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E’ in rete da pochi giorni il programma di massima della prossima edizione di Identità Golose a Milano, da domenica 8 febbraio a martedì 10. Confermata la giornata nata dalla collaborazione con il Molino Quaglia: lunedì mattina, il giorno 9, si parlerà di pane e il pomeriggio di pizza. Otto i relatori, ma uno va ancora confermato, mentre Vitantonio Lombardo, tale la sua appassionata lezione a ottobre a Identità New York, sarà in scena anche a Milano quando tornerà a parlare di pizza in nero confrontandosi con Angelo Rumolo, uno chef stellato e un pizzaiolo iridato gomito a gomito nel segno della massima qualità italiana.

Paolo Marchi, testi di Carlo Passera e Luciana Squadrilli
 

Viene prima il grano o la farina?

L’edizione 2014 di PizzaUp ha offerto l’occasione per fare luce sul concetto di digeribilità e sul perché il giudizio “più” e “meno” digeribile sia erratamente riferito a un piatto nel suo insieme, come ad esempio la pizza. È stato digerito quanto l’intestino ha trasformato in energia e nutrimento per il nostro corpo. E quel “quanto” è un “brodo" di zuccheri, proteine, grassi, vitamine e sali minerali, non certo uno spicchio di pizza così come lo vediamo nel piatto.

Una pizza può rendere semmai la digestione facile o difficile, a seconda degli ingredienti utilizzati, della tecnica di lievitazione e dei tempi di maturazione degli impasti, della tecnica di cottura (tempi, materiali e temperature) e, non ultimo, dall’abbinamento con altri cibi e bevande. Forse gli esperti di medicina lo sapevano già, ma, noi che non lo siamo, con PizzaUp ci siamo resi conto che gonfiore di stomaco e senso di pesantezza sono parametri di giudizio troppo generici, e il più delle volte sbagliati, per valutare la digeribilità di una pizza isolata rispetto al pasto.

D’altro canto, la scelta di ingredienti sani e il rispetto delle loro caratteristiche nutrizionali durante la lavorazione sono determinanti per facilitare la digestione di un alimento. Prendiamo la farina: i pizzaioli hanno dimenticato che per fare una pizza sana (e per sano si intende compresenza di equilibrio nutrizionale e sicurezza alimentare) l’ingrediente di base degli impasti è il grano e non la farina, perché i carboidrati facilitano la digestione se sono presenti assieme a tutte le parti del chicco di grano.

La farina non è altro che la forma impastabile del grano, e per essere nutriente deve contenere tutte le parti del chicco secondo l’equilibrio naturale. E se più o meno digeribile non deve riferirsi alla pizza, così migliore o peggiore non qualificano correttamente la farina, ma esclusivamente il grano dal quale trae origine.
(Nella foto, la Pizza Italia 2015 di Alberto Morello della pizzeria Gigi Pipa di Este, relatore a Identità di pizza a Milano, lunedì 9 febbraio 2015).
Piero Gabrieli
 

PizzaUp/1: studio, comunicazione e identità

A voler stilare un bilancio di PizzaUp, il simposio tecnico sulla pizza d’autore chiusosi a Vighizzolo d’Este, potremmo usare tre parole: studio, comunicazione, identità. In ordine non casuale, perché è questo il percorso suggerito da Chiara Quaglia e Piero Gabrieli, come sempre organizzatori inappuntabili, ai 58 pizzaioli partecipanti, accomunati dalla voglia di apprendere, scambiare, condividere, con l’obiettivo di dare forma alla pizza del futuro.

Studio innanzitutto, perché tale è stato da sempre il principio cardine di PizzaUp, luogo in cui si viene ad apprendere tecniche, ad approfondire temi, ad analizzare innovazioni. Ci s’iscrive per una sorta di “aggiornamento professionale “ di altissimo livello e riguardante non il prodotto standard, ma quello d’autore, o gourmand. Per la delineare quindi il percorso futuro della “nuova pizza all’italiana”, da degustazione. Poi, c’è la sempre maggiore necessità di comunicare, sottolineata da Gabrieli: non basta produrre alta qualità, bisogna anche spiegarla, farla comprendere al di fuori dello stretto giro di appassionati. Perché – è il terzo elemento del trittico del quale vi stiamo parlando – solo così può acquisire un’identità precisa in grado di distinguere la pizza d’autore dalla massa dei prodotti che abbiamo definito standard, ma facilmente potremmo anche chiamarli col loro aggettivo più adatto: mediocri.

E proprio con una forte dichiarazione di alterità rispetto a tanta improvvisazione diffusa nei forni e alle polemiche recenti che ne sono seguite si è chiusa la tre giorni. I 58 si sono chiamati fuori: le schifezze non sono cosa loro. «Non abbiamo alcuna colpa dalla quale difenderci, non abbiamo nulla dal quale dobbiamo essere difesi. Dobbiamo batterci perché venga riconosciuto il valore di quello che facciamo», ha scandito Simone Padoan, un po’ il loro capofila. Report ha lasciato l’amaro in bocca, non tanto per la trasmissione in sé, quanto per lo strascico qualunquista che ne è seguito e tutto ha teso ad accomunare, il buono e il cattivo, chi froda e chi, invece, insegue la qualità con determinazione.
CP
 

PizzaUp/2: delineare la pizza del futuro

In tre termini abbiamo riassunto un bilancio di PizzaUp, altrettanti sono stati usati da Piero Gabrieli per raccontare i temi di questa ottava edizione: calore, digeribilità ed engagement, termine del marketing che possiamo tradurre con “coinvolgimento”, la capacità di stabilire legami forti, di creare comunità.

I primi due focus sono stati sviluppati con gli chef-pizzaioli idealmente richiamati sui banchi di scuola perché «hanno responsabilità enormi, delle quali a volte non sono consapevoli. Noi cerchiamo di diffondere conoscenza», ha spiegato Chiara Quaglia. E dunque eccoli passare da un seminario tecnico all’altro: il professor Simone Marai della Statale di Milano che parla della trasmissione del calore, Danilo Amigoni (Centro di ricerca di Lallio, Bergamo, fondato dall’azienda di pentole Agnelli) dei materiali per la cottura, Chiara Limbo, pure della Statale, di quelli che possono contaminare gli alimenti. Concetti a volte ostici, più facili da digerire dopo aver assistito all’approfondimento di Piero Gabrieli dedicato proprio alla digeribilità.

La cui conclusione è: la pizza migliore dal punto di vista nutrizionale è quella “a spicchi”, da degustazione. Perché agevola la porzionatura ad hoc; perché nel topping contiene fibre solubili, come quelle delle verdure, che abbassano l’indice glicemico; perché l’impasto contiene invece fibre insolubili, in primis dalle farine di cereali integrali che, accelerando il transito intestinale, ostacolano la fermentazione.

Poi, la questione “engagement”: vi si sono soffermati Simone Padoan e Andrea Forapani quando hanno delineato dal palco l’abc dello storytelling, ossia l’opportunità/necessità non solo di sfornare un prodotto d’alta qualità, ma di saper spiegare cosa v’è dietro: tanta passione, altrettanta professionalità, uno studio paziente, la selezione di materie prime stagionali e così via. Quindi tutti a impastare, sotto lo sguardo attento del comitato tecnico che, oltre ai già citati Padoan, Forapani, Gabrieli e Quaglia, comprendeva il grande Corrado Assenza (in foto, a sinistra), lo chef Marco Valletta, la tecnologa alimentare Federica Racinelli e Giulia Miotto, del laboratorio di Molino Quaglia.
CP
 

PizzaUp/3: il report di Francesca Barberini

Il simposio è stato ripreso dalla regista Silvia Chiodin in un lungometraggio-reality intitolato “La farina e il fuoco” condotto da Francesca Romana Barberini (foto). Se ne sono ricavati anche 7 episodi più corti, quante sono le squadre in cui sono suddivisi i 58 e le diverse pizze che ogni team ha preparato per aggiudicarsi il titolo di Pizza Italia 2015 (ha vinto un impasto di farina Petra 1 e lievito madre sormontato da sgombro sott’olio, patate, cavolo nero, timo secco, origano, basilico, più il tocco amarognolo delle olive nere). Saranno sul sito di Molino Quaglia a partire da inizio dicembre, mentre 7 ricette di altrettanti relatori finiranno sul portale Rcs, nella sezione del settimanale Oggi: la prima, quella firmata da Renato Bosco, è già online e ha avuto una valanga di contatti.

«Niente effetti speciali, niente set di ripresa preconfezionati, nessun divo, niente spettacolo fine a se stesso. Solo la naturale bontà degli ingredienti e la mano dei pizzaioli mossa da un’arte che è insieme abilità, conoscenza e passione per la buona tavola», per dirla con Gabrieli. Francesca Barberini invece spiega come si sono svolte le riprese: «Abbiamo raccontato le varie fasi, dalla scelta degli ingredienti, all’impasto e così via, per finire con un approfondimento pratico. Obiettivo: far capire come si riconosce una pizza d’autore». Esercizio non semplicissimo: «Bisogna valutare vari aspetti: il gusto, la sensazione tattile... Ma fin da subito ci si può fidare dell’aspetto visivo: se la pizza risulta troppo molle e bagnata, o all’inverso asciutta, non è di qualità».

Ottima l’esperienza coi pizzaioli: «Ho conosciuto persone che hanno grande voglia di impegnarsi e hanno mostrato apertura mentale. La cosa che mi ha soddisfatto di più? L’essere riuscita a far parlare tutti, anche quelli che sulle prime non ne volevano sapere». E l’aspetto più sorprendente? «Vengo da una famiglia che ha sempre prodotto olio. Per me l’olio buono era quello lì: solo pochi anni fa, quando ho iniziato a studiarlo professionalmente, ho capito che avevamo ancora tanta strada da fare. Ecco, con la pizza è la stessa cosa: siamo abituati a mangiarne di pessima, a PizzaUp ho capito come si ottiene un prodotto di qualità. Una volta che lo si assaggia, si torna più indietro».
CP
 

Francesca Gerbasio: la pizza è (anche) donna

Di pizzaiole donne ne abbiamo già parlato diverse donne, perché in Italia si contano sulle punte delle dita ma sono davvero in gamba. È il caso di Francesca Gerbasio, giovane pizzaiola cilentana che lavora con Michele Croccia alla pizzeria La Pietra Azzurra di Caselle in Pittari, piccolo paesino dell'entroterra cilentano, che si è fatta notare per gli ottimi piazzamenti a concorsi nazionali e internazionali come Pizzaiolo Emergente 2014 e il Mondiale della Pizza 2013.

Dopo aver lavorato per alcuni anni come cameriera in un agriturismo della zona, Francesca – che aveva in testa di aprire un suo locale, e adesso sta per realizzare il suo sogno aprendo insieme a Croccia un nuovo ristorante-pizzeria a Sala Consilina, paese in posizione strategica nel Vallo di Diano – ha deciso di seguire un corso da pizzaiolo tenuto proprio da Michele, che prima di apire nel 1997 la sua pizzeria a Caselle aveva girato l'Italia alla scoperta dei diversi stili di pizza ed era diventato istruttore certificato oltre che associato all'AVPN. Dopo il corso, vedendo in lei la stessa passione per questo mestiere che aveva spinto lui, Michele ha chiesto a Francesca di restare a lavorare a Caselle in Pittari per la stagione estiva, periodo in cui la pizzera “macina” numerosi coperti a sera.

Da allora hanno percorso insieme altra strada, perfezionando gli impasti – alla Pietra Azzurra, che propone pure piatti di ducina casereccia, ci sono le pizze napoletane STG ma anche quelle con lievitazione più lunga e impasti più rustici a base di farine locali biologiche, oltre a quelle alla pala e in teglia e a una buona pizza senza glutine – e scegliendo anche per i condimenti ingredienti di qualità e il più possibile locali, a cominciare dagli ortaggi freschi che arrivano direttamente dall'azienda agricola della famiglia di Michele. Un lavoro che ha portato anche alla proposta, in accordo con l'APT locale, di candidare questo remoto angolo cilentano come Comunità del Cibo di Terra Madre. Tra le creazioni “a Km 0” di Francesca citiamo la pizza con mozzarella di bufala, alici di menaica, fave e pecorino e quella con crema di baccalà mantecato, mozzarella bufala, peperoni cruschi, prezzemolo e cacioricotta del Cilento.
LS
 

Berberé, gli Aloe sono sbarcati a Firenze

Dopo le sedi emiliane – l'originale, a Castel Maggiore, e quella bolognese aperta nel 2013 in collaborazione con Alce Nero, azienda leader del biologico in Italia - a settembre scorso il progetto dei fratelli Matteo e Salvatore Aloe è sbarcato anche a Firenze, in piazza de’ Nerli 1. Oltre che su una pizza “light e slow”, che sia frutto di un'attenta ricerca su farine, ingredienti di condimento, fermentazione e cottura, dedicando grande cura alle proprietà nutrizionali così come agli aspetti “etici” della proposta, gli Aloe puntano in questo caso anche sull'accoppiata con birre artigianali selezionate con altrettanta cura, come testimonia l'insegna Berberè Craft pizza & beer.

Il locale si trova in Oltrarno, nel cuore di Borgo San Frediano, un tempo via di botteghe e artigiani e oggi piena di indirizzi gastronomici interessanti. Fedele alla mission di promuovere un'alimentazione sana e consapevole oltre che golosa, la carta propone pizze a base di lievito madre e farine “vive” macinate a pietra e biologiche (su richiesta anche a base di cereali alternativi come farro, enkir, kamut) condite con ingredienti di stagione, spesso selezionati tra i Presidi SlowFood, e cotte al forno a legna. Diverse sono le allettanti combinazioni vegetariane - Pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto, fiordilatte di Putignano, capperi di Salina, origano e basilico, Zucca cotta a vapore, ricotta, mostarda, rosmarino, fiordilatte - ma non mancano golosissime versioni “carnivore” come quella con salsiccia, cipolla in agrodolce e fiordilatte o quella con burrata, prosciutto cotto di Mora Romagnola, albicocche secche e fiordilatte, da dividere con la formula degustazione o mangiare per intero.

Prima e dopo, ci sono i “cicchetti” (piccoli assaggi per ingannare l'attesa o accompagnare una buona birra, come il peperone del piquillo con caprino o l'essenziale ma ottimo pane, olio, sale e limone) e i dessert della casa. A chiudere il cerchio, come anche negli altri indirizzi, i prezzi “pop” (le pizze partono dai 6,50 euro per arrivare ai 16 euro, e con una spesa di 25 euro si può mangiare dall'antipasto al dolce inclusa una birra) e un ambiente originale e molto urban impreziosito dai wall painting ad effetto delle TO/LET, duo di giovani artiste italiane.
LS
 

Chic apre ai grandi pizzaioli

Di associazioni di cuochi e ristoratori ce ne sono diverse, e altrettante di pizzaioli. Ma la Chic-Charming Italian Chef – gruppo di cuochi di tutta Italia che puntano sul “fascino” della cucina creativa e delle materie prime made in Italy per promuovere la gastronomia della nostra penisola – è la prima grande realtà che, oltre a famosi chef, ha accolto anche dei pizzaioli al suo interno. Il primo – antesignano anche in questo caso, oltre che pioniere della pizza napoletana di qualità – è stato Enzo Coccia, che ne fa parte fin dalla nascita nel 2009, quando la pizza era ancora lontana dall'essere considerata “gourmet”.

Negli anni successivi, altri tre pizzaioli italiani – rappresentanti di diverse “scuole” ma tutti artefici di pizze eccellenti basate sulla qualità assoluta di impasti e topping – sono entrati a far parte di Chic: prima Franco Pepe e Renato Bosco, poi anche Giancarlo Casa della Gatta Mangiona. Proprio il locale romano ha ospitato a fine ottobre una bella serata a quattro mani con Franco Pepe (avrebbe dovuto partecipare anche Renato Bosco, bloccato a Verona per motivi familiari). Per l'occasione, dopo gli squisiti supplì della Gatta Mangiona e la focaccia bianca con il fior di latte fatto a mano di Scarchilli, rinomato produttore laziale, i due pizzaioli hanno proposto due pizze ciascuno, abbinate a grandi vini e Champagne o a vini “quotidiani” ideali per accompagnare la pizza, distribuiti da Balan.

Casa (nella foto di Andrea Di Lorenzo) ha realizzato la sua Margherita Speziata (fior di latte di Morolo, pomodoro San Marzano, basilico, origano pugliese e spezie) e una sostanziosa pizza ripiena alla Carbonara. Pepe ha presentato la buonissima Pizza Mediterranea (pacchetelle di San Marzano, mozzarella di bufala, capperi di Pantelleria, basilico, origano del Matese ed extravergine di olive caiazzane agliato) e la versione autunnale di un classico di Pepe in Grani, la Pizza Sfizio di Pomodori e Zucca (pomodorino giallo, pomodoro San Marzano essiccato, mozzarella di bufala e zucca). Infine, i pizzaioli della Gatta hanno anche realizzato con il loro impasto una fantastica pizza con Monteveronese e noci, inizialmente messa in menu da Renato Bosco. Speriamo di vedere presto insieme all'opera tutti e quattro i pizzaioli Chic.
LS
 

Spacca Napoli, la qualità profuma Chicago

Jonathan Goldsmith, cinquantenne italo-americano, nella sua prima vita è stato un educatore sociale, nella seconda è pizzaiolo a Chicago. Questo perché, scollinato il cambio di secolo, nella prima metà degli Anni Zero decise di servire la causa di sua maestà la pizza Margherita fino ad aprire nel 2006 il locale tutto suo.

Lo ha chiamato Spacca Napoli e si trova al 1769 west di Sunnyside Avenue, mezzora di taxi verso nord rispetto a Michigan Avenue, il cuore della metropoli, nota anche com The Magnificent Mile per tanti felici motivi.

Quella di Goldsmith è un’autentica pizza napoletana. Sul lavoro si ispira a Franco Pepe e questo gli fa solo bene. Rappresenta un esempio felice, non sono migliaia quelli che incontri e quindi va lodato. E poi Jonathan se ne sta a Chicago, metropoli statunitense che ha la sua pizza-bandiera, una improbabile deep-dish pizza, un catino in cui la salsa di pomodoro è alta come il palmo di una mano. Lui è l’esatto opposto.
PMar
 

Antonio Pappalardo vola in Australia

Antonio Pappalardo, il giovane pizzaiolo-patron de La Cascina dei Sapori a Rezzato (Brescia), è volato a Sidney per curare l'apertura di Pizzaperta, il nuovo locale dello star-chef italo-australiano Stefano Manfredi (nella foto, a sinistra; a destra Pappalardo), prevista per il 20 novembre. Nato in Italia nel 1954 e presto trasferitosi agli antipodi, Manfredi in Australia è una vera istituzione in campo gastronomico: scrittore e columnist, volto televisivo, imprenditore gastronomico – ha perfino un proprio brand di caffè - e chef di fama internazionale, ha aperto nel 1983 il suo primo ristorante chiamato forse scaramanticamente Ultimo, e diventato poi The Restaurant Manfredi, primo e finora unico ristorante italiano a ottenere i prestigiosi Three Hat del Sidney Morning Herald nel 1994. Oggi Manfredi è anche patron di Balla, Manfredi at Bells e Pretty Beach House ma non ha intenzione di fermarsi.

Adesso ha deciso di portare in Australia anche la nuova pizza italiana contemporanea aprendo appunto il Pizzaperta all'interno del centro polifunzionale The Star di Sidney, dove si trova già il Balla. Per farlo, ha voluto con sé ad affiancarlo e a dettare la linea gastronomica delle pizze proprio Pappalardo, che ha conquistato i “Due Spicchi” sulla guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso e l’inserimento sulla guida Ristoranti d’Italia 2015 dell’Espresso. Manfredi aveva avuto occasione di conoscerlo in Australia apprezzandone la sua capacità di proporre l’eccellenza sia della pizza napoletana, sia della pizza gourmet di scuola “contemporanea” che sta attirando le attenzioni del pubblico e degli addetti ai lavori anche in Australia, e di cui lui stesso aveva scritto sull’Australian Financial Review.

Dopo una visita a Rezzato che ha sancito l'accordo, il pizzaiolo italiano ha avuto carta bianca sugli ingredienti da utilizzare per portare downunder il made in Italy di qualità, a cominciare dalle farine Petra di Molino Quaglia che sono sbarcate così per la prima volta sul continente insieme al metodo a lunga lievitazione naturale. «Torno a mettermi in gioco facendo esclusivamente il pizzaiolo – ha dichiarato Antonio - portando le mie conoscenze sulle farine, gli impasti e le tecniche di lievitazione, oltre all’utilizzo di ingredienti di primissima qualità».
LS