Wine Tip

Signature Kitchen Suite

Gentile {NOMEUTENTE}
Oggi, lunedì 2 dicembre, sarà in rete, nel sito di Identità, il programma della decima edizione del congresso. Non è completo, ma il grosso c’è e emoziona molto tutti noi che vi stiamo lavorando da mesi e mesi. L’appuntamento è per febbraio, da domenica 9 a martedì 11, sempre nel centro congressi di via Gattamelata a Milano, lo stesso che ospiterà, in anticipo di 24 ore, il terzo Milano food&wine festival. Da sabato 8 a lunedì 10, celebreremo una rassegna che, grazie alla collaborazione con il Merano Wine Festival, proporrà “Grandi vini e grandi chef per un festival all’insegna del gusto e della qualità” e il cui programma sarà online tra pochi giorni. Una certezza: il buono non conosce confini, anche se troppi si accontentano di cose fatte giusto benino.
Paolo Marchi
 

Che festa per il libro di Graziani e Pozzali

Più che la presentazione di un libro, è stata una meravigliosa festa in un clima di partecipazione e condivisione, all’hotel Pierre di Milano. Grandi produttori e assaggi di vini buonissimi hanno arricchito la presentazione di “Grandi vini d’Italia”, libro a firma Federico Graziani e Marco Pozzali, editore Gribaudo-Idee Editoriali Feltrinelli, 260 pagine, 45 euro). Non si tratta di una guida e nemmeno di un elenco con schema geografico: gli autori esprimono il sogno di una carta dei vini che ha preso forma, nel volume, anno dopo anno. Sono 100 vini, divisi in 10 categorie particolari: nettari di Gioia, Montagna, Vento, Mare, Sole, Fuoco, Terra, Tradizione, Uomini e Meditazione.

Tra i più preparati e professionali dell’intero panorama enologico nazionale, Pozzali e Graziani sono complementari se non altro per i gusti: il primo ama i bianchi, il secondo i rossi, spiegavano a Valeria Benatti, autrice e speaker radiofonica di RTL 102.5. Con lei, le incursioni graffianti di Alessandro Morichetti, anima di Intravino, il blog di settore più seguito in Italia. Gli autori hanno voluto attribuire un segno (“non un premio”, hanno più volte precisato) al vino più rappresentativo di ognuno dei dieci capitoli: una fotografia di Francesco Orini, quella che compare in apertura di ogni sezione del libro stesso.

Terminata la presentazione del volume, c’è stata una degustazione libera di quasi tutti i 100 vini contenuti nella pubblicazione. Assaggi monumentali ed emozionanti tra spumanti, bianchi, rossi e vini da meditazione. Una selezione di grandi annate – a cura di Wine Tip - alcune introvabili, dagli anni Sessanta ai primi Duemila. A completare la festa, la Spaghettata di Alessandro Negrini del Luogo di Aimo e Nadia, con Spaghettone Monograno Felicetti e il pomodoro di azienda agricola Paglione. Un’ultimissima sorpresa, il lancio degli occhiali in legno ideati dal duo Graziani-Pozzali, realizzati da doghe di rovere delle botti da 225 litri: Barrique Eyewear prodotti a mano dalla Custom 6 di Silvio da Prà.
Cinzia Benzi
 

Milano Food&Wine Festival 2014

 

Sbajato, un rosso da spiaggia

Vorrei raccontarvi la storia dello Sbajato, un vino che nasce da una sinergia rispettosa tra il mio chef, Ciccio Sultano e Paolo Calì, farmacista per dovere, vignaiolo per vocazione. Nasce dalla zona attorno a Vittoria, nel Ragusano, un suolo totalmente sabbioso. Volevamo un nettare che unisse la loro energia e la voglia comune di imbottigliare un rosso morbido ma di personalità, non aggressivo, che piacesse alle donne. Una bevuta semplice ma insieme dalle numerose possibilità di degustazione.

“Un rosso da spiaggia”, lo abbiamo chiamato io e lo chef, amanti degli aperitivi on the beach (tant'è che in spiaggia partono certi aperitivi degni del miglior pieds dans l'eau in Costa Azzurra!). E poi la mia passione per Fleury e Beaujolais ha fatto certamente il suo gioco, unito all'esperienza dell'enologo Emiliano Falsini. Dopo un bel pomeriggio di assemblaggi, abbiamo trovato il giusto equilibrio.

C’è il Frappato, che con la sua setosità ed eleganza guarda dall'alto l'usuale (ma non in questo caso) e potente Nero d'Avola. Con il passare del tempo sembra anche discretamente adatto all'invecchiamento di qualche anno. È un rosso che sembra semplice all’apparenza ma, a scavare nasconde tante diverse sfaccettature, con la potenza che cede il passo all'intensità. Lo dovremmo chiamare “vino croccante”. Ma si chiama Sbajato, nome che richiama le mie origini romane e l’errore come se avessimo invertito le percentuali dell'uvaggio. Un limite trasformato in occasione.
Valerio Capriotti
Sommelier dell'anno per la Guida di Identità Golose 2014
 

Straordinario Oenoteque 1996

Non capita spesso di esser presenti alla degustazione di 3 champagne eccellenti, per di piu' accompagnati ciascuno da un piatto che ne esalti gusto e profumi (del catering "Bibendum" di Marta Pulini, cuoca della Franceschetta di Modena). E' successo a Milano il 5 Novembre, quando Dom Pérignon ha presentato all'enoteca Ricerca Vini di Milano tre dei suoi capolavori: il Vintage 2004, il Rosè Vintage 2003 e l'Oenoteque 1996.

Ad aprire la serata il primo, frutto di un'annata ricca e generosa con un clima che ha segnato il carattere fine e misterioso del millesimo, con aromi di mandorla, fiori secchi e frutti bianchi fino al caffè e un gusto complesso su note speziate persistente al palato, accompagnato da insalata tiepida di scampi pugliesi con asparagi di mare, valeriana e vinagrette all'arancia di Sicilia.

A seguire il Rosè Vintage 2003, anno difficile con una vendemmia ridotta che ha dato uno champagne straordinario di grande complessità al naso in cui emergono fragola di bosco, vaniglia, frutto maturo e un gusto ricco, avvolgente con note speziate, minerali, iodate. Vincente l'abbinamento con i passatelli asciutti con sugo di filetti di triglia e bottarga di muggine per armonia di gusto e colori (il rosato intenso del vino legava piacevomente con il colore acceso del pesce).

Non poteva esserci conclusione migliore dell'Oenoteque 1996, un'eccellenza frutto di un'annata dal clima non facile che dai suoi contrasti ha contribuito a generare un millesimo indimenticabile: naso ricchissimo di sentori amabilmente intrecciati, dal dolce del fico secco al cioccolato, fino allo iodio e bocca suadente, ricca, persistente per una bevibilita' che vorresti protrarre il più a lungo possibile. L'eleganza del filetto di capriolo marinato al Pinot nero con salsa di frutti rossi e vaniglia ha portato a braccetto il sublime champagne in una danza leggera e sensuale.
Lisa Marchesi
 

Gigi e Daniele, AppassioNati a Corte Fusia

Gigi Nembrini e Daniele Gentile, 31 anni ciascuno, sono amici dalla nascita (foto terrauomocielo.net). E dal 2010 hanno la loro azienda vitivinicola in Franciacorta. A Coccaglio, zona sud, con viti che maturano sui declivi del Monte Orfano, in una micro-area più calda rispetto al tipico clima del territorio. Sono esempi lampanti di nuova generazione del vino, ma non immaginatevi yuppie 2.0 o figli di papà. Daniele è enologo e prima di dedicarsi totalmente a Corte Fusia ha fatto il nomade tra la Sicilia, le Marche, la Val Calepio e anche l’Australia assorbendo più esperienza possibile. Gigi è agronomo e figlio di agricoltori, e se non è nato sotto un cavolo poco ci è mancato.

Per ora sono disponibili un Franciacorta Brut e un Franciacorta Satèn che derivano solo da trattamenti con rame e zolfo e da una conduzione oculata di due amici che dialogano su tutto: decisioni in campagna, decisioni tecniche e scelte commerciali. Questi ragazzi parlano di sostenibilità territoriale e sostenibiltà aziendale. Ma come potrebbero se prima non si sostenessero a vicenda? Fanno di più. Con altri forever young come loro hanno creato FAN – FranciacortaAppassioNati, gruppo che unisce proprietari, tecnici e commerciali che lavorano in cantine della Franciacorta, di età compresa tra i 18 e i 40, con l’obiettivo di far conoscere i vini del territorio innanzitutto ai giovani franciacortini, che nella maggioranza dei casi sono i primi grandi estranei ai perlage nostrani.

Con cosa si brinda? Senza dubbio con quel calice simbolo della Franciacorta, ripreso graficamente anche dal logo Corte Fusia e riempito di una bollicina elegante e poco piaciona. Sapida e persistente. In cui la liqueur fa il suo dovere, non prevalendo su quello che la terra, Gigi e Daniele vogliono dirci. Sia nel Brut che nel Satèn la comunicazione è perfettamente riuscita.

p.s.i due ragazzi anno piantato anche alcuni ettari di Pinot Bianco, scelta atipica ma che già ci fa fantasticare.
Martino Lapini
 

A Milano il meglio del Piemonte 2013: 4 stelle

I vignaioli piemontesi hanno presentato pochissimi giorni fa l’anteprima dei risultati della vendemmia 2013, accompagnando gli ospiti in una degustazione delle migliori annate dell'ultimo decennio. Ad accoglierci alla Cascina Cuccagna di Milano, una struttura restaurata nel rispetto della tradizione nel cuore della vecchia Milano, c’erano il presidente dei vignaioli Giulio Porzio e il giovane enologo Gianpiero Gerbi.

Azzeccata la scelta del luogo, un modo per sottolineare la centralità dell'agricoltura e dei suoi protagonisti nella Milano dell'Expo 2015. Molto interessante la degustazione. Nella proposta enologica in assaggio abbiamo goduto di 9 diversi millesimi eccellenti. Partendo dal Roero Arneis passando per il Gavi, il Ruché di Castagnole Monferrato, il Ghemme, la Barbera d' Asti e il Barolo, siamo giunti alle bollicine dolci del Moscato d'Asti, Asti spumante e Brachetto d'Acqui.

Molto risalto è stato dato alla Barbera 2009, specchio delle origine contadine, dal colore violaceo, la spiccata acidità e quel suo tipico tannino importante. Per dirla alla piemontese: “Brusc”. Interessante il Ruchè 2012: fruttato, armonico, con una struttura leggera e un'acidità poco marcata, elegante e fine al naso. Curioso scoprire che per buon auspicio ogni vignaiolo ne coltivava almeno un paio di filari. E per finire il Barolo 2004 con i suoi profumi intensi, la sua complessa struttura, l'inconfondibile elegante tannino.

Contraddistinta da una peculiare stagione climatica, la vendemmia 2013 non ne ha risentito dal punto di vista qualitativo, si può a tal proposito definirla una “Ottima Annata”, che merita le 4 stelle per tutte le varietà con alcune punte di eccellenza.

Dai dati emersi nel corso dell’incontro si delinea l’immagine di un comparto vitivinicolo che conferma come la strategia volta a puntare sulla qualità e l’eccellenza paghi nel medio-lungo periodo. L’aspetto qualitativo dei vini piemontesi rappresenta l’elemento distintivo che consente un’importante azione di mercato in termini di esportazione: varca i confini italiani il 60% del vino prodotto in Piemonte e in particolare: 58 milioni di bottiglie di Asti (85% della produzione), 20 di Moscato d’Asti (78%), 8 milioni di bottiglie di Barolo (65%), 2,5 milioni bottiglie di Barbaresco (55%), 10 milioni di bottiglie di Barbera d’Asti (40%), 8 milioni di bottiglie di Gavi (70%), 1,5 milioni di bottiglie di Brachetto d’Acqui (30%). I principali paesi importatori, in ordine decrescente, sono: Germania, Gran Bretagna, USA, Francia, Russia, Spagna, Svizzera, Giappone.

Non solo dati, numeri ed economia: “Piemonte Anteprima Vendemmia 2013” è la conferma di come il comparto vitivinicolo piemontese sia un condensato di tradizione, valori, cultura e territorio, una miscela vincente che ha portato alla candidatura dei paesaggi vitivinicoli piemontesi nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Jèlena Peraldo
 

Sorprese andine al Pont de Ferr

Alla fine del mese scorso, Milano è stata il teatro d’incontro tra un vino argentino straordinario, Cheval des Andes, e la grande cucina di Matias Perdomo, una mini verticale (2008, ’07, ’03 e 1999) abbinata alle innovative creazioni gastronomiche del cuoco uruguyano del Pont de Ferr. Cheval des Andes è il risultato dell’incontro tra il Premier Grand Cru Cheval Blanc, con tutte le sue peculiarità, e Terrazas de los Andes, un grande brand argentino d’alta quota e la sua esperienza nella produzione di Malbec e Cabernet Sauvignon. È il vero Grand Cru delle Ande: raffinato, elegante, sontuoso, con un assemblaggio perfetto.

Il wine maker Nicolas Audebert, formazione francese come chef de cave di grandi champagne, ha espresso tutta la filosofia delle vendemmie, anno dopo anno dal 1999 al 2008. Il suo obiettivo è stato quello di unire in un solo vino l’arte dell’assemblaggio e l’esperienza del vecchio mondo con la creatività e la vitalità dei nuovi territori.

Cheval des Andes si trova nel distretto di Las Compuertas, proprio nel cuore di Vistalba, una delle aree più vocate di Mendoza. Sono 5 varietà - Malbec, Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet franc e Petit verdot – a loro agio con questo ecosistema. Un vigneto da 35 ettari all’avanguardia come tipo di suolo, condizioni climatiche, materiale di semina e pratiche di coltivazione.

Se il Malbec rappresenta l’eleganza e il Cabernet sauvignon la struttura, il Merlot esprime le note di frutta nera, i tannini e le dolci speziature, il Petit Verdot il colore mentre il Cabernet franc regala intensità al frutto. Vini raffinati, tannini dolci che si alternano a caldi accenti di frutta - in primis ciliegia - per poi evolvere con tracce di cioccolato e speziature.
CB
 

Trebotti, la bella storia dei fratelli Botti

Lunedì prossimo 9 dicembre a Eataly Roma, con la cena a 4 mani curata da Pier Giorgio Parini assieme con lo chef del Ristorante Italia Gianluca Esposito si concluderà il ciclo Ieri, oggi e domani: la grande cucina contemporanea, aperto a febbraio da Carlo Cracco. Il 25 novembre i presenti si sono invece deliziati con i piatti di Loretta Fanella mentre lunedì 11 non solo l’ospite era un’altra donna, Cristina Bowerman, e che bel personaggio, Ludovico, ho conosciuto con i suoi vini in accompagnamento ai piatti della Bowerman e di Esposito.

Il cognome del produttore aiuta perché calamita ogni attenzione, anche di un astemio: Botti. Non solo Ludovico. Sono tre fratelli, i fratelli Botti per l’appunto, radici nel Nord Italia e felice presente a Castiglione in Teverina in provincia di Viterbo, numeri di telefono della loro azienda agricola biologica +39.0761.948930 e 328.7279717, info@trebotti.it. Sul nome che le hanno dato pochi dubbi: Trebotti.

Nei bicchieri, lungo lo sviluppo della serata, l’Orbieto Bianco Incanthus 2012, un secondo bianco, il 3S L’incrocio, quindi i rossi: dal Tusco (Sangiovese e Violone) al Gocce (nella foto, Violone in purezza) passando per il Castiglionero (Violone 100% anch’esso). Sul dessert il Bludom, un Aleatico da uve appassite 45 giorni. Il Gocce viene venduto a 15 euro, ma se uno restituisce il fazzoletto fissato al collo ottine 70 centesimi indietro, altri 40 per la bottiglie e 2,5 euro per la scatola in legno che lo racchiude. Questo è marketing e viene dopo l’alta qualità dei vini.
PMar
 

Angelo Sabbadin, psicologo dell’istante

Galeotta fu la guardia notturna. L’avessero visto gli ufficiali, lo avrebbero fatto macerare nei lavori “forzati” di caserma. Per fortuna non è successo. «Vedevo la vite multiforme crescere in mezzo alla roccia, più grosso diventava il ceppo e più immaginavo quanto potesse esprimersi il frutto». Fare il militare con vista sui vigneti del Collio, per Angelo Sabbadin ha avuto l’effetto dell’innamoramento definitivo.

La cotta era iniziata al ristorante Calajunco di Milano, locale in cui il neanche 18enne Angelo aveva già a disposizione grandi vini. Dopo la leva, non fa ritorno a Milano. Per ragioni famigliari rimane nella sua terra natale, Padova, dove entra in società con un ristorante e vi lavora per 8 anni. Il lavoro è intenso, dà soddisfazioni ma produce anche la bocciatura all’esame da sommelier. Un passo falso? Il tempo ha dimostrato che è solo servito ad aumentare la determinazione di Angelo, che nel 2006 entra a Le Calandre dei fratelli Alajmo e inizia un percorso che farà bene a lui ma soprattutto a tutti i clienti del tristellato.

«Non ci sono protocolli nei confronti del vino, il vino è un’opera d’arte. E’ opera di persone, di artisti, qualcosa da percepire e respirare. Per questo io prima voglio sempre incontrare e conoscere i produttori». Compito del sommelier è proporre un vino che sia nel momento di massima espressione. È la conoscenza assoluta della cantina – a Le Calandre sono più di 15mila bottiglie – che ti permette di non spingere i vini appena arrivati e nemmeno quelli destinati solo allo show off. È essere uno psicologo dell’istante. «Davanti a un cliente hai a disposizione pochi attimi, poche mosse. Per capire se è prevenuto, se si lascerà guidare. Grande soddisfazione mi diede un cliente, per altro provvisto di una grande cantina personale, che mi disse che ero riuscito a farlo stare bene con vini semplici, che mai lui avrebbe immaginato».

Da pochi mesi Angelo lavora come consulente per la Ferro Distribuzione, azienda attiva nella selezione e distribuzione del beverage al canale horeca.
ML
 

Südtirol, l'Alto Adige nel calice

È un progetto enoico interessante quello presentato dal Consorzio Viticoltori dell’Alto Adige, fondato nel 1984. Per la prima volta, è capace di mettere assieme le prestigiose varietà altoatesine delle migliori cantine di una determinata area geografica, all'insegna del "facciamo squadra". I conferenti di questa linea di 9 vini rappresentano l’80% della produzione regionale. Si tratta di 6 vini bianchi - Pinot bianco, Pinot grigio, Müller thurgau, Sauvignon, Gewürztraminer, Chardonnay - e 3 rossi - St. Magdalener, Pinot Nero e Lagrein. tutti selezionati dall’enologo Ulrich Ambach.

I bianchi sono più pronti rispetto ai rossi. Pinot bianco e pinot grigio si distinguono per equilibrio, acidità e morbidezza mentre il Lagrein emoziona per i profumi di violetta e speziature con sfumature di cioccolato. C’è un comune denominatore: sono vini di classe ed eleganti, con il marchio Südtirol che è garanzia di originalità e di prodotto, con un logo e materiali ecosostenibili che enfatizzano valori di una regione in simbiosi con la natura.
CB
 

Colli Berici, la sfida del Tai Rosso

Puntare su un’identità. Puntare sulla propria identità. La volontà del Consorzio Colli Berici è proprio questa: affermare la realtà del Tai Rosso come vino Doc che caratterizzi tutta la zona e che faccia da traino per tutti i produttori. Ma non si cerca di avere a tutti i costi un super-vino da presentare e da confrontare con la grande tradizione enologica italiana, ma un vino per certi versi semplice, ma genuino. «Uno di quei vini che, se ti piace, bevi volentieri anche il secondo bicchiere», spiega con semplicità Andrea Monico, presidente del Consorzio. «E’ giunto il momento dei vini moderni – ha spiegato – che in realtà ci sono sempre stati. E non significa che semplice significhi banale». L’importante è che sia caratterizzante di un territorio. «Il Bardolino, per esempio, che è molto apprezzato in Germania, identifica una zona ben specifica, con un impatto positivo anche a livello turistico e viceversa».

Adesso vuole fare lo stesso la zona dei Colli Berici, identificandosi non con prodotti nati da vitigni internazionali, che si trovano un po’ in tutta Italia, o meglio in tutto il mondo, ma con il Tai rosso, il “vecchio” Tocai con l’antica denominazione non più utilizzabile in etichetta. I vini realizzati hanno un colore rosso rubino brillante, vivo. Come detto, non vogliono “fare a gara” con Barolo, Brunello o Chianti, giusto per fare degli esempi, ma vogliono solo essere profumati, freschi, immediati, di facile beva e non banali. Vini da bere con spensieratezza, magari assieme a un buon pezzo di Asiago semi-stagionato o alla soppressata.

I produttori stanno comprendendo questo aspetto, ma bisogna stare attenti al prezzo: per una volta, il rischio non è che questi vini siano troppo cari, ma addirittura troppo convenienti. Che si traduce, spesso, in “svalutati”. Eppure i vini realizzati dai produttori che fanno parte del Consorzio hanno una qualità elevata, in costante crescita. Insomma, il Tai rosso cresce. “E lancio una provocazione – va ripetendo Andrea Modico – Potrebbe essere il vino ideale per la pizza”. Provare, per credere.
Raffaele Foglia
 

Ein Prosit e i ragazzi dell'istituto Linussio

Pubblichiamo questa foto per ringraziare tutti i ragazzi dell’istituto Jacopo Linussio di Tolmezzo perché a ogni edizione di Ein Prosit, guidati da alcuni loro docenti, si fanno in cento per la buona riuscita della rassegna a tutto vino&cibo che, a metà novembre, abbraccia Tarvisio e Malborghetto al confine tra il Friuli, l’Austria e la Slovenia. Da sinistra verso destra: Michela Gerin, la professoressa Rita Battisti, Giorgia Vidale, Paolo Marchi e Alessio Varosi.