Gentile {NOMEUTENTE}
Buffo: invidio ai romani la Pizza bianca patate e rosmarino, a Milano già fatico a trovare una seconda pizzeria da frequentare oltre a PizzaBig in viale Brianza 30, telefono +39.02.2846548, figuriamoci una signora pizza patatosa. Poi mi lascio alle spalle la città dove vivo da sempre, arrivo a Presicce in Salento e mi ritrovo a cenare in ristorante che è anche pizzeria. Mitragliata di antipasti, poi triglie affogate nella salsa di pomodoro e finocchietto, le triglie in onore del patrono locale, Sant’Andrea apostolo, protettore di marinai e pescatori. Tutto simpatico, anche la compagnia. Poi arriva sempre il momento di salutare e di uscire.

Nell’occasione festaiola uno fa anche lo slalom tra i tavoli e, orrore, finisce con il passare pure accanto a una tavolata felice di mangiare pizza e patatine fritte. Ripeto: una pizza ricoperta a grandine di chips, per me una vergogna, un qualcosa che non sta in piedi. Epperò piace tantissimo, e non solo a bambini e ragazzini. E qui sta il buffo: quello che a Roma è un capolavoro di cucina povera, stessi ingredienti ma patate lavorate in ben altro modo si trasforma in un incubo nutrizionale - che tanti non percepiscono come tale -, un qualcosa che al momento suonerà pure gradito, ma che ti si pianta su fegato e stomaco. E alla lunga sono guai.

Non che uno debba inchiodare un medico in cucina, ma lo stesso l’educazione alimentare dovrebbe diventare obbligatoria, con tanto di esame per chi vuole condurre un locale. Non conosci l’alfabeto di una corretta (e golosa) alimentazione? Studia di più e ripassa tra sei mesi. Poi uno si ricorda che siamo in Italia, dove c’è un governo che a Taranto fa suo il programma “cancro per tutti”, e finisce che si chiede quando mai diventeremo un paese serio.
Paolo Marchi
Testi di Paolo Marchi, Luciana Squadrilli, Gabriele Zanatta
 

Identità di Pizza 2013: ecco i relatori

Quando si parla di Pizza italiana contemporanea non si discetta su capricci e sesso degli angeli. Esiste un movimento, reale e molto concreto, che affronta il più italiano dei piatti italiani con altri occhi e altre idee e ragionamenti. Non che i “nuovisti” non preparino Margherite e Marinare, però seguono altre vie per arrivare allo stesso traguardo, non alle stessa pizza, stessa a livello di sostanza.

Ricordo diversi anni fa un giornalista che si occupava di sci, mettere una accanto all’altra la foto dei due leggende azzurre, Zeno Colò e Gustav Thoeni, impegnate in una curva di gigante. Parevano avere movimenti identici, come a voler dire che in oltre vent’anni la tecnica era rimasta fondamentalmente la stessa. Ma così non era, perché in verità erano cambiati completamente (e più di una volta) i gesti (e la velocità) che portavano ognuno di loro a girare attorno a un palo.

E così accade ora con la pizza: sempre un impasto, sempre un lievito, sempre pomodoro e mozzarella, sempre olio extra vergine, sempre origano o basilico, sempre un forno infuocato… ma perché non riusciamo a digerire la stragrande maggioranza delle pizze? Perché tante sono solo un’orgia senza senso di ingredienti buttati sopra a un disco di pane?

Perché tanti non sanno lavorare o lavorano solo per il cassetto, inseguendo il massimo ritorno con il minor investimento possibile. Quando però mangi una signora pizza senti gli angeli cantare e allora ben venga, anche a Identità Milano 2013, la giornata di Identità di Pizza, lunedì 11 febbraio. Sette lezioni, tre la mattina e quattro il pomeriggio iniziando da Simone Padoan per proseguire con Franco Pepe, Salvatore e Francesco Salvo, Gianfranco Iervolino (nella foto in versione musicale), Stefano Callegari e Renato Bosco. Per il settimo relatore sono in attesa di una conferma importante.

Non solo: domenica in Auditorium, lezione magistrale di Padoan e Pepe. Spero con una bella sorpresa.
 

Il Manifesto della Pizza italiana contemporanea

Meno di un mese fa, dal 5 al 7 di novembre, si è celebrata la sesta edizione di PizzaUp a Vighizzolo d’Este (Padova) dove ha sede il Molino Quaglia, simposio culminato nell’annuncio del Manifesto della Pizza Italiana Contemporanea. Si tratta di “10 principi etico-professionali indirizzati a tutti i pizzaioli per indicare i requisiti di una pizza intesa come piatto sano e gustoso oltre che porta di ingresso per tutte le tasche alla buona cucina italiana”.

Del gruppo di lavoro hanno fatto parte Francesca Romana Barberini, Eleonora Cozzella, Piero Gabrieli, Elena Maccone, Renato Malaman, Paolo Massobrio, Gianluca Mazzella, Davide Paolini, Luciano Pignataro, Monica Piscitelli, Chiara Quaglia e Paolo Marchi. E alle spalle il grande e profondo lavoro svolto in un lustro dall’Università della Pizza per celebrare in chiave moderna “un piatto che può dare un contributo fondamentale alla diffusione e conoscenza dei grandi ingredienti italiani, oltre a essere una leva di sviluppo qualitativo e quantitativo dell'intera filiera agro-alimentare. Grazie alla creatività di quei pizzaioli che danno importanza all'approfondimento tecnico sulle farine, sui lieviti e sulle modalità di lavorazione e cottura della pizza, che scelgono le materie prime, dal grano ai condimenti, con un occhio attento alla digeribilità e alle caratteristiche nutrizionali”.

Questi i dieci punti del Manifesto della Pizza Italiana Contemporanea sottoscritto anche dagli 80 pizzaioli presenti per l’occasione a Vighizzolo:
1. La pizza italiana valorizza le forme, le strutture d'impasto, le cotture e le farciture che nascono dalle tradizioni dei territori.
2. La pizza deve anche essere espressione della creatività del pizzaiolo, affinché il suo grado di cultura e di conoscenza del passato diventino semi di innovazione continua.
3. La pizza deve nascere da ingredienti e tecniche di lavorazione, conservazione e cottura che privilegino la digeribilità del piatto a tutto vantaggio del benessere del consumatore.
4. La pizza trova la sua espressione di massima eccellenza se realizzata con ingredienti di origine e produzione italiana, stimolando l'innalzamento della qualità nell'intera filiera agro-alimentare.
5. Tra gli ingredienti per l'impasto e per la farcitura della pizza devono essere preferiti quelli con minor grado di raffinazione per esaltare il valore nutrizionale originario del prodotto
6. L'impasto della pizza deve rispettare i tempi fisiologici di maturazione e di lievitazione che dipendono dalle materie prime e dalla tecnica adottate.
7. La dichiarazione d'uso di lievito madre deve essere esclusivamente riferita al risultato di un processo di fermentazione spontanea di un impasto di acqua e farina acidificato da ceppi di batteri lattici vivi, e non a polveri di lievito madre essiccato che non conferiscono le caratteristiche di digeribilità e conservabilità tipiche del lievito madre "vivo".
8. La carta delle pizze deve essere aggiornata secondo la stagionalità degli ingredienti per dare al consumatore l'opportunità di alimentarsi secondo i ritmi della natura.
9. Il pizzaiolo ed i suoi collaboratori devono mantenere un buon livello di decoro delle attività e degli ambienti, lavorando a vista per trasmettere il valore della propria arte con un piatto rispettoso degli ingredienti e dei consumatori.
10. La pizza italiana deve dunque divenire strumento di divulgazione del gusto italiano e della ricchezza della Dieta Mediterranea che dai suoi prodotti trae origine.
 

L'Università della Pizza duepuntozero

I primi corsi di Università della Pizza iniziarono nell'anno 2006. L'obiettivo: orientare i pizzaioli verso la qualità degli ingredienti e delle tecniche di cucina per allineare la pizza alla qualità della buona cucina italiana, in termini di prodotto e di servizio.

Il progetto nacque per rispondere alla crescente sensibilità dei consumatori di vivere la pizzeria con standard di ristorazione più elevati e quindi per indicare ai professionisti della pizza una strada alternativa focalizzata sul prodotto piuttosto che sulla persona del pizzaiolo. In altre, parole la ricerca dell'apprezzamento del cliente legato alla qualità del proprio prodotto, piuttosto che del successo fatuo sui palchi delle "pizze volanti". In una realtà di mercato con troppi "campioni del mondo" di pizza e troppo poche pizze degne di rappresentare un piatto di buona cucina italiana.

Dal 2013, a distanza di 7 anni e dopo oltre 600 "diplomi" rilasciati ad altrettanti pizzaioli, il percorso formativo di Università della Pizza sarà totalmente riscritto, per rappresentare ancora una volta un'opportunità inedita per quanti vorranno attrarre i consumatori più esigenti. Una versione 2.0 di un percorso originariamente pensato in 3 livelli che dalla prossima edizione diventerà uno strumento di formazione ed approfondimento professionale multidisciplinare.

Lo spunto e lo stimolo verso il cambiamento è venuto dal format oramai collaudato di PizzaUp, il simposio tecnico sulla pizza italiana che oggi è un'area di confronto ineludibile per quanti considerano la pizza come una delle espressioni di eccellenza alimentare in Italia e nel mondo. I nuovi corsi di Università della Pizza saranno raggruppati in 3 livelli (Base, Avanzato e Gourmet) preceduti da un corso propedeutico dedicato a chi non ha mai messo le mani in pasta e vuole frequentare l' "Università" per intraprendere un nuovo lavoro.

E, proprio come negli studi universitari, i partecipanti saranno impegnati in un fitto calendario di laboratori e di lezioni teoriche organizzati in modo da far lavorare in piccoli gruppi su lieviti, impasti, cotture e messa a punto di ricette, mentre il resto degli "scolari" sarà coinvolto in sessioni interessantissime su temi che aggiungono valore al lavoro del pizzaiolo, come gli aspetti nutrizionali degli alimenti, semplici forme di comunicazione in sala e nel web, le tecniche indispensabili per la gestione del personale e dei collaboratori, le modalità organizzative per migliorare l'esperienza di consumo della pizza, i "trucchi" per scegliere e lavorare in cucina gli ingredienti più adatti secondo le stagioni.

Nuovo corso di studi, nuovi argomenti e soprattutto una grande apertura verso il mondo dei consumatori, per comprendere le esigenze e le aspettative verso un'alimentazione più sana e più gustosa. Quel mondo verso il quale i pizzaioli che conseguiranno la "laurea" si impegneranno ad applicare e diffondere i 10 punti del Manifesto della Pizza Italiana Contemporanea stilato in occasione di PizzaUp 2012 (vedi notizia sopra). Sintesi di un progetto iniziato nel 2006 e scritto con il contributo di grande spessore di 10 esperti enogastronomici prestigiosi, oggi bussola preziosa che indica la strada contemporanea della pizza italiana.
Piero Gabrieli
 

De Vittoris, buona e Bellavista nel Frusinate

Emanuele De Vittoris ha studiato per diventare geometra. Figlio di un imprenditore edile e di un'insegnante, non sembrava certo un predestinato della pizza. Ma si sa, le strade della vita prendono pieghe inaspettate. I genitori decidono di aprire il ristorante Bellavista a Picinisco - paese sui monti della Valle di Comino, in provincia di Frosinone – e lui si ritrova a 15 anni a dare una mano in cucina. Da lì nasce la passione per la pizza ma soprattutto per i prodotti di qualità, a cominciare da quelli della sua zona, un'area rurale dove l'agricoltura è ancora quella fatta di piccoli contadini e animali al pascolo. E da lì inizia un percorso di studio e ricerca che lo porta prima, nel 2010, a laurearsi in Scienze Gastronomiche a Pollenzo, e poi a iscriversi ad Agricoltura Biologica all'Università di Pisa.

Già consulente agrotecnico, Emanuele è anche sommelier e collabora con le guide delle birre e degli oli extravergine di Slow Food. Un “secchione”, verrebbe da pensare. In realtà per lui la conoscenza delle materie prime è imprescindibile dal loro utilizzo, e deve venire prima della comunicazione (insomma: non serve sbandierare ingredienti ricercati se non sai come e dove nascono). In base a questa stessa filosofia, di Slow Food Emanuele sposa soprattutto la causa dei Presidi ed è tra i promotori dell'Alleanza dei Pizzaioli presentata alla Piazza della Pizza del Salone del Gusto, di cui è stato coordinatore tecnico.

Ma veniamo alla sua pizza: a metà strada – anche geograficamente – tra Napoli e Roma, nasce nell'alveo della tradizione partenopea per poi trovare una sua via man mano che l'esperienza si consolida. L'impasto fa una lunga maturazione a freddo ma poi lievita a temperatura ambiente, come per la napoletana. Anche la stesura è d'impronta partenopea, ma la cottura a temperature più basse e più lunga (anche a causa del forno, quello degli inizi) dà un cornicione altro e leggero ma più croccante. Qualche volta lo riempie di ricotta, come per esempio nella Margherita con pomodori San Marzano, mozzarella di bufala e ricotta di pecora di Picinisco.

Nel suo menu sono scomparse le pizze “schifezza” (come le chiama lui con onestà) per far posto a quelle stagionali o con prodotti locali, vedi la Pizza del Pastore con orapi, salsiccia pezzente della Lucania e scaglie di Asiago Stravecchio, in omaggio alle antiche merende della transumanza. Gran parte dei prodotti poi arriva direttamente dall'azienda di famiglia, dall'olio extravergine ai salumi di maiale Nero Casertano. Il suo “pezzo di carta” Emanuele l'ha messo decisamente a frutto.
 

Massè: il ritorno di Ciro Salvo

Era qualche anno che Ciro Salvo – terzo fratello (non in ordine di età) della terza generazione della famiglia di pizzaioli di San Giorgio a Cremano – era scomparso dai radar del mondo gastronomico dopo aver lasciato il locale di famiglia (di cui diamo notizie più in fondo, ndr). Adesso finalmente sappiamo dove andare per mangiare le sue fantastiche pizze: Massé, corso Vittorio Emanuele III 429 a Torre Annunziata (Napoli), telefono +39.081.5363382. Da qualche tempo infatti, Ciro è tornato a dedicarsi a tempo pieno ai suoi impasti eccezionali, frutto di anni di esperienza e studio. «Ho iniziato da piccolo, infornando le pizze di mio padre, ma presto ho capito che la mia vera passione era l'impasto; apprendevo con gli occhi, imparando dagli errori e cercando di capire il perché delle cose. In famiglia la risposta alle mie domande era “perché si è sempre fatto così”. Ma a me non bastava: volevo capire, sperimentare e conoscere per poter migliorare sempre».

Quello che stende oggi è un impasto che rispetta al 100% la tradizione napoletana: niente farine forti (quelle professionali per la pizza italiana di Molino Quaglia), lievito di birra (ma talvolta anche quello naturale, che veniva usato anche a Napoli prima del 1850, sottolinea), lievitazione lunga (ma non oltre le 20 ore) a temperatura ambiente, stesura “a schiaffo”. Di particolare c'è l'altissima idratazione a cui si deve soprattutto l'incredibile digeribilità e la consistenza quasi aerea dell'impasto, vero protagonista delle sue pizze. A esaltarlo, condimenti selezionati ma semplici, mai scelti a caso: il fiordilatte di Agerola, quello vero, i pomodori San Marzano, l'olio messo (senza esagerare) prima della cottura per rendere la pizza ancora più morbida, unica eccezione la marinara su cui ne mette un filo a crudo. Suo marchio di fabbrica il cornicione: alto, non “panoso” ma nemmeno vuoto.

Ogni tanto c’è qualche concessione gourmet, come il Conciato Romano (ottimo e intenso formaggio casertano) che accosta alla zucca o a cipolla di Montoro e lardo di Colonnata. E poi, ancora, un lavoro continuo di studio e ricerca, l'attenzione ai dettagli come le diverse “zone di cottura” nel forno per ogni pizza e una grande passione che l'ha portato ad essere presente alla Piazza della Pizza del Salone del Gusto a pochi giorni dalla nascita della figlia Ludovica. Perché per Ciro Salvo la pizza è una cosa seria: «Può aiutare a cambiare il mondo – dice – per esempio insegnando ai bambini a mangiare una buona pizza invece del junk food».
 

Salvo a San Giorgio: apertura imminente

Riapre il 19 dicembre – dopo un periodo di chiusura per ultimare i lavori di ristrutturazione e ampliamento dei locali – la pizzeria Salvo di San Giorgio a Cremano, Napoli. Come avevamo già anticipato, i due fratelli SalvoFrancesco e Salvatore (quest'ultimo, nella foto) – rimasti nella sede di famiglia, hanno deciso di allargare e rinnovare la pizzeria di largo Arso, per soddisfare una clientela sempre più numerosa ma anche per dare una giusta cornice alle splendide pizze e a un'offerta che punta sempre di più sulla qualità, senza però rinunciare allo spirito semplice e popolare della pizzeria tradizionale napoletana (e ai prezzi altrettanto popolari).

420 metri quadri complessivi, 210 coperti, una terrazza, 2 forni, 2 friggitrici, 3 birre alla spina (di cui una prodotta in esclusiva e dedicata alla figlia di Francesco, Federica) e 43 birre artigianali italiane in bottiglie, una carta dei vini regionali ed una delle bolle, con 6 spumanti campani e un “ospite” dalla Franciacorta. Questi sono alcuni dei numeri della nuova pizzeria, che sarà inaugurata ufficialmente il 19 dicembre con una giornata all'insegna della convivialità e del confronto costruttivo. A Salvatore Salvo – che nel frattempo ha approfittato della breve chiusura per partecipare al Salone del Gusto a Torino e alla manifestazione Ein Prosit a Tarvisio, e che insieme al fratello sarà tra i relatori della giornata dedicata alla pizza a Identità Milano 2013 - si alternerà ai forni del locale anche il pizzaiolo veneto Renato Bosco, in una sorta di “amichevole” tra la tra pizza napoletana e la pizza italiana che si basa sullo spirito di confronto piuttosto che sulla competizione o contrapposizione.

E ancora, i gelati di Simone Bonini (Carapina, Firenze) che proporrà la sua interpretazione dei sapori della pizza napoletana anche in abbinamento alle birre. Qualche novità anche nel menu, dalle pizze stagionali ai prodotti di eccellenza del territorio, ma ci sarà tempo per scoprirlo a partire da mercoledì 19 dicembre.
 

Il sondaggio: Sai cos'è la pizza gourmet?

Negli ultimi tempi si parla tanto di pizza “gourmet”: nel bene o nel male, a seconda degli schieramenti, che ricordano a tratti quasi una guerra di religione a colpi di lievito e mozzarella. Ma cosa si intende veramente per gourmet? Ha più a vedere con il prezzo, con la qualità o con l'origine? Per cercare di dare risposta a tale quesiti e trovare una definizione calzante e pacificatrice, il Molino Quaglia – oltre a chiedere a 10 giornalisti di stilare il Manifesto della Pizza Italiana – ha pensato di raccogliere un'opinione condivisa “dal basso” lanciando un sondaggio online, chiuso il 30 novembre.

Dieci le possibili risposte - tra cui se ne potevano scegliere al massimo 4, senza barare, visto che il sistema scartava quelle che provengono dallo stesso IP per evitare scelte duplicate – alla domanda Sai cos'è la pizza gourmet? Una pizza con ingredienti freschi e di stagione, una pizza servita con vini o birre di qualità superiore, una pizza dal prezzo più alto, una degustazione di diversi tipi di pizze, una pizza servita a spicchi e non intera, una pizza dalla base croccante, una pizza legata alla tradizione del luogo, una pizza con la base lungamente lievitata, una pizza a base di lievito madre vivo, una pizza 100% italiana in tutti gli ingredienti compreso il grano.

A dimostrazione dell'interesse per l'argomento, le migliaia di sessioni di voto effettuate sul sito del Molino Quaglia. La riposta con più voti? Quella che vuole la pizza al 100% italiana negli ingredienti, seguita a stretto giro dalla pizza con ingredienti freschi e di stagione. Altro elemento fondamentale la lievitazione, come dimostrano le risposte al 3° e 4° posto (una pizza a base di lievito madre vivo e una pizza con la base lungamente lievitata). Seguono con un netto distacco le opzioni che riguardano le tradizioni locali, l'abbinamento a vini o birre di qualità, la formula degustazione, il modo di servire la pizza e la croccantezza della base. Ultimo criterio di valutazione? Il prezzo, fermo attorno all'1,5% dei voti, nonostante le tante polemiche e l'attuale situazione economica poco felice. È infine interessante leggere anche i commenti lasciati liberi nella pagina del sondaggio, per non limitare il tutto a una questione di numeri e voti anonimi.
 

La passionaccia di Nicola Cavallaro

Se con Un posto a Milano lo chef Nicola Cavallaro sembra aver trovato la quadratura del cerchio tra materie prime di qualità, cibo semplice ma “pensato” e prezzi contenuti, non sembra certo fuori luogo che nel menu del ristorante ospitato nella Cascina Cuccagna figuri (pur se non in modo fisso) anche la pizza, che su questi assunti si basa per sua stessa natura. Fa più effetto, forse, pensare che Nicola aveva inserito la pizza (in due versioni) anche nel menu del suo indirizzo precedente, Nicola Cavallaro al San Cristoforo, dove proponeva una cucina decisamente più elaborata e gourmet.

E anche che è stata proprio la pizza una dei protagonisti della recente trasferta asiatica dello chef, da poco rientrato da un viaggio a Hong Kong dove per il secondo anno di seguito ha portato per due settimane la cucina italiana nel menu di due ristoranti locali. Un'avventura non certo improvvisata visto che da anni il cuoco si cimenta con grande passione con lieviti e farine. «La pizza di Nicola Cavallaro è un progetto sperimentale di pizza a lievitazione naturale, la proponiamo quando il tempo ci permette di sperimentare a Un Posto a Milano» spiega lo chef. Alla base farine artigianali selezionate, un impasto a lievitazione naturale che vede l'uso della centrifuga di mela come starter per far partire la lievitazione, e condimenti curati a base di verdure biologiche e altri ingredienti selezionati, a partire dalla mozzarella di bufala proveniente da un caseificio a Pogliano Milanese, con materia prima bergamasca e expertise casertana.

Che fa mozzarelle con latte di bufala bergamasco da un casaro casertano. Alla domanda «Come mai la pizza?». Lo chef risponde così: «Per riscoprirne la grande dignità e perché a Milano a mio parere non è eccelsa». Difficile dargli torto, e a giudicare dai risultati non resta che sperare che le sperimentazioni portino presto ad una presenza fissa della pizza nel menu di Un Posto a Milano.
 

Roma, apre i battenti Porto Fluviale

Altra apertura in vista - data prevista di apertura ufficiale il 10 dicembre – questa volta ex novo, nella Capitale: dopo lunghi lavori di ristrutturazione sta finalmente per aprire i battenti Porto Fluviale, creatura monstre a opera di Gino Cuminale e soci (che a La Pariolina e in altri locali propongono da anni pizze e pinse, antica versione della pizza che affonda le sue radici in epoca romana) e con lo zampino di Dario Laurenzi, consulente di ristorazione con all'attivo anni di esperienza e svariati successi a Roma e non solo. Grandi numeri e una proposta “democratica” sono alla base del locale che prende il nome dalla via in cui sorge e dall'antica destinazione di quest'area, porto commerciale e principale via di rifornimento della Roma imperiale.

Lo spazio enorme (circa 1.000 mq) ospiterà al suo interno un bancone per i “cicchetti”, una trattoria, un geniale spazio dalle molteplici anime da poter usare per diversi tipi di eventi basati sulla convivialità e la condivisione, (dai cooking show alle spadellate tra amici), una pizzeria da 190 coperti, che a sua volta proporrà anche fritture, carni cotte alla griglia a legna, gastronomia e pasticceria. Oltre naturalmente alle pizze. Per evitare prese di posizione o incerte vie di mezzo, la scelta è stata quella di proporre tanto la pizza romana che quella napoletana, e che ognuno scelga quella che preferisce. Dunque, impasti sempre a lievitazione naturale ma gestiti in maniera diversa (sono ancora in corso le prove per mettere a punto le versioni definitive) e soprattutto due forni diversi, uno per la napoletana e uno per la romana, per tenere le diverse temperature. Uguale l'attenzione per le materie prime, a cominciare dalle farine usate per l'impasto.

Riguardo ai condimenti, oltre alle varianti innovative e più stuzzicanti, in menu saranno sempre presenti le tre pizze “democratiche” - Marinara, Margherita e Napoli – proposte a 4,50 euro nel rispetto appunto della formula popolare e accessibile a tutti che contraddistinguerà Porto Fluviale. Grande qualità e prezzi accessibili anche per quanto riguarda le bevande, a cominciare dalla birra: dieci spine artigianali tra cui la Fluvi Ale realizzata in esclusiva dal birrificio laziale Birra del Borgo e venduta a 2 euro alla ca?a (la birra piccola alla spina della tradizione spagnola) oppure nella bottiglia serigrafata fatta ad hoc per i tavoli più grandi.
 

Igor Peresson, l'Etna in Slovenia

La buona pizza, lo abbiamo visto più volte tra i contenuti di questa newsletter, non si mangia solo in Italia. L’ennesima prova arriva dalla Slovenia di Divaca, comune a pochi chilometri dal confine di Fernetti, in provincia di Trieste: è qui che ha base la Pizzeria Etna, indirizzo Kolodvorska ulica 3A, telefono +386.(0)5.7630052. È il regno di Igor Peresson: di origini italiane (il cognome è tipico della Carnia), da soli 3 anni si è trasformato da chef a pizzaiolo.

L’ambiente è molto curato e moderno ma dispone di soli 45 posti, per cui è sempre consigliata la prenotazione, che invece è d’obbligo per una degustazione di pizze. «Mi servono almeno 24 ore per preparare la pasta», racconta, «utilizzo farine macinate a pietra del Molino Quaglia, e sono molto soddisfatto per i risultati». In effetti la fama del locale ha varcato i confini e sono sempre più numerosi gli italiani che si recano all’Etna per lasciarsi trascinate in questo viaggio incredibile e gustoso.

Come antipasto Igor porta un trancio di pizza con una tartare insuperabile, poi ne arriva uno con petto d’anatra servita su un letto di ricotta della zona. Ma la vera espressione della creatività del pizzaiolo sloveno emerge dalla Carbonara croccante (nella foto), a base di pecorino, pancetta del Carso e uovo croccante. In autunno, l’abbinamento con la birra scura: è un un gioco di affumicatura com una coscia di pollo tagliata e cucinata sulla pietra lavica, con ricotta affumicata, servita con una gelatina di birra e miele di castagno. Come pre-dessert, un sorbetto concentrato di pere William, quindi un cannolo aperto che nulla ha da invidiare a quelli siciliani. Un’esperienza da 35 euro, dall’antipasto al dolce.
Giuseppe Cordioli