Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Devo dire che Riccardo Felicetti mi ha letto nel pensiero, quindi vi sollecito a leggere con attenzione quanto da lui scritto nella prima notizia qui sotto. Io posso aggiungere una cosa, quando manca una settimana alla quinta edizione di Identità di Pasta: non mi aspettavo un tale successo. E mi spiego: l’Italia è piena di persone che pensano di sapere tutto, certezze che nascono dall’ignoranza e dalla presunzione, persone che nascono imparate e non sono mai percorse dal dubbio e dalla curiosità di andare oltre il noto.

Identità di Pasta ha invece dimostrato che sono tanti anche coloro che vogliono informarsi e non si accontentano mai di quanto appreso. Con il riso(tto) che appartiene più al Nord che al CentroSud e con la pizza che profuma un mondo a sé, anche se molto sta cambiando, è la pasta che unisce tutte le regioni a casa e al ristorante.
Paolo Marchi, testi di Gabriele Zanatta
 

Felicetti, rivoluzione in cinque edizioni

Vorrei esprimere tutta la soddisfazione (e, lasciatemelo dire, la gioia) per essere arrivato al traguardo della quinta edizione di Identità di pasta, un format che, da Elio Sironi, il primo a calcare il palco (foto), fino ad Alessandro Gilmozzi, ultimo relatore all’edizione scorsa, ha già visto 32 protagonisti esplorare i confini della pasta secca.

Con domenica prossima il totale salirà a 40 e non posso che pensare a come agli inizi dell’avventura, quando con Paolo Marchi decidemmo di sviluppare l’idea, la pasta secca fosse così saldamente trincerata dietro ad ambiti tradizionali. Quei pochi che osavano uscirne venivano additati come marziani e i loro piatti fumo negli occhi. In questi quattro anni la riserva non è più indiana e i moti di ricerca e creatività sulla pasta secca sono dilagati all’autentica consapevolezza che pochi prodotti sanno dare così tante garanzie gastronomiche.

Per questo mi fa doppiamente piacere leggere da un grande cuoco come Mauro Uliassi (leggi sotto, ndr) che la pasta di grano duro è la più stimolante da gestire. O che Enrico Bartolini (ancora sotto) negli ultimi anni ha cambiato volentieri idea, dando valore a un prodotto che non riteneva in grado di dar sfogo al suo essere artigiano. Se la pasta secca è arrivata dov’è arrivata, il merito è vostro. Quindi grazie e buona Identità di pasta numero 5.
Riccardo Felicetti
 

Uliassi, segretario del partito della pasta secca

«Io sono sempre stato pro-pasta secca perché è più complicata e quindi stimolante da gestire. Il cappelletto lo butti giù e tiri su, non scuoce mai e ha tempi di cottura molto rapidi; lo spaghetto, se lo trattieni in acqua qualche secondo oltre il lecito, sei fregato. E poi è più affascinante da condire perché lo spaghetto non viaggia mai da solo, anzi veicola come nessuno la cultura italiana attraverso il condimento che scegli». È giusto allora che sia Mauro Uliassi da Senigallia ad aprire la quinta edizione di Identità di pasta, martedì 11 febbraio in Sala Blu 1, ore 10.15 con una lezione che indaga sulla relazione tra “l’Adriatico e la pasta di grano duro”.

Se lo stesso grano duro ha varcato i confini del Paese con successo «è perché è nutriente, facile da stoccare, ha costi molto bassi e si mantiene senza problemi. Ha moltissime qualità e per questo è globalizzabile: con le giuste materie prime puoi farti una pasta buona anche nel cuore dell’Africa». Nello Stivale più a nord, l’uliassiano Spaghetto affumicato con le vongole è già storia. Ma non è detto che sulla Banchina di Levante la secca debba uscire in tavola sempre e per forza lunga: «Non ho un formato prediletto», aggiunge, «la pasta corta per esempio ti salva quando devi impiattare per centinaia di persone. Nel qual caso gestire lo spaghetto è un macello».

E a Milano che succederà? «Porteremo tre piatti: Zuppa di pasta patate e cozze; Mezzi rigatoni con tartufo nero, alici, broccoli e ciauscolo crudo e Fusilli con fegato di seppie, ricci di mare e un battuto di acetosella e rabarbaro fresco». C’è già la coda.
 

Sasajima, se Kyoto fosse in Italia...

Il ritorno di Yasuhiro Sasajima a Identità – quelli di buona memoria lo ricorderanno calcare il palco milanese, nella terza edizione del 2007 – si scontra con una prima volta, quella di un cuoco non italiano a relazionare nel format di Identità di Pasta, mai successo prima d’ora. Il cuoco de Il Ghiottone, scritto proprio così - un’insegna a Tokyo e una a Kyoto - è autore da diversi anni di una delle cucine più convincenti nel procedere a cavallo tra suggestioni nipponiche e italiane.

Un progetto che nacque alla fine degli anni Ottanta quando a Kyoto, la città nativa, andava discretamente di moda l’haute cuisine della tradizione gallica accanto ai predominanti registri cittadini kaiseki. «Ma io non volevo replicare a vita i piatti della tradizione francese. Mi dissi: se in Italia si fa largo uso di prodotti locali, perché non fare una cucina italiana originale, con gli ingredienti che si trovano nei dintorni della mia città?». E così fu.

La lezione milanese (ore 11.10) titolerà “Il volto di un'immaginaria Kyoto in Italia” ed è facile prevedere l’utilizzo di numerosi vegetali ed erbe aromatiche in supporto alla pasta, vista l’abbondanza con cui crescono nei dintorni della città imperiale. E vedrà benissimo la combinazione tra l’umami e la sapidità dei prodotti fermentati del suo paese con l’olio extravergine d’oliva. Tutte tecniche e segreti di cucina italiana che sono stati appresi girando spesso e volentieri per le migliori trattorie del nostro paese.
 

Enrico Bartolini, il bello dell'acido

Per venire a contatto con tutto il sapere monumentale accumulato negli anni da Enrico Bartolini (ore 12.05), basterebbe comprare il volume “Pasta”, edito da Reed Gourmet, 120 ricette perfettamente bilanciate tra pasta fresca, ripiena e secca. E tuttavia, ci racconta il cuoco del Devero, «Fino a qualche anno fa non tenevo neanche un piatto di pasta secca al ristorante. Mi sembrava non potesse dare sfogo all’artigianalità del cuoco. Ho capito presto che si trattava di una cavolata: quand’è ben fatto, il formato di grano duro è molto buono ed elegante. Sta a noi lo sforzo di dargli sapore e personalità».

Lo Spaghetto all’anguilla affumicata, sorta di amatriciana fatta col pesce, «è un piatto che non riesco a togliere dalla carta: valorizza bene l’acidità di ingredienti come l’aceto rosso, aggiunto all’inizio o la grattugiata di scorza di limone e la crosta di pane di Eugenio Pol alla fine». Eleganza acidula, il tratto distintivo del nostro cuoco, una soluzione che potremo testare di persona in Sala Blu 1, alla fine della lezione. Prima di allora, tre piatti di cui non possiamo svelare troppi dettagli. Solo anticipare che Bartolini ha preso la pasta e le ha mutato i connotati, un moderato stravolgimento in linea con la sua filosofia del “contemporary classic”. Possiamo dire, quello sì, che la lezione sarà aperta da un filmato che celebra i Bottoni di olio e lime con salsa e cacciucco, la madre di tutti i primi piatti di pasta bartoliniani. (foto www.ilcittadinomb.it)
 

Alija, il basco che amava il grano duro

Con l’asso della cucina basca, Josean Alija, un secondo un cuoco non italiano farà capolino sul palco di Identità di pasta (ore 14.10). Questo accade, non perché lo chef del Nerua – fantastico ristorante incastonato nel Guggenheim di Bilbao, scelto non a caso dalla Michelin per presentare l’ultima edizione della Rossa spagnola – sia sposato a un’italiana, ma perché è forse quello che più di tutti, in terra spagnola, ama cimentarsi con grandi espressioni di grano duro.

Un primo grande capitolo in tal senso fu scritto oltre 3 anni fa: Josean preparò delle Caserecce cotte in 4 brodi ravvivate da diverse aromatizzazioni: al rosmarino, al basilico, al peperoncino verde d’Anglet e alla pelle di baccalà, un piatto che la stampa locale divinizzò, sdoganando il taboo della pasta sulle tavole iberiche. «Per me la pasta è arte, espressione di un piacere semplice». Che è il leitmotif del suo intervento milanese, che segue a una magistrale ponencia tenuta in occasione del congresso di Madrid Fusion, di qualche giorno fa.

Lì il tema scelto è stato quello delle salse, “prodotti di trasformazione di origine vegetale dallo stato solido a quello liquido”. In terra basca, le espressioni più diffuse sono salsa verde, salsa vizcaina, pil pil e salsa nera. Chissà che il tema selezionato per il congresso milanese non sia quello di fare incontrare mondi mai avvicinati, culture all’apparenza impermeabili. All'apparenza.
 

Giuseppe Iannotti, Sannio contemporaneo

Chiamiamo Giuseppe Iannotti mentre sta tornando dal mercato del pesce. E casca a fagiuolo perché quasi sempre le note ittiche impreziosiscono i suoi primi piatti. Ma, detta così, è limitante. Intanto diciamo che per il cuoco venuto dal Sannio «La pasta secca ha un ruolo importante nei piatti di tradizione mentre quella fresca gioca un ruolo dominante nei piatti più sperimentali, per la maggiore versatilità che consentono i ripieni». E infatti al Milano Food & Wine Festival cucinerà un «Cappelletto di pasta fresca ripieno di ragù napoletano, preparato con 5 tagli di carne tra manzo, maiale e agnellone e pomodoro San Marzano in tre fogge: pelato, passato e concentrato».

Tutt’altro film per la lezione di Identità di Pasta (ore 15). Iannotti è seguace inconsapevole della nota formulazione di Davide Scabin: «La pasta può essere anche un primo». Anzi, aggiunge giustamente, «La pasta è un primo solo nella tradizione italiana perché nel resto del mondo è un contorno che, molto spesso, lascia a desiderare per sostanza e abbinamento». I 3 piatti del sannita a Milano avranno tutti a che fare con la pasta secca e il pesce. Il primo è un antipasto: «Sarà una rivisitazione delle Pennette panna e salmone, con una sfera di crème fraîche con trota e quattro tipi diversi di pasta». Il secondo, è un primo: «La Pasta e fagioli con le cozze della tradizione, con grandi cozze galiziane e caviale d’olio». E infine un dessert, «Un Tagliolino fritto a mo’ di cannolo con spuma di crema chantilly allo Strega Alberti e chips di mele annurche». Un inno al Benventano.

Tutti piatti in anteprima e presto in menu a Telese Terme, degni epigoni dei successi già registrati a casa sua con gli Spaghetti con maionese di ricci di mare, pepe rosa e melissa o dei Ravioli ripieno di mozzarella di bufala con gambero rosso e ragù di coniglio crudo.
 

Il silenzio prima dell'uragano: Davide Scabin

Alle ore 15.50 scatterà l’ora di Davide Scabin, aka Mister Pasta. Cosa riserverà quest’anno la lezione del cuoco di Rivoli non è dato sapere. Un silenzio ogni anno voluto perché il fragore posso risuonare esplicitamente tra le mura di Sala Blu 1, amplificato dal sodale Felicetti. Gioverà allora ricordare i contenuti delle lezioni degli ultimi 3 anni.

L’anno 2011 fu quello della pasta in infusione, messa in acqua bollente e poi lasciata rilassare nell'acqua calda, con un filo d'olio e pecorino, oppure con un vestito di acqua di cozze, vino bianco e capperi. Ma fu anche l’anno dell’evoluzione del sushi di pasta, con i conchiglioni che accoglievano al cuore la seppia e il coriandolo, il salmone in wasabi, il riccio di mare.

Anno 2012, tre piatti: due creazioni “da chef” e poi un uso “dissociato” e provocatorio della pasta. Il primo era un Cipollone cotto al forno e ripieno di spaghetti e verdure, con questi cotti ancora in infusione. Poi c'era il Rigatone - lesso, tostato in padella e farcito di carbonara - che non era un primo ma accompagnava un’insalata di mare. E in terzo luogo, le 3 espressioni di Pasta Warriors: fusillone wrap, spaghettone Twa in forma di pasticca e le penne squeeze, soluzioni che sarebbero presto diventate cult.

E l’anno scorso? Era l’anno delle Combal space lasagne, disidratate e messe sottovuoto in un pacchettino di alluminio, studiate per gli astronauti della Iss,Stazione spaziale internazionale. Che poi son partiti in missione per davvero e tornati sulla Terra più in forma di prima.
 

Norbert Niederkofler, pazzo per i paccheri

In questo momento, la prima preoccupazione di Norbert Niederkofler è trovare delle pale per azzerare i cumuli di neve caduti davanti all’ingresso del St Hubertus del Rosa Alpina: «Non ricordo una nevicata così copiosa da anni», ci racconta al telefono. A scaldarlo tra le mura, c’è l’eterno amore per la pasta che non è quella fresca, prevalente nella tradizione altoatesina, «ma quella secca e cotta al dente come si deve: sono un fan sfegatato dei paccheri», spiega.

E un promotore della trasmigrazione dei sapori del sud tra le vette alpine: «Due anni fa ebbe un discreto successo il Fusillo di grano arso che mi faceva un pastificio napoletano, lo cucinavo con porcini e carrube. Un primo piatto dai sapori tosti, che rimangono a lungo in bocca e nella memoria, come piace a me». Da pochi mesi, però, c’è la svolta di Cook the mountains: tutto quello che NN mette nel piatto dev’essere espressione delle lande che lo circondano. «A Identità (lezione ore 16.40, ndr) presenterò infatti della pasta ricavata da un’antica varietà di grano duro locale, che dà vita a un piatto sperimentale, dal sapore molto clean».

Pasta che dev’essere un primo e null’altro: «Per tutti gli anni in cui ho lavorato in Germania, non sopportavo che la servissero come contorno. Sono assolutamente contrario. Mentre sono favorevolissimo alla pasta come trave portante del piatto unico: per chi ha fatto tanto sport come me, unire carboidrati e proteine è il massimo».
 

Antonia Klugmann, ossessione per l'amido

Il sipario della quinta edizione di Identità di pasta se lo prende tutto Antonia Klugmann (lezione, ore 17.30). Per la cuoca friulana in ritiro a Venezia, il grano duro è un ossessione: «Amo tutti i tipi di pasta possibili e immaginabili: lunga, corta, secca, fresca, ripiena. Soprattutto, sono interessata all’amido. Chi non ha un approccio scientifico di base come me, rimane impressionato dal modo in cui il glutine reagisce a contatto con l’acqua. Pura magia».

I maestri del genere stanno in Oriente: «Le cialde e gli spaghetti che riescono a ottenere i giapponesi attraverso la spremitura del grano saraceno e l’essiccazione hanno dell’incredibile. Io ci ho provato diverse volte ma non sono mai riuscita a ottenere nulla di valido». Ciò che le riesce benissimo è l’interpretazione dei due piatti che porterà a Milano: «Il primo fa uso dello Spaghettone di Benedetto Cavalieri. Come secondo piatto sono ancora indecisa se ricorrere a un formato di pasta corta al farro o allo Spaghetto al nero di seppia di Felicetti, che usavo molto già ai tempi in cui stavo al Ridotto a Venezia: lo cucinerò nell’acqua di pomodoro e lo servo con tartufo nero e un gel di funghi legato leggermente con la tapioca».

Alla base del suo modo di intendere il grano duro occidentale, c’è un concetto preciso: «La pasta dev’essere sempre interpretata come ingrediente, mai come supporto. E' così che ne possiamo fare uso nel migliore dei modi».