Newsletter 387 del 19.11.2012
 
 
Gentile
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  Mercoledì scorso a Milano, all’istituto Carlo Porta, l’emozione dei premiati dell’edizione 2013 della Michelin, da Enrico Crippa per la terza stella a un Lorenzo Cogo o un Nicola Fossaceca per la prima passando ad esempio per la soddisfazione di Emanuele Scarello per la seconda.

Ci piaccia o non ci piaccia, la Rossa continua a emanare un fascino unico, costruito decennio dopo decennio, e una festa come quella appena archiviata a Monte-Carlo per i 25 anni del Louis XV, gran cerimoniere Alain Ducasse, padrone di casa il principe Alberto, non fa che rafforzarlo. Invitati 240 chef da 25 nazioni diverse, notata qualche assenza illustre a livello francese perché i cugini saranno maestri nel fare sistema a loro vantaggio, poi però ci possono essere singoli episodi che fanno storia a sé. Quattro eventi nell’evento per ribadire la grandezza dei sapori del Mediterraneo. Noi italiani abbiamo solo da imparare.

E da tutt’altra banda, nel nord-est più estremo, a Tarvisio e Malborghetto, al triplo confine tra Italia, Austria e Slovenia, edizione numero 14 di Ein Prosit, grandi vini e grandi cibi che Gabriele Zanatta e Cecilia Todeschini raccontano proprio in questa newsletter, protagonista dopo protagonista, fino al gran finale ieri sera a cena con Antonino Cannavacciuolo.

E questa mattina, a Palazzo Marino, conferenza di presentazione di Tutti a Tavola. Si rinnova così la collaborazione tra noi di Identità e il Comune di Milano per far conoscere sempre di più i mercati comunali meneghini, arrivando a coinvolgere anche le scuole con un appuntamento domani, mentre i cuochi di sette insegne ci porteranno a fare la spesa dal 22 al 24 novembre in sette diversi punti della città come scritto qui. Potremo cucinare a casa con i prodotti e le ricette suggerite da Cesare Battisti (Ratanà), Claudio Sadler (Sadler), Matias Perdomo (Al Pont de Ferr), Andrea Aprea (Vun del Park Haytt), Luigi Taglienti (Trussardi), Eugenio Roncoroni e Beniamino Nespor (Al Mercato), Giovanni Traversone e Marco Tronconi (Trattoria del Nuovo Macello).

Paolo Marchi,
testi di Cecilia Todeschini e Gabriele Zanatta

 
     
     
     
     
 
Ein Prosit: la vera pizza è in Salvo
 
     
 
«Morbida, leggera e (soprattutto) saporita». È chiara la sacra trimurti di Salvatore Salvo, primo relatore di Ein Prosit, col fratello Francesco titolare della Pizzeria Salvo di San Giorgio Cremano a Napoli, locale che riaprirà a metà dicembre dopo una serie di grandi lavori, grazie ai quali sarà ancora più possibile ascoltare i toni della pizza napoletana.

Non quella stereotipata, però, quella vera, i cui miglioramenti sono progressivi e sempre in cammino. A partire dall’impasto di farina e acqua, di proporzioni dettate necessariamente dalla sensibilità manuale dell’impastatore e dalle condizioni climatiche e di umidità, dai tempi di lievitazione di «12 ore», e dalla cura quasi maniacale nell’utilizzare topping mai lasciati al caso: antico pomodoro napoletano, olio delle Colline Salernitane. E una sfilza di prodotti dai presidi Slowfood che sono fonte anche di tante altre delizie: i crocchè dalle patate del Taburno, per esempio, che impegnano grazie ai Salvo un’intera comunità. A Tarvisio in sala è arrivata al tavolo di tutti la pizza fritta per poco nell’olio di girasole. E ci sembra ancora di percepire gli «uuuum» di sala.
 
     
     
     
     
 
Gian Paolo Raschi: Adriatico mon amour
 
     
 
Come il relatore precedente, anche Gian Paolo Raschi è alla terza generazione di ristoratori: nonno Guido, nome dell’insegna ancora oggi, scese dall’entroterra al mare nel 1946 e aprì un chioschetto che adesso, nelle mani dei nipoti (in sala c’è Gian Luca, fratello di Gian Paolo), è il punto di riferimento di chi vuole mangiare del gran pesce con testa a Rimini.

A Tarvisio GPR ha presentato il felliniano Amarcord di una grigliata, pietanza rivisitata senza tuttavia dimenticare i fondamentali del piatto, un esercizio di memoria perfezionata del pesce cucinato sulla griglia a carbone, usanza ben radicata nel dna dei riminesi. In cucina occorre innanzitutto considerare che il mar Adriatico è molto salato. E che qui «per me nuota il pesce migliore del mondo». Che in questo momento dell’autunno dà il suo massimo: seppioline di splendide consistenze burrose, tranci di triglia più grassi di sempre, canocchie in amore che tornano a riva per riprodursi. A Tarvisio c’era pura una cialdineadi salsa della grigliata. «Soluzioni molto semplici, che fuggono dalle tendenze alla confusione di tanta contemporaneità». Parola di Raschi.
 
     
     
     
     
 
Zivieri & co: carne, barbecue e salute
 
     
 
Monzuno, colli bolognesi, dall’87 macelleria con rispetto sacrale della carne suina (vedi la Mora Romagnola) e un legame da sempre con il Piemonte con la razza bovina (gli Zivieri sono tra i fondatori del Consorzio della Granda). Oggi il lavoro, o meglio, la missione della famiglia va ben oltre la preparazione della vetrina: lavorare carni di filiere diverse seguendone ogni passaggio per garantire l’eccellenza qualitativa, l’ultima sfida nella selvaggina (si abbattono sempre più cinghiali per necessità, ma se i ristoratori cercano selvaggina spesso la devono comprare all’estero).

Carni più magre del pollo e più tenere del manzo, ma spesso discriminate in cucina, perché cucinate in salmì e gulash, Aldo Zivieri (nella foto, al centro) invece, complici i barbecue del vulcanico Guido Guizzardi (in primo piano), usa le carni del cervo, ne fa una cottura diretta sula fiamma e la consistenza è un burro, il gusto succulento.

A supporto dell’approccio dei macellai, Federica Badiali (sullo sfondo), nutrizionista, spiega quanta salute c’è nel consumare selvaggina e animali allevati semibradi che mangiano quello che vogliono e quando vogliono e quanti luoghi comuni vanno sfatati. Negli allevamenti la differenza la fa il nutrimento dell’animale, perché «se siamo quello che mangiamo, questa cosa deve valere anche per gli animali». Una realtà profondamente condivisa da Igles Corelli, chef del ristorante Atman di Pescia (Pistoia), autore di una cena la sera prima proprio con le grande carni dell’amico Zivieri.
 
     
     
     
     
 
L'orto di confine di Antonia Klugmann
 
     
 
A gennaio aprirà L’Argine a Vencò, località di Dolegna del Collio (Gorizia), terra a cavallo tra Italia e Slovenia. Una carrellata di immagini racconta un anno di suggestioni ora punti cardine del nuovo approdo. Vencò ospiterà i territori dell’anima di Antonia Klugmann, luoghi senza confini geografici: Resia, Venezia, il confine sloveno, il mare triestino, Caporetto e i gli stessi vigneti di Vencò.

La lezione dimostra subito grande caparbietà nel raccontare il territorio. La zuppa di sedano fredda è un universo di sapori: «Dato che esiste l’effetto serra, non ha più senso pensare a una zuppa come una volta, con lunghe cotture e calda per forza», gli ingredienti sono di stagione, ma le forme nuove. Borlotti freschi, sedano, funghi freschi disidratati e canditi di cipolla borretana, zucca e sedano. Il gusto è davvero quello di una zuppa, ma le consistenze fanno immaginare nuovi orizzonti.

Il secondo piatto rimbalza in bilico tra la campagna dietro casa con il topinambur, «Il tubero che conosciamo tutti, che cresce ovunque nei fossi», la buccia proposta in chips, la polpa stufata, una pasta di caffè (amore triestino, provenienza oltreoceano), baccalà e aringa (ricordando Venezia) e una scheggia d’Africa con il cacao di Sao Tomè. «Esiste un umami, un sapore che pervade tutto, e crea un equilibrio: cucina di confine, tra l’orto e il mondo intero».
 
     
     
     
     
 
Delcourt e il cous cous spiegato ai tarvisiani
 
     
 
La regina del cous-cous Alice Delcourt – che poche settimane fa ha infilato il secondo titolo consecutivo a San Vito Lo Capo - arriva sul far della sera con l’oste dell’Erba Brusca Danilo Ingannamorte per illustrare a gente di confine i segreti del piatto trans-mediterraneo per eccellenza. Il segreto sono i limoni sotto sale, che nella variante marocchina vanno tenuti sotto sale, sparso tra le fessure del ritaglio a fiore. Poi, un brodo vegetale e un misto di spezie «variabile a seconda della mia ispirazione quotidiana: soprattutto cumino e semi di finocchio, poca cannella, bacche di ginepro, chiodi di garofano, cumino, cardamomo...».

Ma c’è anche la frutta e la frutta secca, variabile a seconda delle stagioni: «Uvetta ammorbidita con del brodo, ciliegie secche, d’estate mettiamo pescenoci o albicocche secche, ora è il momento del melograno…». E la carne? «In Marocco usano per esempio il piccione; a San Vito Lo Capo lo cucinai con un agnello cotto 7 ore, ma qui ho voluto pensare Cous cous come a un piatto vegeteriano perché deve avere un carattere che basta a se stesso». Tocco di mandorle tostate finali et voilà.
 
     
     
     
     
 
Spadone, i signori degli agnelli
 
     
 
Spetta a Marcello Spadone e al figlio Mattia (in foto) aprire la giornata due di Ein Prosit. Il primo è l’anima del ristorante La Bandiera di Civitella Casanova, una stella Michelin nell’entroterra pescarese d'Abruzzo; il secondo sta imparando in fretta, specie alla voce dolce, reduce com’è da una mirabolante esperienza di un anno mezzo al Celler de Can Roca di Girona in Spagna, regno di Joan Roca, vero demonio dei dessert.

Il piatto presentato ruota attorno a un masterpiece abruzzese: l’agnello di razza pagliarola, vero simbolo commestibile della regione, terra di pastori. A Tarvisio è arrivato avvolto dai profumi di una serie di erbe aromatiche: pimpinella, timo, timo selvatico, limoncina, finocchietto, rosmarino, maggiorana, «che più ce ne sono, meglio è». L’agnello è cotto al roner e accanto attirano lo sguardo le patate di passamontagna, una varietà molto piccola, che cresce oltre i 700 metri: bollite, scavate, schiacciate con lo schiacciapatate, con la sola aggiunto di olio all’aglio, risultano molto cremose, un complemento perfetto per l’ovino.

Ma non è finita perché ci sono tre salse a completare: emulsione di olio ed erbe messe nel pacojet; emulsione di olio di pimpinella e borragine e pomodori confit frullati a dare il tocco finale. Una degna appendice alla cena orchestrata la sera prima assieme a Ilija Pejic, chef del ristorante Golf Club di Tarvisio.
 
     
     
     
     
 
Cogo: le vie di mezzo non esistono
 
     
 
Protagonista della cucina giovane italiana, 26 anni, il suo El Coq aperto da un un anno e mezzo, 5 giorni fa la prima stella Michelin. Perché il cv l’ha già scritto dai vent’anni prendendola alla lontana con l’Australia, poi il Giappone e piano piano il cerchi si stringe, si torna in Europa, Blumenthal, Redzepi e le griglie di Arguinzoniz nei Paesi Baschi. Poi si ferma all’epicentro, Marano Vicentino per la sua cucina, istintiva.

La lezione vuole raccontare il pensiero quotidiano del ristorante che muta ogni momento. E allora si comincia con una cicoria, spuma di avocado e lime e granita, per far provare la freschezza, il gusto reale della costa che cresce a 200 metri dal ristorante. Ecco il primo messaggio, nessun radicalismo chilometro zero, solo una nuova sfida, cucinare prodotti conosciuti e valorizzarne difetti e imprecisioni.

Secondo piatto, seconda idea, un carpaccio di pecora di Paolo Parisi con dragoncello, bacche di sambuco e una spruzzata di un distillato di tabacco e mela. Una sterzata, perché l’esperienza giapponese insegna che un menu si costruisce con picchi di intensità e gusti più rassicuranti. Ultima tappa, la carota selvatica che racconta una nuova passione, di nuovo l’istinto, uscire nelle campagne circostanti e scoprirne i frutti. Tutto è energia, intensità, tecnica o pura materia, senza compromessi, perché «Io nelle vie di mezzo non so esprimermi».
 
     
     
     
     
 
Boer e Mingiardi: equilibrio tra titani
 
     
 
Palermo, Berlino, Toscana, Alto Adige. Da un anno: Enocratia a Milano, si ordina il vino al sommelier Davide Mingiardi e il cuoco Eugenio Boer ci costruisce in tono il piatto. Nella lezione si parte dal cibo e quando Davide versa il vino si capisce, perché Eugenio ha dovuto inventarsi il Cervo, rape rosse, radice di liquirizia, erba ruta e foie gras. È una battuta di caccia: l’ambiente selvatico è il piatto-sasso, il sangue dell’animale una coulis di barbabietola, la terra è radice di liquirizia in polvere e il cerchio si chiude con una mousse di foie gras, grassezza e equilibrio del tutto.

Il cervo è un cubo e obbliga all’uso delle mani, la carne si sente meglio afferrata tra le dita e azzannata. È il momento di Davide, altra metà di Enocratia, e svela la causa di tutto il trambusto: una ribolla gialla extreme di Renato Kleber, un 2008, fresca di imbottigliamento, potente, decisa, vera. «E’ un chilometro zero, non perché è milanese, ma perchè dall’uva al vino non c’è distanza. In bottiglia c’è solo l’uva!». È un nebbiolo a tutti gli effetti, sta 40 giorni sulle bucce, tecnicamente un rosso. Uva matura, macerazione in cemento e poi affinamento in botti grandi di rovere di Slavonia (non meno di 3 anni).

Quindi quando arriva a noi non stupisce sia così estremo, quasi pulp. È tannico e la succulenza del cervo è soddisfatta, l’acidità è contrastata dal filo d’olio sulla carne e non subisce la provocazione della grassezza del foie gras. Un connubio che non ha vinti, un equilibri tra titani.
 
     
     
     
     
 
Milone, cosmonauta del gusto piemontese
 
     
 
Ciclista con genitori ristoratori dal 1973, dopo le corse sulle due ruote Christian Milone (in primo piano, alle spalle s'intravede l’assitente Lorenzo Cocchi) sceglie i fornelli e da un anno nasce la Gastronavicella, all’interno della trattoria di famiglia Trattoria Zappatori a Pinerolo, Torino.

Una cucina che inizia proponendo dei piatti con nomi rassicuranti, ma forme e modi diverse: dell’insalata piemontese (uova, insalata, pane) a Tarvisio è rimasto solo il concetto, quella scarpetta che si fa al termine della cena. Un cubo di pane di Matera è imbevuto in una centrifuga di tutto l’intorno del cosmonauta Milone: acetosella, basilico, erba cipollina, erba ruta, erba lina, tutto quello che capita tra l’orto e i prati. Poi peperoni fermentati nelle feccie e scaglie di tuorlo marinato in zucchero e sale, “come una bottarga di cortile”. Prima di tutto la materia per come è, ogni lavorazione è al minimo. Un piatto spontaneo, un concentrato di gusto e colori.

Provocazione ragionata e determinazione a raccontare cose nuove con ingredienti di casa sono gli ingredienti del secondo piatto: Pasta ai 4 formaggi. I formaggi sono piemontesi, cotti in infusione con acqua che poi si filtrerà condendo col brodo ottenuto i rigatoni. Gusto e goduria di un classico da trattoria, ma con un’eleganza e leggerezza senza pari, altra cifra del cuoco, saziare, divertire, ma mai appesantire. Così la Gastronavicella prende il volo.
 
     
     
     
     
 
Pipero, Monosilio e la leggenda della carbonara
 
     
 
«Questo è la carbonara: nient’altro che… una carbonara», esordisce Luciano Monosilio, cuoco di Albano Laziale come il suo mentore Alessandro Pipero, grande maître e trave portante di un ristorante, Pipero al Rex a Roma, con stella Michelin incamerata da pochissimi giorni, probabilmente anche a causa di un efficacissimo «marketing della carbonara» che lo stesso Pipero spiega spassosamente a una sala divertita (e stracolma, nonostante si sia all’ultima lezione targata Identità Golose ad Ein Prosit 2012).

La realtà a volte è banale, dicevamo, ma è così, e il cuoco non finge, fa questo piatto da sempre. Eseguirla a Roma significa cucinare una ricetta per forza urbana: niente chilometro zero, niente biologico integerrimo, le esigenze sono diverse perché «è bene cucinare sempre con la massima onestà».

Zabaione di tuorli (1 ogni 50 g di pasta) montato con parmigiano e pecorino (l’uno sempre il doppio dell’altro) e pepe; si cuociono i rigatoni (o gli spaghetti) che poi vanno scolati a giusta cottura («come è scritto sulla confezione»), il guanciale è fondamentale e la pancetta non è nemmeno da nominare. Si rosola da solo in una padella di ferro, per tostarlo e liberarlo dal grasso che si toglie, ma non si butta, perché il gusto amaro, appena affumicato del rancido è un valore aggiunto del piatto, quello che darà equilibrio e completezza unito agli altri sapori.

Scolata la pasta è il calore che scalda quanto basta le uova perché, avverte Luciano: «la carbonara non è un piatto caldo», sennò le uova si cuociono e il grasso si guasta. Provare per credere. Dose consigliata: 250 grammi.
 
     
     
     
     
 
Simone Salvini: roboanti sussurri vegani
 
     
 
Il piatto in foto ritrae dei Bocconcini di seitan saltati con macchie di maionese al latte di mandorle, la portata principale della cena "Zero colesterolo" orchestrata da Simone Salvini al ristorante Edelhof di Tarvisio (Udine), un percorso vegano che ha fatto breccia nei valligiani, "gente illuminata, che conosce i ritmi della vita", ha ringraziato gli ospiti lo stesso cuoco fiorentino di Organic Academy, alla fine applauditissimo.

Li aveva conquistati con un gioco in apertura di due creme da unire all'ultimo momento, oltre a Insalate amare con chips di lenticchie e ginger candito, un Risotto mantecato al burro fatto con le mndorle, agrumi e tofu affumicato e chiusura con Mimosa alle carote con tante erbe e contrasto di lamponi, accompagnata da una Tisana ayurvedica di semi di campo e spezie orientali.
 
     
     
     
     
 
Fusto e Giudici, sweet moments
 
     
 
La foto ritare due pasticceri protagonisti a Ein Prosit: il milanese Gianluca Fusto e il triestino Alessandro Giudici, autori di una seguitissima due giorni di lezioni dolci a 4 mani a Casa Oberrichter di Malborghetto, a due passi dal Palazzo Veneziano, teatro principale della kermesse friulana di confine.

Due giornate intense sui temi più svariati: come fare le marmellate e le confetture in casa, dalla scelta della materia prima fino alla cottura, inclusa la spiegazione sulla scelta degli ingredienti: lo zucchero, il limone e gli acidi, le pectine della frutta, le spezie... E poi ancora i biscotti, le cake, creme al tè, torte friabili e macedonie di frutta per infusioni o marinature.

Questo il primo giorno, il secondo, ieri, è stato tutto dedicato al cioccolato: un viaggio dalla piantagione alla produzione e nella trasformazione delle fave di cacao al cioccolato, con degustazione di 3 Grand Cru e una piccola lezione sui cioccolatini da fare a casa. Chiusura festiva con il panettone e il mandorlato.
 
     
     
     
     
 
Cannavacciuolo, Villa Crespi a nord-est
 
     
 
Grandissima doppia cena a epilogo di Ein Prosit 2012. La premiatissima ditta Pipero-Monosilio ha stregato gli avventori al Saisera di Valbruna, con tanto di carbonara a mezzanotte, dopo il dolce. Pochi chilometri più in là, all’Edelhof di Tarvisio ci ha pensato invece Tonino Cannavacciuolo di Villa Crespi a Orta San Giulio (Novara). Il bello è che il cuocone di Vico Equense è arrivato a metà dello stesso pomeriggio con la sua squadra di 4 ragazzi (nella foto, a destra c’è anche Gianluca Fusto), e dopo gli applausi (i boati) di fine cena, non ha battuto ciglio e s’è rimesso in auto con la truppa: «Domani (oggi, ndr) a pranzo abbiamo il servizio».

Il percorso della cena era salpato sublime col masterpiece Insalata liquida di riccia, stracciatella di bufala, crudo di scampi, trucioli di pane e acciughe, summa di regolarità, ingredienti ineccepibili ed emozione. Commoventi gli Gnocchetti baccalà - minuscoli e fatti a centinaia, uno a uno a mano - alghe marine , tartufi di mare. E poi ancora: Trippa d’agnello della Bisalta, gamberi in tempura al curry, salsa al porto e cipolla candita. E il Fungo porcino (con cacao sotto) al momento del dessert. Il perché del giubilo dei clienti? Era come stare a Villa Crespi. Ma 6 ore di macchina più a nord-est. "Se fossero stati 100 coperti invece che 40? Avrei cucinato pure per quelli", ha detto prima di risalire in macchina.
 
     
     
     
     
 
Una Bmw fiammante tra le vette di confine
 
     
 

Le poche volte che capitava di metter la testa outdoor tra Tarvisio e Malborghetto era una goduria: l’aria splendidamente crispy delle vette di confine e, a fenderla, una fiammante Bmw blu elettrico X1 xDrive20d: e quando ci ricapita un viaggio in carrozza così?
 
     
     
     
     
 
Scarello e Fusto a Milano il 3 dicembre