Gentile {NOMEUTENTE}
Durante la terza e conclusiva giornata del simposio di PizzaUp, a un certo punto mi sono ritrovato a pensare alle novità della guida Michelin presentata il giorno prima. Stava parlando Simone Padoan, ma il discorso può essere tranquillamente allargato. Certo, la Michelin ha radici, storia e matrice francesi - e la pizza è invenzione nostra e non loro, dei nostri cugini -, però possibile che, premiati con una, due o tre stelle 329 insegne, non una è pizzeria.

Si dirà che in una scala di valori la pizzeria sta in basso, il ristorante in alto e le trattorie in mezzo ma possibile che a volte accade che la stella illumini locali lontani dagli standard di accoglienza e attenzione della Rossa e una pizzeria mai o quasi? Quasi perché un tempo il Ringo di Travagliato (Brescia) era pure pizzeria e lo era in pieno la Pizzeria Negri a Pontecagnano Faiano (Salerno), unico precedente di una pizzeria 100% con la stella. Ma in due edizioni ormai sbiadite, 1961 e ’62. Possibile che in mezzo secolo mai più nulla, nemmeno ora? E' forse riduttivo cucinare pizze? E quei cuochi di solo pesce o di sola carne?

Paolo Marchi, testi di Luciana Squadrilli e Cristina Viggè
 

Pizza180: dieta mediterranea sotto forma di pizza

Impossibile riassumere PizzaUp in queste poche righe, tante sono state le novità presentate nelle 6 relazioni tecniche del simposio. Ma la prima cosa che mi viene in mente è certamente la stupefacente evidenza che la pizza può diventare l’emblema di un "ritorno al futuro" della dieta mediterranea: per esempio riportando in tavola le caratteristiche originarie della pizza più famosa in Italia e nel mondo: la pizza margherita. Ecco come.

Una manciata di Petra 1 (circa 100 g) con un pizzico di Brick 4210 (crusca di grano tenero germinato) e un pò di Brick 1330 (farina di grano tenero germinato di tipo 1) al posto del lievito di birra. Stesa a mano e infornata con condimento di mozzarella di bufala campana dop e pomodoro San Marzano dop e un filo di olio extravergine d’oliva a freddo in uscita dal forno (in questo caso a legna). E per far le cose bene Ruggero Ravagnan (che ha messo a punto questa ricetta di pizza margherita senza lievito madre e neanche un granello di lievito di birra nel lavoro di ricerca condotto nella sua Pizzeria Grigoris a Mestre) è partito dalle indicazioni del Reg. UE n. 97/2010 (registrazione della Pizza Napoletana nel registro delle specialità tradizionali STG) con lo scopo di ricreare la pizza margherita che proprio a Napoli ebbe i suoi natali circa 300 anni fa. Ma in chiave contemporanea, per rispettare le soglie energetiche di uno dei due pasti principali previsti in una dieta mediterranea moderna.

Quindi panetti da 180 g di farina di grano tenero macinata a pietra (visto che in modo lungimirante il disciplinare STG non limita l’uso delle farine a quelle raffinate) impastata con acqua e farina di grano tenero germinato (Brick 1330) per portare a maturazione l’impasto senza aggiungere altri lieviti. Rispetto a una pizza margherita comunemente in carta, meno carboidrati (la farina nell’impasto è stata ridotta del 30%), più fibre (aumentano di circa il 135% grazie a Petra ed alla crusca germinata), meno grassi e meno sale. In totale circa il 30% di calorie in meno con tutto il gusto degli ingredienti dai quali è nata la tradizione della pizza più famosa del mondo. La tabella nutrizionale sul sito di PizzaUp.
Piero Gabrieli
 

PizzaUp e la rivoluzione dolce di Padoan

Questa che si sta per concludere è stata (anche) la settimana di PizzaUp, di un simposio che il Molino Quaglia ha organizzato a Vighizzolo d’Este (Padova) dove ha da sempre sede. Tre giorni, sei gruppi di lavoro, una squadra un tema e un giornalista adottato perché seguisse il lavoro e lo raccontasse. Io ho avuto l’onore di essere abbinato ai fucsia guidati da Simone Padoan dei Tigli di San Bonifacio (Verona).

Notare bene: maestro pizzaiolo, capace di rivoluzionare il concetto di pizza, ha dovuto pensare al dessert usando le stesse farine e gli stessi germinati dei colleghi. Sembra una provocazione e io stesso me ne sono uscito con un “certo che ero venuto fin qui per una Margherita”, ma la logica c’era, eccome.

Ormai sta cambiando profondamente il significato di piatto buono, che non è più sinonimo di cofane di pasta al pomodoro o fritti senza fine. Certo, la strada è ancora lunga. Per i più l’obesità è materia da studio medico ma chi vive la ristorazione da dentro o, comunque, da vicino non può non accorgersene. Non si può più prescindere da salute, leggerezza, intelligenza. A un certo punto, presentando quanto avrebbe fatto di lì a poco, Padoan ha detto: “Devo presentare un dolce sano”. Solo due o tre anni fa avrebbe detto “un dolce particolarmente buono”, quindi pannoso, burroso, calorico.

Sano = buono, a patto che la ricetta sia pensata da uno chef e non da un medico. E’ un po’ come con il food-design, se ci si applica un designer resti molto probabilmente deluso dal gusto.

Il veneto ha lavorato una frolla arricchita di germinato di grano saraceno. Ruvida, mangiata da sola tende ad asciugare la bocca, meglio la frolla classica (e, comunque, più leggera). Ma Padoan ha spiegato di avere pensato a un dolce che potesse seguire il procedere delle ore, essere di accompagnamento nel latte o nel caffè ad esempio fino a diventare la base di un dessert marmellata (nella circostanza alle mele cotogne) e gelato (al fiordilatte).

Fondamentale, per capire la tre giorni da Molino Quaglia una frase del medico nutrizionista Pierpaolo Pavan: “Non bisogna limitarsi a pensare a una pizza buona e sana, bisogna valutare l’intero pasto in pizzeria, dagli antipastini al dolce, centinaia e centinaia di calorie che fanno solo male”.
PMar
 

Pierpaolo Pavan, un nutrizionista in pizzeria

A cena in pizzeria, cominciate con un'insalata russa o dei fritti – ma nell'attesa fate fuori due pacchi di grissini - poi scegliete una 4 Formaggi o Capricciosa, una bevanda gassata e un tiramisù di fattura industriale. Risultato: avrete assommato oltre 2.500 calorie di scarsa qualità, squilibrate dal punto di vista nutrizionale (pochi carboidrati complessi, troppi grassi e zuccheri semplici) e la mattina dopo vi sveglierete con un chilo in più sulla bilancia e tanta sete, ammesso che siate mai riusciti a prender sonno. Se invece optate per un pinzimonio di verdure e olio, una Margherita con un bicchiere di vino, birra o una bevanda con pochi zuccheri e della frutta, avrete mangiato meglio senza incidere troppo sul peso e rispettando gli equilibri nutrizionali raccomandati (60% carboidrati, 15% proteine e 25% grassi). Che poi sono gli stessi della pizza intesa come piatto unico, emblema della Dieta Mediterranea oggi spesso trasformato in junk food.

«È impensabile che chi lavora nella ristorazione si occupi solo del gusto o al più della sicurezza alimentare – spiega Pierpaolo Pavan, medico nutrizionista - tralasciando la sicurezza nutrizionale, molto più attuale: salmonelle e tossinfezioni oggi sono rare, mentre diabete e malattie cardiovascolari legate all'alimentazione sono molto diffuse». E questo vale anche per la pizza. Pavan fa parte della squadra dei docenti dell'Università della Pizza, dove insegna ai pizzaioli i principi della sana alimentazione per accompagnare le conoscenze tecniche su impasti e condimenti a quelle nutrizionali. Tre le regole base: qualità, quantità, tempo. Quindi: materie prime selezionate (a cominciare da farine ricche di fibre), lievitazioni lunghe e attente e poi la farcitura, semplice per lasciare spazio all'impasto.

La pizza ideale secondo Pavan? Quella “delle origini”, nata a Gaeta nel 997 d.C. con olio, pesce e prezzemolo (antenata della tiella). Ma anche la Margherita (proteine e grassi di qualità, carboidrati complessi e il licopene del pomodoro) o la Marinara, leggera e squisita se ben fatta. Oppure le pizze come quelle proposte da Simone Padoan, con un impasto importante ma digeribile e condimenti ricercati ma ben calibrati. Tenendo sempre presente che gusto e salute possono andare a braccetto. Non a caso, sottolinea Pavan, la nutrizione ha un ruolo fondamentale anche nell'Expo 2015, dal tema “Nutrire il Pianeta. Energia per la vita”.
LS
 

Simone Padoan: memoria, lumache e lievito madre

La pizza ama viaggiare. Vagando per i fragranti sentieri che dal bosco conducono alla campagna e che dagli Appennini portano al mare.
E così ha fatto. Nella giornata a lei dedicata all’interno di Extraordinariamente Host, l’evento di scena a Fiera Milano dal 18 al 22 ottobre, firmato da Italian Gourmet e d Associazione professionale cuochi italiani. Partendo dalla selva dei pensieri di Simone Padoan. Il quale, passeggiando fra I Tigli veronesi, è tornato alla sua infanzia, quando con papà andava per funghi nel brumoso autunno. “Non si trattava di una semplice gita”, dice Simone, “ma di un rito vero e proprio”.

Con un momento topico: quello della merenda mattutina. In cui comparivano un tronco d’albero su cui riposare, un buon formaggio da assaporare e il pane fresco da spezzare. Con un gesto sacro da parte di suo padre. Che aveva le mani odorose di foglie, di terra e di timo. Da cui la ricetta di una pizza che sintetizza il passato e il presente, la tradizione del lievito madre e l’innovazione di una materia modellata secondo un moderno modus operandi. Per un sincretismo silvano-contemporaneo d’eccellenza.

Ecco allora (nella foto di Manuela Vanni) la base: una focaccia pan brioche figlia della pazienza, dell’attesa e dell’attenzione. E pure della pasta madre (che porta il nome della figlia Gaia), dell’acqua, della farina Petra 3, di più rinfreschi, di lunghe lievitazioni e di accurate lavorazioni, eseguite alla giusta temperatura e con le perfette idratazioni. Al fine di ottenere un impasto finale da cuocere in forno, lasciar raffreddare e poi rigenerare. Per renderlo ancora più intrigante. Mentre al top sfilano le lumache alle erbette. Bollite in un brodo vegetale, saltate in un mix di piante aromatiche e mantecate con una noce di burro. Per poi essere corredate da una soave fonduta di Asiago, da un filo d’olio al timo e da porcini crudi. Capaci d’inebriare il palato con l’umido e autunnale umore.
CV
 

L’ode alla Mora Romagnola di Lello Ravagnan

Sostiene la digeribilità. E pure la golosità e la massima semplicità Ruggero Ravagnan da Mestre. Che, a Extraordinariamente Pizza, si presenta con una Regina al prosciutto. Certo, non uno qualsiasi, bensì quello cotto, artigianale, siglato dal produttore Aldo Zivieri di una Mora Romagnola che vive allo stato semi-brado (peraltro protagonista assoluta il 10 novembre, in occasione di Identità di carne). Per regalare un salume dalla dolcezza e dalla grassezza uniche. Valorizzate in un abbinamento che fa di contrasto virtù. Quello con un Presidio Slow Food quale la rossa e gialla papaccella napoletana, agrodolce sorgente di piacevolezza. Il tutto completato da “burroso” fiordilatte agerolese e da candida e cremosa burrata pugliese (foto di Manuela Vanni).

Sì, burrata di Andria, perché Lello ama guardare verso Sud, abbracciando una mediterraneità incarnata in ingredienti dal gusto pieno e deciso. Del resto, la sua Grigoris l’aveva immaginata sdraiata al sole di una piccola isola greca. Poi è andata com’è andata e la pizzeria l’ha aperta a Chirignago, vicino a Venezia, “che un po’ bizantina lo è”, fa notare Lello. A cui la predilezione per i sapori raggianti non è passata.

Da lì lo sguardo volto al Meridione, senza scordare di osservare stagionalmente l’orto veneto. Inchinandosi così al broccolo fiolaro di Creazzo. “Raccolto a fine novembre, quando è dolcissimo e maturissimo”, sottolinea ser Ravagnan. Che lo unisce alle sarde in una classica pizza tonda al piatto di napoletana matrice. Quella con il cornicione alto e ben lievitato, risultato di un’ottima fermentazione e di una lunga maturazione (di circa 48 ore). Per un tipico “disco” pop pronto a venir cotto in forno a legna ad altissime temperature (380-400°C).

Molto apprezzato dai giovani che frequentano Grigoris, locale capace di dar spazio alla musica, alla farina, alla fantasia e a una brigata di ragazzi appassionati.
CV
 

Renato Bosco: street food gioioso e vegano

Bilanciata. Sia negli ingredienti sia negli elementi nutrienti che la compongono. Così vuol essere la pizza-progetto di Renato Bosco, che nella veronese Saporè non smette mai di pensare, sperimentare e percorrere nuove strade. Provando a utilizzare anche i germinati (in questo caso della crusca), veri e propri concentrati vitali di proteine, vitamine e sali minerali. Di facile e veloce assimilazione da parte dell’organismo.

Della serie, energia pura a disposizione, veicolata da una pizza ottimamente lievitata, vaporosamente alveolata e di estrema digeribilità. Preparata per far bene a pancia e palato. “Soprattutto se come farcitura o imbottitura non compaiono prodotti di derivazione animale”, spiega Renato. Che ha già verificato come la versione green venga apprezzata anche da chi vegan non è. Del resto, le materie prime usate sono gustose, solari e volutamente autunnali.

In pratica? Una pizza in teglia alla romana, soffice all’interno e croccante nella parte esterna, pronta a sublimare in un vero vegan street food vocato all’equilibrio e all’armonia. Presentato in rettangoli di benessere che, se tagliati a metà e riempiti, possono contemplare crema di zucca, porri (cotti a bassa temperatura), stracchino di riso, seitan (ridotto a listarelle e stufato con pomodoro e spezie indiane), spolverata di gomasio (sesamo e sale) e pioggia di semi vari a conferire un senso crispy alla morbidezza.

Mentre, se farciti al top, possono prevedere tofu al mango e curry, ceci (sbollentati e conditi), cavolo nero (saltato in padella), zucca cotta e porcini crudi. Per un forte accento vegetale su una pietanza essenzialmente naturale. Ma ricca di colore e calore, sapore e sapere. Dopotutto, la salute vien mangiando. Anche la pizza.
([i]nella foto di Manuela Vanni, pizza ortaggi e tofu[/i]).
CV
 

L’idillio marino di Antonio Pappalardo

Tiene i piedi ben saldi per terra ma pensa sempre al mare Antonio Pappalardo, pizzaiolo patron de La Cascina dei Sapori di Rezzato, nel Bresciano, ottocentesca fucina di idee creative che ruotano intorno alla pizza, ma non solo. Visto che in questa casa-bottega dalla rurale allure nascono hamburger preparati con pane homemade, nonché gnocchi, ravioli e dolci di produzione propria (grazie anche al contributo di mamma Giusi). Sempre partendo dalla farina macinata a pietra.

“E dalla biga”, precisa Antonio a Extraordinariamente Host. Perché lui preferisce questo semplice mix di acqua, Petra 1 e 9 e un pizzico di lievito quale incipit del suo impasto finale. Che viene poi suddiviso in panetti da lasciar lievitare, stendere in placche e tortiere (o nei padellini, in pappalardiano gergo), far riposare ancora un po’, farcire (con fiordilatte di Agerola, ad esempio) e infine cuocere in forno a legna. Senza dimenticare il mare, dando ascolto a quell’anima veracemente campana tipica di chi, come lui, ha le radici in quel di Castellammare di Stabia.

Ecco allora comparire la ricciola (nella foto di Manuela Vanni): cruda, sfilettata, sublimata in carpaccio e condita con olio extravergine e pepe. Per percepire l’itticità nella sua piena complessità. Esaltata dalla burrosa delicatezza della mandorla di Noto, dalla dolce e salina sapidità dei capperi di Pantelleria confit e dall’agrumata rotondità dei chicchi di melagrana. Rubiconde perle citrine sopra una radiosa spiaggia siciliana a foggia di spicchi, riscaldati dal fuoco sacro dell’estro. Alimentato da una buona dose di umiltà e da una generosa manciata di volitiva curiosità.
CV
 

La cipolla borettana di Beniamino Bilali

Rinnovare, partendo sempre dall’essenziale. E senza mai perdere il concetto di pizza popolare. La pensa così Beniamino Bilali: cuore albanese e spirito riminese; classe 1985 e fuoriclasse per idee, intuizioni e spontanee fermentazioni. Viste le sue appassionate sperimentazioni sull’idrolisi dell’amido, tecnica antica che contempla la massima idratazione del chicco del cereale (specie se integrale) al fine di ottenere un lievito in modo naturale.

Questione di chimica, di alchimia e di profonda empatia con l’impasto, che Beniamino ama toccare, schiacciare e manipolare. Per poi andare a completare con ingredienti semplici e autentici. Come accade per la pizza Cipolla e parmigiano (foto Roberto Sammartini), in cui le cipolle borettane (cotte intere) vanno a sposare scaglie di Parmigiano stagionato a lungo (quasi a onorare le nebbie emiliane), extravergine, pepe e basilico. Per un mix sorprendentemente gustoso e perfettamente “fuso” con la base. Fragrante figlia del lievito madre, di ben tre rinfreschi, di una buona dose d’acqua e della farina Petra 1.

Della serie, una pizza assolutamente vaporosa e appetitosa, alveolata e digeribile. Sempre pronta ad accogliere materie prime stagionali e genuine. «Utilizzo le cose semplici perché molti le danno per scontate», dice BB, come lui preferisce firmarsi. Ecco allora la pizza con scalogno e guanciale di Mora Romagnola, quella con lardo e formaggio di fossa e quella capace di rendere omaggio all’orto, in un compendio green fatto di bietole, porri, scarola, carote, pomodorini, uvetta sultanina, sale di Cervia e pepe nero. Per un armonioso intreccio di cromìe, cotture e consistenze diverse. Mentre il calzone si fa rotolo, in modo tale da valorizzare in ogni porzione ciascun elemento della degustazione: ricotta, ciccioli, olive taggiasche e pomodoro San Marzano.
CV
 

Viaggio al centro della pizza, la ricerca

Tra le diverse novità della VII edizione di Pizza Up 2013 va citato il lavoro di ricerca presentato dalla dottoressa Federica Racinelli (foto) – tecnologo alimentare e docente dell'Università della Pizza - in collaborazione con la professoressa Ambrogina Pagani del Defens della facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Milano. “Viaggio al centro della pizza” ha l'obiettivo di capire le caratteristiche tecniche dietro ai diversi tipi di pizza che oggi conosciamo (e mangiamo) in Italia, senza dare giudizi di valore.

«Sulla pizza c'è pochissima letteratura scientifica - spiega Federica Racinelli – abbiamo voluto individuare dei descrittori precisi per definire i diversi tipi di pizza italiana sulla base di un attento studio sulla struttura della pasta e del prodotto cotto, per conoscere e dare valore alla diversità italiana». Quattro tipi di impasto a base di farina Petra 3 – tre al piatto: indiretto con biga tipico delle pizze basse e croccanti, diretto a mano secondo il disciplinare della STG Pizza Napoletana, impasto con idrolisi senza lievito come quello messo a punto da Beniamino Bilali, e l'impasto indiretto per la pizza in teglia alla romana come quella fatta da Bonci o Bosco – sono stati studiati nella loro composizione e nel modo di reagire a sollecitazioni attraverso analisi reologiche (scienza che studia gli equilibri raggiunti nella materia deformata per effetto di sollecitazioni) e analisi dell'immagine al microscopio elettronico.

«Questo ci consente di conoscere nel dettaglio come glutine e amido, principali componenti dell'impasto, sono in grado di modificare un prodotto finito – prosegue la Racinelli - dunque perché un impasto con biga è più croccante, il “napoletano” più soffice e così via». «È un percorso che riteniamo necessario - spiega Piero Gabrieli, direttore marketing del Molino Quaglia - per affermare l'identità della pizza italiana; soprattutto all'estero, dove le versioni fuori tema sono innumerevoli per quanto identificate tutte dal medesimo nome. In questo senso il lavoro condotto dall'Università di Milano rappresenta un passo importante per arrivare alla costruzione della prima griglia di valutazione sensoriale della base cotta delle pizze, così come le ricerche condotte dai 6 pizzaioli sul palco mostreranno un modo attuale di intendere la tradizione in un piatto di grande diffusione e popolarità».
LS
 

Pizzaioli e chef, amici come non mai

Fino a qualche tempo fa avremmo potuto pensare che fosse un fenomeno passeggero, la commistione tra il mondo della pizza e quello dell'alta cucina. Magari uno “sfizio” che nasceva da amicizie o da passioni personali che spingevano gli chef a cimentarsi con le mani in pasta e a portare la pizza (in versioni più o meno ortodosse) nel proprio menu. Oggi possiamo ormai dire che sia una vera e propria tendenza consolidata. I pionieri sono stati Andrea Mattei (chef del ristorante La Magnolia dell'Hotel Byron a Forte dei Marmi) e Massimo Giovannini che presentano le loro pizze gourmet nel corso di serate di gran successo alla pizzeria Apogeo a Pietrasanta,
+39.0584.793394(i due, in foto).

A Roma, poi, la pizzeria Magnifica – fresca di apertura alla Balduina, in via Ugo De Carolis, 72D – oltre alle gustose e originali pizze con ingredienti Dop proporrà a breve anche quelle firmate da nomi noti della cucina italiana: Marco Bottega, Arcangelo Dandini, Pasquale Torrente, Antonello Migliore, Andrea Dolciotti, Stefano Preli, Paolo Trippini.

Infine, i fratelli Salvo, a San Giorgio a Cremano, che hanno coinvolto chef stellati per firmare le pizze speciali da inserire nel loro menu: Gennaro Esposito, Antonino Cannavacciuolo, Nino Di Costanzo, Chicco Cerea, Davide Oldani e Mauro Uliassi che ha unito con maestria sapori apparentemente lontani come mozzarella di bufala, erborinato, alice cruda, foglie di insalata, noci e nocciole tostate e tartufo.
LS
 

A Napoli la pizza si dice (anche) Haché

Se i francesi sciovinisti lo usano per indicare l'hamburger (troppo yankee), in Italia può capitare persino di trovarlo nei menu nella versione italianizzata: ascé. Allora tanto varrebbe chiamarla polpetta, ma non è questo il punto. Perché anche se le polpette (insomma, gli haché), nelle versioni sia di carne sia di pesce, sono la specialità dell'omonimo locale aperto dal 2009 sul lungomare di Napoli (via Partenope 6d, telefono +39.081.19320287), da diversi mesi la pizza rischia di rubare la scena a ogni altra proposta in carta. Merito della nuova gestione in forza dal 2011, che ha deciso di puntare sulla qualità degli impasti e delle materie prime anche per quel che riguarda il settore pizza, fino a quel momento un po' sottotono.

Così, dopo diverse prove e sperimentazioni – come racconta Fabio Amabile, uno dei soci – si è giunti al risultato di oggi, che si differenzia dallo standard partenopeo più diffuso pur mantenendo una chiara impronta “napoletana”: un impasto estremamente soffice e fragrante, leggero e digeribile, con un cornicione alto e soffiato che fa venire voglia di mangiarlo tutto, arricchito da condimenti calibrati a base di materie prime selezionate. Partiamo dall'impasto: farina Petra 3 (da grano macinato a pietra, con germe e crusca), alta idratazione e attenta lievitazione, per un minimo di 24 ore, in costante work in progress: negli ultimi tempi l'idratazione è cresciuta ancora, per la massima leggerezza, e si è passati dalla doppia lievitazione (prima la massa intera e poi la stagliatura in singoli panetti) a quella unica direttamente in panetti, che rende ancor più morbido l'impasto.

E poi, i condimenti: dalle pizze più semplici, come l'intramontabile Marinara (qui realizzata con pomodori del piennolo e capperi di Salina Presidio Slow Food) alla best seller Ammiraglia (pomodori del piennolo, mozzarella di bufala, basilico, olio extravergine), ma anche le focacce Corbarina (condita a crudo con sottili fette di mozzarella, pomodori corbarini in acqua e sale, basilico e olio extravergine) o Cetarese (con aggiunta di tonno di Cetara).
LS