Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Non si scappa: quattro giorni a Paestum per le Strade della Mozzarella e non appena era possibile, tra le lezioni del mattino e quelle del pomeriggio piuttosto che le varie cene, sorprendevi un cuoco gettare gli spaghetti nell’acqua bollente, il sugo di pomodoro pronto nella padella e tante facce attorno sorridenti perché presto, questione di minuti, si sarebbero mangiati due spaghi. Non si scappa: il Dna italiano parte da lì, si sviluppa partendo dalla pasta pomodoro e basilico. Questo piatto meriterebbe il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità.

Paolo Marchi, testi di Gabriele Zanatta
 

Marianna Vitale domatrice dei formati lunghi

Ci sono calciatori che hanno un solo piede, in genere il destro, tennisti che sono fenomeni sulla terra rossa e non appena la superficie si fa più veloce perdono posizioni (e viceversa), sciatori frenati dallo scarso coraggio o piloti che con la pioggia alzano il piede, tutti abbiamo i nostri punti di forza e di debolezza. Marianna Vitale, chef e patron del ristorante Sud a Quarto in provincia di Napoli, telefono +39.081.0202708, mobile +39.327.0104725, ha il dono di esaltare la pasta, in particolare i formati lunghi.

Non che il Vitello Stonnato (stonnato perché il tonno è assente, un trionfo di pesci azzurri) non mi sia piaciuto, tutt’altro, però Spaghettoni ricci e bufala, Anemoni e Otto frutti di mare, fave pecorino e vino hanno messo ordine nei miei pensieri, sapore per il palato e coccole per la mente.

Due ricette diverse di spaghettoni, nella foto quelli legati da una crema di anemoni di mare, quindi tagliatellone a mo’ di pentagramma su cui liberare i frutti di mare a completare in ricchezza, senza caos, una primaverile base di fave e pecorino. Da applausi.

Chiosa: Marianna ha il locale in una viuzza laterale di una strada di grande scorrimento, in un comune, Quarto, di per sé anonimo, un dormitorio per 40mila anime che gravitano su Napoli, una città la cui amministrazione è stata sciolta un anno fa per infiltrazioni mafiose. Il primo chef che si lamenta perché a Milano, Firenze o Roma la vita è dura, la concorrenza spietata e la gente non capisce niente di cucina, verrà invitato a chiudere per trasferirsi per un paio di anni vicino alla Vitale. Vedremo se poi piagnucolerà ancora. pmar
 

Felicetti: l'artigianale e l'industriale

Mi si chiede di definire la differenza tra pastificio industriale e pastificio artigianale. Rispondo volentieri. La premessa è che oggi la dicotomia per tanti versi non ha più alcun senso. Si utilizzava un tempo per distinguere le piccole aziende da quelle di grandi dimensioni, spesso con immagini di vecchine che lavoravano l’impasto a mano come a voler dimostrare la qualità superiore delle prime. È uno specchietto per allodole, un mito che dobbiamo superare, e non solo nell’ambito della pasta.

La vera distinzione che secondo me oggi ha senso fare è la stessa che troviamo nel comparto automobilistico: così come esistono utilitarie e fuoriserie, allo stesso modo ha senso parlare di pasta di fascia popolare e pasta di fascia alta. Ogni prodotto è cioè figlio di una scelta di mercato: ci sono quelli che soddisfano la maggior parte della gente e quelli che appagano gusti più esigenti. Non prodotti migliori o peggiori: semplicemente diversi per intercettare le differenti richieste del segmento di mercato che si vuole come cliente. Perché, ad esempio, prêt-à-porter e alta moda vanno avanti benissimo a braccetto, e non da oggi.

È tuttavia possibile fare un'ulteriore distinzione all’interno dei pastifici che producono pasta di fascia alta: molti sono quelli buoni e alcuni quelli meno buoni. Per me un pastificio buono (un tempo avremmo detto “artigianale”) è quello che non si limita al miglioramento estetico del packaging (peraltro ambito di importanza sempre più strategica). Ma è quello in cui le capacità del pastaio s'impongono sulla materia prima e non viceversa. Per me il vero artigiano di oggi è colui che sa come tradurre un prodotto agricolo in alimento adattando gli impianti di produzione al grano e non il grano agli impianti.

Grande mastro pastaio è chi, davanti a un temporale improvviso, sa cambiare in corsa tutti i diagrammi di essiccazione, indipendentemente dalla collocazione geografica o dalle dimensioni del pastificio in cui lavora. È colui che sa interpretare la materia prima in arrivo in modo da esaltarne le caratteristiche potenziali. Chi ha ben presente che, al solo variare della pressione atmosferica, cambia tutta la sostanza della pasta. Chi sa impedire che improvvise correnti di umidità la facciano d'un tratto rinvenire. Questi per me sono i veri artigiani. Gente presente in pastifici che un tempo avremmo definito "artigianali" ma che troviamo anche nei pastifici cosiddetti industriali, perché no?
Riccardo Felicetti
 

Strade della Mozzarella in orbita con Scabin

Ieri sera è calato il sipario sulle Strade della Mozzarella, gran bell’evento nel segno di uno dei tanti capolavori che il mondo sovente ama più di quanto mediamente non lo amiamo e rispettiamo noi italiani. La rassegna organizzata da Albert Sapere e Barbara Guerra, in collaborazione con il Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana, quest’anno è stata ospitata all’interno del Savoy Beach Hotel, sempre a Paestum in provincia di Salerno.

Prima lezione quella di Davide Scabin lunedì mattina. Tre concetti, con il terzo, nel segno degli Spaghetti spaziali, il torinese si è ricollegato alla lezione tenuta a Identità Milano nel febbraio 2013, quando presentò il menù che avrebbe accompagnato l’astronauta Luca Parmitano nel cosmo. “E’ un’anteprima in vista dell’Expo, sviluppo del cibo per le stazioni orbitanti. In pratica ho messo sottovuoto degli spaghetti al pomodoro e basilico, spaghetti al dente (vero, ndr) che al momento dell’uso riscalderò a bagnomaria per 4 minuti e servirò. Qui a Paestum lo faccio versandoli su crema di mozzarella, provola affumicata, capperi, origano e pomodori, in pratica i profumi classici della pizza, provola a parte. Il vantaggio di questa busta è che puoi stoccare centinaia e centinaia di porzioni di spaghetti pronti al dente, giusto da riscaldare”. Geniale all’ennesima potenza. pmar
 

Le tagliatelle di Scabin: ritorno sulla Terra

E poi ci si chiede perché questa newsletter sia sempre zeppa di riferimenti a Davide Scabin. Da queste parti il cuoco di Rivoli è come il prezzemolo per il merito di aver scrutato la pasta da un punto d’osservazione atipico. Più da designer che da cuoco si è detto e il Soufflè di maccheroni e il filone del Sushi di pasta – per fermarci a due soli prototipi – svettano già come monoliti nella storia dell’avanguardia del grano duro.

Ma il movimento oculare è proiettato in avanti perché il cuocone conosce bene il sentiero già scavato. Sa che il poi è figlio del prima. Anzi, nelle vene del professionista dell’alta cucina da 50Best – quest’anno in 51ma posizione – scorrono in realtà globuli da trattore e un giorno ci faremo raccontare da lui storie ed evoluzioni della trattoria Combal di Almese da cui tutto partì. Nel frattempo, ascoltiamo eco tonanti di quello che fu nella trattoria Blupum di Ivrea, aperta da poche settimane sotto la sua supervisione.

Abbiamo già riassunto il concetto del ristorante nella newsletter numero 412. Qui ci fermiamo un secondo sospesi a ricordare quelle commoventi Tagliatelle con ragù alla bolognese, tagliatelle Felicetti impastate senza aggiungere acqua, solo semola di grano duro Matt e uova biologiche.

Sono arrivate al tavolo in padella con due riccioli di burro in cima al sugo (foto), un accorgimento che riproduce l'abitudine infantile di quando li si prelevava dalla bacinella d'acqua. Al Blupum Il cameriere ha rimistato tutto per pochi secondi, replicando la furberia tipica delle migliori insegne popolari, quella che genera attesa e salivazione. Poi puntualmente appagate da uno dei classici più golosi della cucina italiana. E' Scabin che torna trionfatore sulla Terra dopo aver spedito la pasta nello spazio.
 

Il cannolo di grano duro di Manuel Costardi

Il dolce è stato pensato per le Strade della Mozzarella. Anche se, a ben vedere, lo sghiribizzo di infilare un formato di pasta nell’ultima riga del menu - quasi interamente risotto-based – Manuel Costardi l’ha sempre avuto. Il pasticcere, alter ego dolce del fratello Christian al Cinzia di Vercelli, ha pensato bene di cuocere un pacchero in un brodo con scorza di arancio e bacche di vaniglia. La cottura è di 12 minuti, un pelo più avanti dell’al-dente e, mi raccomando, per la bollitura si usi lo stratagemma di Scabin: i 100°C dell’ebollizione devono durare 5 minuti, poi meglio calare la fiamma per i restanti 7 minuti. Così il pacchero cotto per metà tempo a 90°C non si spacca.

Terminata la cottura, lo tiri via, lo raffreddi e lo friggi per due volte nell’olio (nella prima friggi la parte esterna; nella seconda quella interna). Lo spolveri con zucchero a velo e lo riempi di crema di bufala con arancio, limone, vaniglia e cannella, con l’aggiunta di un pezzettino d’arancio di cottura. Sotto al pacchero, un punto di marmellata amara, che serve da sostegno ma anche a bilanciare tutta la parte dolce. All’assaggio, se non lo sai, fai fatica a distinguerlo dal cannolo classico. Ma è grano duro. Brillante.
 

Il raviolo evanescente di Gilmozzi

Anche Alessandro Gilmozzi del Molin è un habitué di Identità di Pasta, intesa sia come la newsletter che state leggendo sia come la giornata che da anni arricchisce il congresso milanese. L’abbiamo sempre visto alle prese con la pasta secca (ma inquadrata financo come marshmallows o macaron). In gita a Cavalese questa volta abbiamo cozzato su un buonissimo di pasta fresca. Che però è tutto particolare.

I Ravioli alla lepre, funghi e mela cotogna sono l’atto finale di un pensiero che ha inizio, come tanti piatti del grande cuoco della Val Di Fiemme, con un giro alla Muratori, la biblioteca cittadina. È prendendo a presto un vecchio testo di cucina delle valli che s’imbatte nei Talleri alla chitarra con patate, verza e salsiccia, pietanza della tradizione ora dimenticata (ma non nel Wine bar appena sopra al Molin, guardato a vista dalla deliziosa sommelier Manila Mauroni).

Il tallero, lo stesso nome della vecchia moneta trentina, era anche un tipo di pasta fresca a forma di disco, atipica perché utilizzava più albume che tuorlo. Uno strato sottile e leggero che spesso servivano anche col ragù di coniglio. Il raviolo alla lepre parte da qui: è la cacciagione del territorio cui va in sposa la nota dolce della mela cotogna di Elio Barbugli, piccolo produttore da cui il Gilmozzi prende anche lo zafferano. C’è il selvatico, il dolce ma anche il floreale dei fiori di malva dell’ultimo raccolto. Sensazioni dietro cui la pasta ha la saggezza di svanire quasi inavvertita.
 

IL LIBRO/Extrapasta, quale olio su quale pasta

Il titolo del volume edito da Cinquesensi, il secondo della collana Extraricette, è “Extrapasta” (96 pagine, 10 euro). L’elemento "extra" in questo caso è l’olio extravergine d’oliva perché è difficile immaginare un connubio più stretto nelle infinite combinazioni della dieta mediterranea. Sono elencate 63 ricette di pasta, sperimentate da 30 “cuoche nella rete” con il benestare di Enrico Bartolini, chef del Devero autore dell’introduzione, e gli abbinamenti a cura di Piero Palanti, Luciano Scarselli e Luciana Squadrilli, quest’ultima titolare da tempo della rubrica Frantoio Squadrilli sul sito di Identità.

Gli aspetti interessanti che il libro offre sono due: l’extravergine è impiegato nelle varie ricette non come banale aggiustatore o condimento finale del piatto ma come interprete fondamentale nei vari livelli che compongono un piatto di pasta. E qui veniamo al secondo aspetto, che è la quadripartizione con cui sono suddivise le ricette stesse: quelle che utilizzano l’extravergine per l’impasto, quelle per il ripieno, il sugo oppure per la finitura a crudo del piatto.

I formati di pasta utilizzati sono ancora una volta la prova della straordinaria varietà esistente in Italia: sono presi in esame cavatelli, pici, maltagliati, pincinelle, scialatielli, tortelloni, cannelloni, straccetti, bavette, fusilli, linguine… E ogni ricetta è replicabile perché c’è da dire che i (le?) foodblogger, a differenza dei cuochi, non danno mai per scontato alcun passaggio, inclusi quelli più elementari.

È così, ad esempio, per le Tagliatelle di kamut e grano saraceno, broccoletti, cozze e pomodorini secchi? di Maria Greco Naccarato del blog kitcheninthecity.it. Un piatto sul quale Luciana Squadrilli, in fondo all’esecuzione, invita a osare «Con un monocultivar di Coratina, varietà pugliese dal fruttato intenso e dall'amaro spiccato». Mentre, «Se si preferisce optare per qualcosa di meno amaro ma altrettanto intenso nei profumi, va benissimo un monocultivar siciliano di Tonda Iblea, dall'inconfondibile aroma di pomodoro».
 

RICETTA/ I Corzetti alla 'nduja di Davide Oldani

È l’ultimo viaggio di Davide Oldani attorno alla pasta. Un trip che parte da Cornaredo, fa pit stop in Liguria e approda in Calabria per dimostrare che la cucina regionale come l’abbiamo sempre conosciuta non esiste più: le tradizioni locali italiane possono uscire dai loro recinti per combinarsi in modo felice, come se condividessero da sempre gli stessi orizzonti.

I corzetti (o anche crosetti), sono dischi di pasta con stampo in legno fatto disegnare apposta e normalmente vengono abbinati alla salsa al pesto. Ma in questa ricetta superghiotta assumono un delicato profumo di mare grazie a una salsa di cozze molto cremosa. Nduja e amaranto sferzano piacevolmente l’insieme con le loro note piccanti e terragne.

Corzetti, salsa di cozze, 'nduja e profumo di angelica

Ricetta per 4 persone

INGREDIENTI
per i corzetti
300 g pan grattato
100 g farina
150 g Grana Padano grattato
5 uova
75 ml acqua
15 ml olio extravergine d’oliva
10 g sale fino

per le cozze
500 g cozze
20 g burro
2 g maizena diluita in acqua fredda
100 ml acqua
2 g aceto di vino bianco

per la ‘nduja
100 g pasta di salame
3 g peperoncino piccante in polvere
20 ml acqua

per la finitura

3 g angelica in polvere
20 g amaranto

PROCEDIMENTO
per i corzetti
Impastare tutti gli ingredienti assieme fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo. Coprire con della pellicola trasparente e far riposare in frigorifero per almeno 1 ora. Togliere dal frigo e stendere a 2mm, coppare la pasta e confezionare i corzetti. Cuocere in acqua bollente e salata per circa 3 minuti, scolare e cospargere con poco olio d’oliva extravergine. Disporli su una placca con della carta da forno, cuocere a 200°C per 4 minuti. Togliere dal forno e tenere da parte.

per le cozze
Far scaldare una casseruola con bordi alti, unire le cozze pulite, coprire con un coperchio e farle aprire a fuoco basso per circa 3 minuti. Scolare e filtrare al colino fine l’acqua di cottura. Far bollire l’acqua delle cozze e legare con la maizena, togliere dal fuoco e unire il burro e poco aceto di vino bianco. Tenere da parte emulsionando con un frullatore a immersione.

per la ‘nduja
Frullare la pasta di salame con il resto degli ingredienti. Tenere da parte.

FINITURA
Comporre il piatto a strati alternando i corzetti e la ‘nduja, terminare con la salsa, le cozze sgusciate e l’angelica in polvere. In cima, poggiare gli amaranti precedentemente idratati e fritti.
 

RICETTA/Ricchebono e l'evoluzione del pesto

Tortelli di patate, pesto al mortaio, fagiolini e pinoli tostati. Il piatto è firmato da Ivano Ricchebono, chef del The Cook che proprio pochi giorni fa ha traslocato da Genova Nervi per spostarsi all’interno del Poggio Hotel di Arenzano, questa volta a ovest del capoluogo ligure, lasciando di fatto la città senza stelle Michelin. La ricetta esprime un’evoluzione contenuta del piatto classico al pesto, con la differenza della pasta utilizzata, il tortello ripieno, che lascia la celebre salsa verde di fuori, con una buonissima vellutata di fagiolini a completare il quadro aromatico.

Tortelli di patate, pesto al mortaio, fagiolini e pinoli tostati

Ricetta per 4 persone

INGREDIENTI
per la pasta
200 g farina 00
2 uova

per il ripieno
1 chilo di patate
50 g Parmigiano Reggiano
sale qb
Fare una comune pasta fresca e tirare la sfoglia sottile. Lavare le patate e cuocerle in forno, pelarle e schiacciarle, aggiungere il parmigiano e aggiustare di sale. Formare dei quadrati di pasta e mettervi al centro il ripieno, chiudere a triangolo e formare i tortelli.

per la vellutata di fagiolini

100 g fagiolini
1 porro piccolo
1 patata
Olio extravergine
Burro
Sale qb
Far rosolare in olio e burro il porro tagliato a julienne, aggiungere i fagiolini privandone prima le due estremità, e la patata pelata e tagliata a pezzi. Aggiungere brodo vegetale, aggiustare di sale e far cuocere. Passare al frullatore e al setaccio ottenendo un vellutata. Far bollire i tortelli in acqua salata, condirli con burro fuso. Posizionare la vellutata di fagiolini nel piatto, aggiungere i tortelli e guarnire con pinoli tostati in padella o in forno.

per il pesto
2 mazzi basilico genovese D.O.P.
20 g pinoli italiani
1 o 2 spicchio di aglio ( a seconda dei gusti)
200 g parmigiano stagionato
50 g pecorino sardo o fiore sardo
Qualche grano sale grosso
g 100 Olio extravergine di oliva della Riviera ligure

Pestare nel mortaio con un pestello di legno l’aglio e i pinoli fino a ottenere una crema. Aggiungere poco alla volta le foglie di basilico lavate e accuratamente asciugate e qualche granello di sale. Da questo momento non pestare più con il pestello ma amalgamare le foglie con un movimento rotatorio sulle pareti del mortaio. Lavorare il tutto fino a ottenere una crema. Aggiungere il parmigiano e il pecorino sardo, amalgamare il tutto con l’aiuto di un cucchiaio e ultimare con olio extravergine d’oliva versato a filo.
 

IL PIATTO/La calamarata perfetta di Beppe Stanzione

Calamarata con pisellini e germogli, crema acida di bufala e gamberi rossi di Santa Maria
di Castellabate
, piatto da applausi di Beppe Stanzione, chef tutta riservatezza e attenzione alle Trabe,
il ristorante stellato alla Tenuta di Capodifiume a Paestum, telefono +39.0828.724165.