Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Questo numero di Identità di Pasta, la newsletter numero 39, è del tutto speciale. Non riporta né notizie né ricette, bensì una concreta, polposa intervista a Riccardo Felicetti, da poco presidente dei pastai mondiali, un dialogo con Gabriele Zanatta ricco di spunti perché quando le persone sono intelligenti, non sono mai banali. Estrapolo giusto una frase: “Vorremmo far capire che la pasta non è solo questione di chimica o di calorie ma è anche fonte di grande godimento”.

Ecco, a volte, a furia di inseguire la novità o a contare i secondi in più o in meno di cottura di uno spaghetto, ci scordiamo che un piatto, alla fin fine, deve far godere il palato del cliente e contribuire ad affollare il locale. Lo scrivo perché a volte hai il dubbio che, in Italia, più un posto è piccolo e vuoto più per taluni è interessante.

Paolo Marchi
 

INTERVISTA A RICCARDO FELICETTI

Il 24 ottobre scorso, Riccardo Felicetti è stato nominato a Buenos Aires nuovo presidente dell’Ipo, International Pasta Organisation, organismo cui afferiscono 10 associazioni di pasta del mondo (tra cui l’italiana Aidepi), 2 organizzazioni europee e 11 aziende produttrici in rappresentanza complessiva di 18 paesi produttori. Una sorta di “Onu della pasta”, per la prima volta dalla sua fondazione (25 ottobre 2005) guidata da un esponente italiano. Felicetti succede infatti al brasiliano Claudio Zanao e al venezuelano Simon Nobile Olivo. Un ottimo motivo per un’intervista col pastaio trentino. Si parla del suo nuovo ruolo istituzionale e degli orizzonti della pasta, inclusi quelli dell’alta cucina. Una chiaccherata a tutto campo.

L’Italia è il più grande produttore di pasta al mondo. Come mai solo ora Ipo elegge un presidente italiano?
Perché si è sempre preferito dare spazio a esponenti di nazioni e continenti in cui la pasta ha ancora margini di crescita, in termini produttivi e di popolarità. Quest’anno si è deciso fosse il momento del nostro turno. Sono stato eletto per acclamazione, un fatto che mi onora ma che soprattutto mi chiama ad agire.

Quali sfide la attendono?
Vorrei tenere un profilo meno istituzionale ed essere più operativo dei miei predecessori. La sfida più grande è reagire agli attacchi di quella corrente “carbofobica” nord-americana che viene amplificata dai mezzi di comunicazione di massa. Opinion maker che demonizzano i carboidrati magari dopo aver combattuto dagli anni Sessanta i grassi, lanciando la moda del low fat. Il fatto che ne decenni successivi l’obesità sia aumentata a dismisura fa dire loro ‘sarà mica colpa dei carboidrati e quindi della pasta, regina del suddetto chimico?’.

Sarà per questo che ultimamente leggiamo da più parti, per esempio sul Time, di una nouvelle vague delle proteine e del burro?
Sì perché negli ultimi anni il consumo a livello internazionale di pasta cresce a doppia cifra, mentre invece la carne subisce il movimento opposto. Allora c’è chi cerca di bilanciare il movimento demonizzando i carboidrati, decantando i benefici della cosiddetta vita low carb. Se pubblichi un libro che titola “W la pasta” avrai sicuramente meno lettori di chi, com’è successo, propone centinaia di ricette che fanno polemicamente a meno della pasta. Ma il problema dell’obesità è legato allo stile di vita che conduciamo, non certo all’assunzione di carboidrati.
 



Cioè?
Dovremmo prendercela con l’eliminazione progressiva dell’ora di educazione fisica nelle scuole. Con la cultura per cui giocare alla play station è più cool che correre al parco. Come dicono sempre gli americani, il messaggio giusto che dovremmo far passare è “Eat less and move your ass”, non “basta mangiare pasta che ingrassi”.

Anche perché il mondo oggi mangia più pasta di sempre.
Sì, il movimento cresce a doppia cifra, dicevamo. Ma queste voci rallentano la crescita. È il motivo per cui nel mio mandato vorrei girare le cose in senso positivo: la pasta è un prodotto sano, naturale, sostenibile, accessibile, facile da conservare e da preparare. È il prodotto più crossover della cucina mondiale: pensiamo ad esempio all’infinito numero di formati che esistono o alla sua grande versatilità e praticità. È per questo che sempre più nazioni iniziano a produrla in proprio. Paesi fino a pochi anni fa insospettabili, come la Russia, l’Iran o la Somalia.

Qual è il prossimo appuntamento importante di Ipo?
Il congresso mondiale della pasta, che avrà luogo all’Expo di Milano nell’ultima settimana di ottobre 2015. Si parlerà di tecnologie, di evoluzione delle materie prime, del mondo dell’alimentazione e di come ognuno di noi vede la pasta. Vorremmo divulgare nel modo più semplice ed efficace possibile le informazioni scientifiche che riguardano quest’alimento. Parallelamente, vorremmo far capire che la pasta non è solo questione di chimica o di calorie ma è anche fonte di grande godimento. Che poi è uno degli obiettivi che stanno dietro ai quasi 5 anni della presente newsletter di Identità di pasta.

In questi anni abbiamo pubblicato centinaia di post su un modo di intendere la pasta un po’ sacrilego rispetto a quello della tradizione. Quant’è importante allontanarsi da certi modelli?
È fondamentale, pur mantenendo inalterato un profondo rispetto per la nostra storia e per la nostra tradizione. Siamo andati molto oltre le abitudini che imperavano fino a una ventina di anni fa, quando la pasta secca era protagonista sulle tavole del 99% delle famiglie italiane ma totalmente assente su quelle dell’alta cucina. Al ristorante di pregio si andava per assaggiare prodotti speciali: l’aragosta e il foie gras; mica il piatto di spaghetti. Quello te lo facevi a casa per sfamarti e stop. Se le cose sono cambiate lo dobbiamo innanzitutto al particolare momento storico: oggi c’è molta più cultura del prodotto. Ma dobbiamo dire grazie al mestiere sempre più serio e articolato di tanti pastifici. E quello dei grandi cuochi che sanno modificare il percepito della pasta secondo approcci mai visti prima.
 



Maestro del genere è Davide Scabin (foto), al cui lavoro il suo pastificio è legato da anni.
In questi anni ha fatto un lavoro straordinario di ricerca e capacità con i prodotti della nostra linea Monograno, in ogni direzione. Se oggi la pasta è da più parti intesa non più come veicolo accessorio del sugo, il merito è da ascrivere soprattutto a lui e al suo modo di intenderla come materia prima che materia prima. Così come dobbiamo a lui l’abitudine dei cuochi, da qualche tempo piuttosto diffusa, di pensare la pasta anche come appetizer, snack o anche dolce. Perché, dice proprio il cuoco di Rivoli, ‘la pasta può essere anche un primo’.

Scabin dice anche che occorre una grande materia prima per poterlo fare.
Sì, e di questo lo ringrazio. Monograno è un progetto che nasce nel 2000 e che viene presentato nell’ottobre del 2004. Sono passati 10 anni durante i quali non abbiamo mai smesso di confrontarci con agricoltori e mugnai. La nostra fortuna è che abbiamo potuto procedere nello sviluppo senza farci influenzare dai costi – molto elevati.

Di tutti i piatti concepiti nel vostro sodalizio, quale ricorda più volentieri?
Ce ne sono tanti. Gli Spaghettoni con la carbonara squeeze sono i primi che mi vengono in mente. Goduria pura. Ma forse il massimo l’ha raggiunto con Black is black, un’opera d’arte. Ma sono molto legato anche a uno dei piatti più recenti, la recentissima Pasta nuda perché, per la prima volta, esprime la possibilità di assaggiare un puro prodotto senza condimento. Se ne possono valutare, non tanto i parametri di resistenza alla cottura – una questione opinabile – ma tutte quelle caratteristiche da sempre annegate sotto dosi sostanziose di condimento: il colore, il sapore e il profumo.

Sono tutti piatti d’avanguardia della pasta.
Sì, anche se, a pensarci bene, è splendido anche il movimento che rilegge con le logiche di oggi dei piatti iper-tradizionali. Per esempio, a me dà emozione la Tagliatella al ragù che Davide tiene in carta in tutti i suoi 3 ristoranti (Combal.zero a Rivoli, Blupum a Ivrea e Mulino a Vino a New York, ndr). Sopra al piatto, al momento del servizio al tavolo, il cameriere ci arrotola sopra 3 piccoli riccioli di burro. Un’emozione di quand’ero bambino. Faceva lo stesso mia nonna a Bellamonte, sopra alle teglie di pasta fredda.
 



Ci sono invece dei piatti di pasta di Scabin che non hanno mai visto la luce della sala?
Sì, e sono tantissimi. Ricordo un Cannolo dolce fatto con le tagliatelle all’uovo, ripieno di quella crema pasticciera che solo sua sorella Barbara riesce a fare così bene. Oppure il Rigatone di kamut semicotto e poi grigliato con triglia, polpo e pomodoro.

E i primi più buoni assaggiati altrove?
Sono tantissimi. Penso agli Spaghetti neri freddi con crema di yogurt e uova di salmone di Gualtiero Marchesi. All’Insolito Trentino di Alfio Ghezzi della Locanda Margon di Trento, un piatto spiazzante. Sono stato entusiasta degli Spaghetti al peperone rosso e acciughe salate, un pezzo unico con doppia firma: Carlo Cracco e Matteo Baronetto (in foto). Gli Spaghettoni con panna burro e alici di Massimo Bottura, un piatto del 2011, mi ha invece spalancato un mondo. Un primo magico.

Ci sono cuochi che danno valore alla pasta anche all’estero?
Sono tanti quelli che iniziano a lavorare bene. Penso a Francesco Mazzei del ristorante L’Anima di Londra. O ad alcune altre insegne dell’estremo oriente: in Giappone mi è successo almeno in 3 posti. A Hong Kong gli italiani Umberto Bombana e Pino Lavarra conoscono benissimo l’arte del primo piatto.

E i cuochi stranieri?
Esistono già nel mondo ottimi interpreti e il loro numero non può che aumentare.

Gabriele Zanatta