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E’ in rete da una settimana il programma della decima edizione di Identità Milano, tema portante "Una Golosa Intelligenza", da domenica 9 a martedì 11 febbraio nel centro congresso di via Gattamelata a Milano, stessa sede dal 2009 in poi. L’appuntamento con Identità di pizza è fissato per lunedì 10 in Sala Blu 1, ma ci sono delle novità, sostanzialmente due. Punto primo: i sei momenti “pizzaioli” sono previsti nel pomeriggio grazie a Simone Padoan, Franco Pepe, Beniamino Bilali, Ciro Salvo, Roberto e Fiorella Ghisolfi, Pina Toscani, ma, punto secondo, avremo altri due pizzaioli in cattedra domenica. A Identità Naturali infatti Renato Bosco parlerà di pizza vegana e Lello Ravagnan di panino vegano. Pizza, fortissimamente pizza.

E lunedì mattina? Identità di pane, tema che torna sette anni dopo l’edizione del gennaio 2007 al Palazzo della Borsa in piazza Affari. Allora il filo conduttore fu “Il pane, la pasta e la cucina scientifica”, primo a parlare Gabriele Bonci, secondo Eugenio Pol, quindi Fulvio Pierangelini. In sette anni, il pane va ripensato. Vi sono chef che nemmeno lo portano in tavola. E non è giusto, però c’è pane e pane.

Paolo Marchi, testi di PizzaUp di Cristina Viggè, quelli successivi di Luciana Squadrilli
 

L'alimentazione del futuro

Nel rapporto 2013 di Noi Italia,100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo, l’Istat disegna la mappa italiana dei fattori di rischio legati all'obesità in modo alquanto preoccupante: «La prevalenza delle persone obese ammonta al 10,0 per cento della popolazione adulta di 18 anni e più». Cioè 6 milioni circa di cittadini italiani nel 2011 erano sovrappeso prevalentemente a causa di uno stile di vita costruito sul surplus di calorie assunte con l’alimentazione rispetto alle calorie bruciate con le attività fisiche e mentali quotidiane. Per dirla con le parole dell’Istat «Molte delle malattie croniche, tra le principali cause di morte, si possono prevenire adottando stili di vita salutari fin dall’età giovanile».

Oramai da anni siamo bersagliati da messaggi che richiamano la nostra attenzione su come e quanto si mangia e sulla necessità di abbinare una sana alimentazione con uno stile di vita meno sedentario; eppure in Italia, e ancor più in altri paesi europei, il fenomeno del sovrappeso è a livelli elevati, anche dal punto di vista dei costi della sanità pubblica correlati. Non dobbiamo essere insensibili al problema, perché mangiare di meno non significa mangiare peggio, così come mangiare bene non significa riempirsi lo stomaco oltre ogni limite.

Mi ha colpito una considerazione di Carlo Petrini in occasione della recente presentazione del suo ultimo libro, secondo cui nei paesi ad alto tasso di sviluppo tanta gente spende di più per dimagrire di quanto non spenda per mangiare. A cosa serve l’educazione al gusto e agli ingredienti di alta qualità diffusa dai professionisti dell’ alta ristorazione fuori casa se poi prevale la ricerca dell’abbuffata a basso prezzo? Perché meravigliarsi allora se proprio da un moderno molino (Quaglia) è partito il messaggio di usare farina macinata a pietra e in minore quantità nella pizza pur di rimanere nei limiti calorici di una dieta mediterranea corretta?

Visto che, a ben vedere, la pizza quando è nata era proprio così. Con questa idea stiamo lavorando per coinvolgere gli ospiti del nostro spazio nel prossimo congresso di Identità Golose a Milano, in un nutrito calendario di incontri con l’alimentazione del futuro, pensata e servita da cuochi, pizzaioli, panettieri e pasticcieri che da tempo si pongono come riferimento di un’alimentazione fuori casa sana, gustosa e improntata a una corretta dieta mediterranea.
(nella foto, Fabrizio Pasinelli, patron della pizzeria Al Castello di Cividate al Piano, Bergamo).
Piero Gabrieli
 

Ravagnan e la Napoletana senza lievito

Per star bene bisogna alimentarsi in modo sano, vario ed equilibrato. Senza mai dare nulla per scontato. Soprattutto quando si mangia la pizza, uno dei simboli della Dieta Mediterranea. E che, come tale, ha l’onere (e l’onore) di celebrare ingredienti genuini. Sin dalla sua base. La quale deve essere non solo digeribile e leggera, ma anche nutrizionalmente adeguata al fabbisogno dell’organismo. Il che significa meno calorie, carboidrati, grassi e sale, a vantaggio di una maggiore quantità di fibre, vitamine e sali minerali. Per un prodotto in linea perfetta con un corretto e contemporaneo stile di vita.

Lo sa bene Ruggero Ravagnan della mestrina Grigoris, uno dei relatori-ricercatori della settima edizione di PizzaUp, il simposio tecnico andato in scena a Vighizzolo d’Este, sotto il nume tutelare di Molino Quaglia e con il supporto dell’Università della Pizza e del Distam, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche della facoltà di Agraria dell’Università di Milano. Ecco dunque la Napoletana senza lievito by Lello Ravagnan. La formula segreta? Acqua (a 34°C), un po’ di Petra 1, farina di grano tenero germinato (Brick 1330 di PetraViva) e crusca di grano tenero germinato (Brick 4210). In modo tale da far partire una fermentazione spontanea, ottenendo un ottimo risultato. Ovvero una pizza dalla buona elasticità, dal bel cornicione alto (come recita il partenopeo diktat) e dal piacevole sentore di grano. “Non è stato assolutamente semplice”, spiega Lello, “perché il germinato nutre sì l’impasto ma si nutre pure dell’impasto”.

Da lì la codifica della temperatura dell’acqua, dei tempi di lievitazione e del range di massima resa dell’impasto stesso. Che va poi steso, e quindi un po’ “maltrattato”, e passato nel forno a legna. Finché il bordo si è alzato e la pizza è riuscita al meglio. Preziosa di elementi nutritivi e di un topping firmato da Corrado Assenza: crema “lenta” di ricotta di pecora, pomodorini secchi siciliani, capperi confit, olio extravergine e origano selvatico, leggermente mentolato. Per una radiosa rilettura della Margherita.
 

Roberto Ghisolfi e il grano vivo, vivace e versatile

Anche per lui il compito non si è rivelato facile: creare una pizza alla pala facendo leva sul potere e sulle proprietà dei germinati, ma senza aggiungere lievito alcuno, né madre né di birra. Ma si sa, a Roberto Ghisolfi de Lo Spicchio di Cremona (via Decia, +39.0372.410790) le ardue imprese son sempre piaciute. Da lì, sotto a studiare, provare, riprovare e sperimentare. “Stavo quasi per rinunciare, finché all’ultimo momento ci sono riuscito e ho urlato dalla felicità”, dice il pizzaiolo. Che ha saputo dare il via a una fermentazione spontanea partendo da pochi elementi, quali l’acqua, Petra 1 e la farina di grano saraceno germinato (o la farina di grano tenero germinato). Ottenendo una biga da far riposare 12 ore, rinfrescare, lasciare in relax altre sei ore, stendere e infornare.

“Un prodotto pazzesco. Rivoluzionario. Che nasce praticamente dal niente”, dichiara Ghisolfi. Visto che queste farine di cereali (ma pure di legumi) germinati riescono a divenire esse stesse lievito. Per un impasto mille volte più naturale e nutrizionalmente eccezionale. Insomma, una chimera divenuta certezza, grazie alla passione e alla pazienza di un pizzaiolo tenace, testardo e ostinato come Roberto. Che ha poi coppato la sua focaccia in pala, forgiando il tondo “fiore di pizza” (chiamato così in nome della moglie Fiorella) e corredandolo da un cubetto di focaccina. Pronta a esibire la sua struttura mirabilmente alveolata. Mentre al topping ha pensato mister Assenza: finferli, crema di zucca e ristretto di brasato di guanciale (a conferire la sapida nota finale); nonché tonno fresco, rosolato e tagliato sottile, con cipolla leggermente caramellata (complici aceto di mele, zucchero e sale).

Intanto, il cremonese artista sta già elaborando un lievito madre figlio della farina di grano tenero, di grano saraceno o di piselli germinati. “Ci vogliono solo quattro giorni per dar forma a un impasto che ha zero acidità, un profumo floreale e molte virtù”. Ovvero, vantare un’assoluta digeribilità, sviluppare un’ottima bio-assimilabilità e avere una spiccata personalità. Certo, perché ogni pizzaiolo ha così la possibilità di realizzare il suo “mix”. Dalle caratteristiche ben precise. Per pizze dal sapore vero e sincero, portatrici sane del sapere del loro autore.
 

Bilali e la Margherita gluten free

Se la pizza d’eccellenza diverrà democratica, un po’ di merito andrà al giovane ed esperto Beniamino Bilali. Il quale, in occasione di PizzaUp, ha presentato la sua Margherita gluten free. Ideale per chi soffre di celiachia. “Perché la pizza sia davvero uguale per tutti e nessuno si senta di serie B”, commenta il saggio BB. Che, nel percorso di ricerca, ha trovato soprattutto una difficoltà: mettere a punto un disco di pasta capace di non perdere struttura (come invece spesso accade nei prodotti senza glutine), evitando l’effetto “secco e basso”.

“Anzitutto, ho capito che avrei dovuto costruire un lievito più dolce e meno aggressivo, allungando di conseguenza i tempi di attesa”, dice Bilali. Fiero e orgoglioso della sua accurata sperimentazione. Partita dalla massima semplicità: una biga, figlia di acqua e farina di grano saraceno germinato, portata alla giusta maturazione. Affinché sublimasse essa stessa in lievito. Un “lievito” da aggiungere successivamente a un prodotto quale GlutiNò di Molino Quaglia, sapiente mix di amido di mais, farina di grano saraceno, farina di riso, sale, zucchero e fibra di psyllium. Per procedere infine nella lavorazione, come se fosse un impasto normale, suddiviso in palline-panetti da 180 grammi, da lasciar maturare ancora per ventiquattro ore.

Il risultato? Straordinario. “Anche se il margine di miglioramento è molto”, ammette il puntuale Beniamino. Infatti, l’acqua presente nell’impasto, ed evaporata in cottura (nel forno a legna), consente di ottenere una buona struttura, ben alveolata, nonostante manchi la forza e la grinta proteica. Insomma, una pizza di rango, da completare con pomodoro, mozzarella e basilico. Ovviamente gluten free.
 

Massimo Giovannini e la pizza più ricca

Un’occasione di incontro e di confronto PizzaUp. Un’opportunità per riflettere, ragionare e ricercare, avendo un preciso obiettivo da raggiungere. Ma pure un modo per esplorare e approfondire l’argomento “pizza”, gettando le basi del futuro. “Senza per questo diventare farmacisti”, come ben precisa Massimo Giovannini, illuminato pizzaiolo de L’Apogeo di Pietrasanta (via Aurelia Sud 14, +39.0584.793394). Il cui compito non è stato tanto quello di realizzare un “nuovo” impasto, ma di innovare aggiungendo valori nutrizionali alla pizza stessa. Affinché risultasse più ricca in fibre, ferro, fosforo e potassio.

Et voilà dunque la base, frutto di Petra 1 e 9 (già di per sé virtuosa di fibre), lievito madre, farina di ceci germinati (al 5% sulla farina totale) e germe di grano (al 3% sulla farina). Per un disco pop (da 180 grammi) fragrante e friabile, di colore leggermente brunito, dalla buona alveolatura, cotto in forno a legna (a 310-315°C per quattro minuti) e completato (totalizzando solo 594 calorie) da un topping ad hoc. Anch’esso digeribile e prezioso di elementi nutritivi facilmente assimilabili dall’organismo.

A partire dagli stessi ceci germinati (e interi) che Massimo ha usato per la farcitura, lasciandoli in ammollo nell’acqua, facendoli bollire (al fine di ammorbidirli) ed emulsionandoli con l’extravergine di oliva. Per creare una soffice crema. Pronta ad accogliere i filetti di baccalà cotti sottovuoto con olio e rosmarino a 70°C per quindici minuti. Come tocco finale? Una salsina al rosmarino e super concentrate chips di baccalà. Non trascurando un topping con bietole, burrata e acciughe. “Nel menu invernale sto per inserire una pizza di questo genere, con tanto di tabella nutrizionale che ne documenti i valori oggettivi”. Per rendere onore ai sani principi della Dieta Mediterranea.
 

Renato Bosco e i burger veg e ham

E se dalla pizza si passasse allo street food? Il discorso non cambierebbe. Anzi, si farebbe più interessante. Parola di Renato Bosco della veronese Saporè, che ha portato alla ribalta la duplice declinazione del burger: “ham” e “veg”, gemelli diversi per natura e concezione, ma simili per equilibrio nutrizionale.

Ecco allora la versione più classica, tonda e con la carne: fassona piemontese con Monte Veronese a fette, pomodoro San Marzano, germogli alfa-alfa e maionese di miele, preparata senza uova e con miele di girasole Thun, aceto di miele aromatizzato al rosmarino e olio. Il tutto racchiuso tra due “fette” speciali, messe a punto con Petra 5, acqua, sale, latte, lievito, olio extravergine appena franto e crusca di grano tenero germinato. Per una netta percezione di pane. Povero di grassi, ma ricco di fosforo e calcio. Per morsi saggi e salutari.

In grado pure di incontrare le preferenze dei vegani, nella declinazione green del burger: soffice, quadrato e realizzato partendo da una biga, nonché utilizzando Petra 1, acqua, sale di Cervia (Presidio Slow Food), latte di riso (prezioso di potassio e magnesio), lievito, olio di semi di zucca (antiossidante, virtuoso di vitamina E nonché ottimo alleato contro il colesterolo) e farina di ceci germinati (ricca di ferro). Mentre come imbottitura il bravo Renato si affidato al seitan, rosolato in un soffritto di cipolla, sedano e carote (e ingentilito da una salsa di pomodoro e zafferano), alla crema di zucca, allo stracchino di riso e curry, al radicchio rosso, ai germogli di porro e ai porcini freschi spadellati. E per completare l’opera? Hamburger e vegburger sono stati serviti rigorosamente incartati. Per esser mangiati comodamente con le mani.
 

Il cornicione si veste in total black

Siamo abituati a immaginare la pizza come un cerchio chiaro appena scurito dalla cottura; quasi una tavolozza o un foglio bianco da decorare a piacere di tutti gli sgargianti colori degli ingredienti: pomodoro, mozzarella, basilico, verdure e quant'altro. E se invece la base fosse di un altro colore? Proprio negli stessi giorni di questo autunno improvvisamente gelido, due campani – un pizzaiolo e uno chef – hanno avuto un'idea simile: giocare con il colore dell'impasto dando alla pizza un'inedita sfumatura black.

Gianfranco Iervolino, pizzaiolo di Villa Giovanna a Ottaviano (Napoli, +39.081.8279014), propone la Renanera: un impasto lavorato a mano e lievitato per 24 ore a base di farina Petra 3 con aggiunta di nero di seppia a dare un colore decisamente dark alla pizza. Sopra, un tripudio di colori che spiccano sul nero: stracciatella di bufala, crema e punte di asparagi, gamberi di Mazara del Vallo marinato in citronette, un filo di olio extravergine del Vesuvio a crudo e timo per profumare e decorare. «Questa pizza – spiega Gianfranco - nasce dall'idea della sabbia nera vulcanica, da cui il nome: aprendo il disco di pasta, una volta cotto, mi riporta alla mente quando eravamo bambini e sulla spiaggia giocavamo con la sabbia scura. Quindi ho aggiunto il gambero, che richiama il profumo del mare, e altri ingredienti che nascono sulla terra vulcanica: gli asparagi, il profumato timo del Vesuvio e l'extravergine di Villa Dora, da olive Nocellara del Vesuvio».

È invece un omaggio in chiave meridionale a Davide Scabin e ai suoi spaghetti “Black is Black” la Pizza in black (foto di Lello D’Anna) che lo chef Vitantonio Lombardo propone alla Locanda Severino di Caggiano (Salerno): una pizza fritta e farcita con spuma di ricotta, al cui impasto aggiunge carbone vegetale. Ne risulta una colorazione un po' più chiara di quella di Iervolino, ma rafforzata dalla presenza del tartufo nero locale (in questo periodo, l'uncinato o Tuber uncinatum) in tre consistenze: salsa di tartufo al Porto, scaglie di tartufo fresco e quenelle di caviale di tartufo ottenuto con la sferificazione. A garantire la leggerezza e digeribilità, nonostante la frittura, una lunga lievitazione a freddo.
 

Opulentia a Roma, signori la pizza è farcita

La pizza bianca fa parte del patrimonio gastronomico romanesco quanto amatriciana e carbonara. Negli ultimi anni però la versione con il condimento messo sopra ha preso decisamente il sopravvento su quella farcita, molto comune fino a qualche tempo fa. I tre giovani soci di OpulentiaDaniele De Santis, gastronomo e addetto ai condimenti, Simone Poli, che viene da una famiglia di “pizzettari” e si occupa degli impasti, e Valerio Vitalini – hanno voluto recuperarla proponendo una serie di farciture super golose, “opulente” ma sempre equilibrate: si va dalla delicatezza della pizza con crema di carote, Parmigiano e broccolo romano a sapori più decisi come nel caso di quelle con zucca, broccolo romano, brie e speck o con ciauscolo e stracchino.

Alla base, un leggero e fragrante impasto da pizza romana in teglia di stampo classico, ottenuto con un mix calibrato di farine e una lunghissima e laboriosa lievitazione (da 48 a 72 ore, con numerose rigenerazioni). Questa la semplice ma valida ricetta del piccolo locale – un bancone e qualche sgabello - nel cuore del Pigneto, quartiere popolare riscoperto da qualche anno anche come meta gastronomica della Capitale. E l'anima popolare e un po' bohèmienne della zona si ritrova nei prezzi – da 2 a 2,5 euro a pezzo, con farciture generose – nell'arredamento e nell'immagine di Opulentia, frutto della collaborazione di artigiani e artisti del quartiere, e nella accoglienza cordiale e senza fronzoli dei tre soci-lavoratori, sempre dietro al banco.

Da non perdere anche il buonissimo Club Sandwich, tra le migliori versioni della città, con maionese fatta in casa e altri ingredienti di qualità proprio come per le pizze perché, spiega Daniele, “non avrebbe senso faticare tanto per l'impasto e poi non perdere qualche minuto in più per fare una maionese buona”.
 

Il pane e la Cena di Santa Lucia a Padova

Un’altra iniziativa benefica importante avrà luogo lunedì 9 dicembre, a partire dalle ore 20, al Centro Congressi di Padova “Luciani”: è la Cena di Santa Lucia 2013, un momento di sostegno efficace verso i progetti internazionali di sviluppo realizzati dall’Ong Avsi, Associazione volontari per lo sviluppo internazionale. Qui si trovano le iniziative cui saranno devoluti gli incassi della decima edizione della cena.

Molino Quaglia contribuisce con le pagnotte Petra da 2 kg preparate da Nicola Trentin, panettiere di Cittadella, e altrettanti sacchetti di farina distribuiti agli oltre mille partecipanti. L'invito è quello di riscoprire il pane in casa che non si spreca, che dura nel tempo e che si utilizza nella cucina di casa in ricette tradizionali che negli anni del benessere sono andate in disuso. Pane che non si butta via e farina da lavorare in casa come richiamo generale a dare agli alimenti di base il valore e il rispetto che le persone in condizioni disagiate attribuiscono per necessità.
 

Salvo e Roscioli: 2+2 fa 8 mani

Se la matematica non è un'opinione, la pizza (anzi, le pizze e molto altro) possono sovvertire le cose. Provate infatti a contare 2 fratelli (Alessandro e Pierluigi Roscioli dell'omonima insegna) più altri 2 fratelli (Francesco e Salvatore Salvo di San Giorgio a Cremano, i 4 sono in fila nella foto di Sandro Luciani) e avrete 8 mani che sfornano pizza bianca con la mortadella, pizze alla pala variamente farcite, pizze fritte e pantagruelici cuppetielli di frittura tipica partenopea.

Aggiungeteci tanti amici che collaborano: da Franco Cazzamali con la sua strepitosa tartare ad Annibale Mastroddi con la porchetta e tanti altri amici, tra cui il Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop e molti, molti di più che partecipano ad un'insolita festa itinerante tra i vicoli a ridosso di Campo de' Fiori, facendo la spola dal ristorante-gastronomia dei Roscioli in via dei Giubbonari allo storico forno di famiglia in via dei Chiavari, con accanto anche l'Ape di Romeo caricata per l'occasione con la squisita porchetta di Annibale. Questi i numeri della serata 8 MANI , organizzata domenica 24 novembre da Elisia Menduni insieme ai 4 fratelli protagonisti.

Ma la cifra più importante è un'altra: i 3.300 euro raccolti (la donazione libera partiva da 10 euro) a favore di Cibo Libero, il progetto creato dalla stessa Menduni dentro al Carcere di Rebibbia a Roma. I fondi serviranno per costituire l'omonima associazione e creare un’azienda agricola e un caseificio con e per le donne recluse dentro la Casa Circondariale: carne, uova, formaggi e prodotti agricoli saranno poi messi in distribuzione per sostenere il progetto.