasto ci sono i condimenti, rigorosamente a base di (straordinari) prodotti laziali di stagione o in conserva, dai formaggi della Tuscia al prosciutto di maiali Mangalitza allevati dallo stesso Mancino, fino alle verdure dell'orto. Qualche esempio stagionale? La Monte San Biagio con broccoletti, scamorza e salsiccia di Monte San Biagio (aromatizzata con coriandolo), la Bianca di montagna con fiocchi di ricotta fresca, guanciale cotto nel vino bianco e verza stufata o la pizza di Novembre con marzolina, prosciutto di Mangalitza e zucca fresca.
LS
 

La bella storia di Franco Pepe per l'Africa

C’era la fila – decine di persone in lista d’attesa, un riscontro nettamente superiore alle attese, ovvio il tutto esaurito – qualche giorno fa a Caiazzo, dove è andata in scena una doppia bontà: quella delle pizze di Franco Pepe, l’uomo che ha fatto assurgere questo paese del Casertano a meta gourmand grazie alla sua super-pizzeria Pepe in Grani; e quella derivante dalle motivazioni del pranzo-evento di domenica 14 dicembre, fortemente voluto da Pepe stesso per dare un aiuto concreto all’associazione Sorridi Konou Konou Africa onlus. Una bella storia. Che parte della Campania e raggiunge il Benin, piccolo Stato dell’Africa Occidentale con tutti i problemi che affliggono l’area.

Qui è attiva da tempo l’associazione, presieduta dal professor Enrico Di Salvo, direttore del DAI di Chirurgie specialistiche, Nefrologia alla Federico II di Napoli. Il caso ha voluto che una ragazza di Caiazzo, Antonietta Perrone, sia impiegata nello stesso reparto, come ingegnere clinico: da qui il contatto e l’inizio della collaborazione, tre mesi fa…. attraverso una pizza, ideata da Pepe per l’occasione: la SorridiAfrica (nella foto), ricca di un topping con il quale il maestro pizzaiolo ha voluto «ricordare i colori di quella terra: il marrone, il giallo…», spiega. E quindi: paté di olive, capperi, crema di peperoni, pomodori secchi e formaggio del Matese, un mix di sapori incredibile, ben bilanciato, che ha deliziato il centinaio di presenti ieri.

Il resto l’han fatto i racconti dei responsabili della Sorridi Konou Konou Africa onlus: l’illustrazione dei traguardi raggiunti e degli obiettivi prefissati per il triennio 2015/17, oltre a una proiezione degli scatti fotografici di Luciana Latte collezionati nel corso delle varie missioni (quella conclusa è stata la quindicesima nel Benin). Peraltro, l’impegno di Pepe non si è esaurito ieri. La pizza SorridiAfrica, da tre mesi nel menu, vi rimarrà ancora parecchio tempo, un anno in tutto, e il 70% del suo ricavato totale verrà sempre devoluto in beneficenza alla stessa Sorridi Konou Konou Africa.
CP
 

Due Gatti: dopo Borgotaro, Parma

I Due Gatti si sono sdoppiati: ma non attirano quattro gatti, bensì folle plaudenti le loro ottime pizze da degustazione. Per dirla in altre parole: a Massimo Gatti, giovane tanto ambizioso quanto preparato, iniziava a stare un po’ stretta la perifericità del locale di famiglia, in quel di Borgo Val di Taro, dove rimangono babbo Dino in sala (ossia l’altro “Gatti”) e il cognato Samuele Magro in cucina. Così, da qualche mese ha aperto un localino in centro a Parma: pochi metri quadrati, qualche sgabello per chi vuole mangiare sul posto ma soprattutto tanto take away.

Le materie prime sono selezionatissime, c’è persino un dépliant che indica i fornitori uno a uno, con tanto di distanze chilometriche. Tre le tipologie di pizza in carta, in base al formato: bassa (tonda e croccante), alta (al trancio e leggera) e chisolino, la focaccina farcita di queste parti. Tutti gli impasti, con farine Petra, sono a lunga lievitazione naturale. Per il topping, si va dalle proposte classiche a quelle speciali, più innovative. Noi abbiamo voluto spaziare: esordio col chisolino Da Anselmo, con burrata pugliese e culatello selezione Lucedio Bocchi, grande eleganza. Secondo assaggio, altro chisolino, il Gattone, con prescinsoa, pesto genovese, cotto e pomodoro, a ricordarci che la Liguria è vicina.

Poi pizza quadripartita (nella foto Passera) di livello eccezionale, ogni spicchio una diversa vocazione. Quello denominato Fragno presenta un sontuoso topping con fiordilatte, fontina, uovo biologico e tartufo nero di Fragno; pizza, questa, eminentemente stagionale come quella rappresentata dallo spicchio successivo, Puntarella di luna, con fiordilatte, alici, olio agli agrumi e aglio nero: eccezionale la croccantezza e l’aromaticità. Poi Don Camillo, inno al genius loci, apoteosi di golosità: fiordilatte, crema di parmigiano, cipolline borettane cotte nella fortana, spalla cotta di San Secondo “Antica Ardenga”. Infine una proposta strong da altri lidi: Aspromonte, con pomodoro, fiordilatte, provola affumicata, ‘nduja e cipolla.
CP
 

Le Strade della Mozzarella a Parigi

“Qualcosina” di italiano, dentro al Louvre, c'era già: dalla Gioconda alle sculture di Canova, sono tanti i gioielli italiani conservati nel prestigioso museo parigino. Ma il 28 e 29 novembre ha fatto il suo ingresso trionfante al Carrousel du Louvre – spazio polifunzionale all'interno del polo museale - anche un altro prezioso simbolo del made in Italy: la pizza. «La Véritable Pizza», erano intitolati i due atelier dedicati alla pizza napoletana inseriti nel programma parigino de Le Strade della Mozzarella con protagonisti Salvatore Salvo e Franco Pepe, introdotti da Enzo Vizzari.

L'evento era inserito all'interno del programma del Grand Tasting enologico curato da Michel Bettane e Thierry Desseauve, e oltre alla pizza e alla Mozzarella di Bufala Campana Dop c'erano grandi vini di Francia e d'Italia, pasta di Gragnano, pomodoro del piennolo del Vesuvio e San Marzano. Ma la pizza è stata la vera protagonista della manifestazione. Sold out i laboratori dei pizzaioli italiani, che hanno portato nella capitale francese la propria maestria illustrando tecniche e prodotti e facendosi portavoce dei rispettivi territori e dell'Italia intera. Apprezzatissime le pizze sfornate - la Margherita con mozzarella di bufala e San Marzano per Pepe e la Margherita con bufala e pomodoro del piennolo del Vesuvio per Salvatore Salvo – anche grazie al forno elettrico trasportabile della Izzo Forni, con base in biscotto di Sorrento per garantire la cottura ottimale anche in trasferta.

Gran finale, poi, il 29 sera alla pizzeria La Famiglia, uno dei tre indirizzi cittadini dei Rebellato, con la partecipazione anche di Enzo Coccia e del pizzaiolo “residente” Gennaro Nasti, introdotti da Luciano Pignataro: i parigini sono stati definitivamente conquistati da pizze fritte, pizze a libretto e “cosacche” a cui Nasti ha affiancato una goduriosa pizza “internazionale” con pomodori San Marzano infornati, mozzarella di bufala campana, foie gras e schiuma di latte di bufala.

Insomma, una bella sferzata di orgoglio per la pizza, grazie alla prima tappa europea – altre ne seguiranno a Ginevra e Londra - della manifestazione gastronomica che si svolge ogni anno a Paestum. Questa volta è toccato alla tradizione napoletana, ma anche le altre “scuole” della pizza made in Italy fanno parlare di sé in tutto il mondo, dalla Francia all'Australia.
LS