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E’ vero che la crisi sta facendo strage di locali e che ne vengono chiusi più di quanti non ne vengano aperti, però non solo si dovrebbe andare a vedere chi chiude e perché (la crisi è un facile alibi per scaricare le proprie colpe, come nel dopoguerra chi non emergeva diceva che l’aveva rovinato la guerra), ma chi apre spesso ha motivazioni e idee vive e geniali, spinto a ragionare di più proprio sotto "dettatura" del momento.

Il mondo della pizza è attraversato da elettricità e ottobre sarà un mese importante. Oggi, che per poco è ancora settembre, Simone Padoan riaprirà i Tigli a San Bonifacio e dall’insegna sparirà il termine pizzeria (ma le pizze saranno sempre in carta), mentre a metà ottobre i fratelli Salvatore e Francesco Salvo inaugureranno a San Giorgio a Cremano, +39.081.275306, un locale che passa dagli 80 coperti di prima a 230. "Ci teniamo a dire che non vogliamo fare una pizzeria gourmet ma una pizzeria sulla via della qualità della tradizione". Due fratelli e non tre perché il terzo, Ciro, ora lavora alla pizzeria Massè di Corso Vittorio Emanuele III, 429 a Torre Annunziata, +39.081.536 3382.

Infine Franco Pepe ha lasciato l'Antica Osteria Pizzeria Pepe di Caiazzo in provincia di Caserta per un nuovo locale molto ambizioso, sempre a Caiazzo. Top secret, il sipario verrà alzato nelle prossime settimane.
Paolo Marchi

Testi a cura di Paolo Marchi, Luciana Squadrilli e Gabriele Zanatta
 

Oggi Padoan inaugura i suoi nuovi Tigli

Chiusa il 1° luglio la pizzeria I Tigli, oggi Simone Padoan, stesso comune, a San Bonifacio in provincia di Verona, stessa via, via Camporosolo 11, stesso numero di telefono, +39.045.6102606, aprirà il ristorante I Tigli, ristorante e non più la pizzeria anche se le pizze sono tutt’altro che sparite. Nuova formula, scandita da 4 menù, e nuovo orario, continuato per di più, dalle 12 alle 24. Si parte con il pranzo, si prosegue con la carta pomeridiana, quindi il rito della cena e infine lo spuntino di mezzanotte. Tutto questo in un ambiente con cucina a vista, vetrate sul Parco dei Tigli, da cui il nome sull’insegna, e più spazio per i tavoli visto che i coperti sono passati da una settantina a 90.

E’ una svolta nel segno del lievito madre e di un ampliamento dell’offerta. Un dato: non più solo un forno a legna, per la pizza, ma anche un secondo forno, elettrico per il pane e per ogni cosa che orbita attorno all’anima di Padoan: “Il cerchio si è chiuso”. Un cerchio che il veneto aveva iniziato a tracciare nel 1994 quando, a 24 anni, aprì i Tigli con una proposta di classiche pizze distese.

A cavallo dei due secoli la prima svolta e adesso la seconda per attualizzare il suo modo che non è più abitato esclusivamente da maestose pizze gourmet. Ora possiamo incontrare una lunga serie di proposte che verranno modulate a seconda del procedere della giornata, senza più inchiodare gli ospiti, ad esempio, a un tipo preciso di pizza, uguale per l’intera tavola. Tornano addirittura le pizze stese in una dei tre menu della cena e le materie prime saranno sempre di prima scelta, ma a volte anche povere. Conseguenza pratica: i prezzi scendono, pizze tra i 12 e il 16 euro. Poi si può sempre decollare, basta parlare, chiedere, confrontarsi. Va ammirata in Padoan la capacità di ripensare il suo mondo, di allargarne gli orizzonti senza snaturarsi, tutt’altro.
 

Dalla pizzeria a casa e ritorno

Tanti e sempre più consumatori sono interessati a conoscere la provenienza di ciò che consumano in tavola. Per una maggiore sensibilità alla relazione tra cibo e benessere della persona, per una maggiore conoscenza delle origini degli ingredienti di base, per un ritorno del desiderio di realizzare semplici ricette casalinghe, e così via.

Certo è che le generazioni più giovani hanno perso i modelli di riferimento per giudicare ciò che mangiano: le mamme dei ventenni - e anche dei trentenni - in grande misura lavoravano durante la crescita dei loro figli e, quindi, hanno dedicato poco tempo alla cucina, certamente molto meno rispetto alle nonne. La memoria del cibo nei più giovani si è formata con i sapori e i profumi dei prodotti industriali che affollano gli scaffali dei supermercati e che in larga parte sono presenti nelle dispense e nei frigoriferi di casa.

L'appiattimento del gusto sembra, però, aver fatto risorgere il desiderio di modelli di confronto di forte identità. La stagionalità degli ingredienti, la tradizione del luogo, i piatti di ricorrenza sono esempi di connotati identificativi del tutto assenti nei prodotti industriali a lunga conservazione. E da questa assenza rinasce la voglia di giocare con gli impasti per preparare in casa semplici pani, focacce, pizze e dolci. Un passatempo che si diffonde a macchia d'olio sull'onda di sempre più testate, siti web e trasmissioni televisive incentrate sul fai-da-te in cucina. Un fenomeno che a ben guardare rappresenta oggi un'opportunità di sviluppo che i pizzaioli non devono ignorare: lo abbiamo sperimentato in varie degustazioni di pizze costruite avendo in mente le aspettative di un pubblico gourmet che sempre più numeroso si sta interessando alle nuove proposte di pizza.

Quella pizza che, servita secondo schemi ben noti a quanti frequentano i corsi di Università della Pizza, diventa veicolo di cultura gastronomica e, nello stesso tempo, un' opportunità di business non trascurabile. Il pizzaiolo che oggi risponde alla richiesta di fornire ai suoi clienti un modello di alimentazione gustosa e sana, basata sugli ingredienti freschi e di stagione, che una volta si usavano in casa, aiuta a ricostruire modelli di consumo alimentare che insegneranno ai più giovani come mangiare meglio anche in e fuori casa.
Piero Gabrieli
 

Da Grigoris la pizza buona, sana e italiana

Splendida serata settimana scorsa a Chirignago, in provincia di Venezia, alla pizzeria Grigoris di RuggeroLelloRavagnan, pizzaiolo che utilizza solo farine macinate a pietra e lievito madre, oltre a tagliare San Marzano e mozzarella a mano e a prendere insomma ogni precauzione possibile per fare un prodotto «magari più costoso, ma buono e sano».

Col Ravagnan c’erano Molino Quaglia e Slow Food Veneto, due realtà corree di aver generato cultura attorno alla pizza contemporanea, alimentando il mestiere di giovani pizzaioli entusiasti, che oggi concorrono a definire una vera nouvelle vague che più, che al Sud, si infrange più di tutto sulle coste del Nord-Est. Ma dall’altra sera è emerso chiarissimo che non è il caso di imbastire faide inter-regionali tra Veneto o Campania, perché gli spicchi del vertiginoso degustazione allestito dall’alleanza Grigoris-Molino Quaglia-Slow Food combinavano non sappiamo se il meglio, ma di sicuro ingredienti di grande pregio che si possono trovare lungo tutto lo Stivale. Impasti di elasticità e consistenze spaziali, innanzitutto.

Ne avremmo mangiati a non finire («c’è tutto il chicco del grano tenero, non solo la parte bianca», rivelava durante gli assaggi Piero Gabrieli di MQ) e una sequela di topping in alcuni casi assemblati con grande beneficio d’azzardo creativo. I nostri assaggi preferiti dal menu? Due in particolare: il triangolo con sopra squacquerone di San Patrignano, misticanza di Nicola Pizzi, mortadella classica e pistacchio di Bronte (in foto). E quello con Asiago stravecchio e Monte Veronese, pizza con cui si è voluto omaggiare il Veneto.

Questo per la simpatia personale che nutriamo verso le combinazioni che spingono sull’acceleratore in fuga dal noto, oltreché dal pessimo. Ma come si faceva a dire male di quella archetipale d’esordio, con antichi pomodori di Napoli e basilico fresco? O di quella con Antichi pomodori di Napoli, bufala campana, alici masculine da magghia, marinara nel salmoriglio e pangrattato tostato Petra? Impossibile.
 

Al lezione all'Università della Pizza

Sono ripartite il 17 settembre, con il corso di due giorni del I livello (preceduto da un corso preparatorio il 12 e 13 settembre) le attività dell'Università della Pizza della Scuola del Molino, il laboratorio del Molino Quaglia dedicato alla formazione e all'aggiornamento professionale per cuochi, pizzaioli e pasticceri.

I corsi dell'Università della Pizza – la cui offerta formativa prevede una formazione sia teorica che pratica non solo per quel che riguarda impasti, farcitura e cottura della pizza, ma anche sugli aspetti economici e gestionali di una pizzeria, secondo i principi della “pizzeria dinamica” all'insegna dell'innovazione e dell'incontro tra domanda e offerta portata avanti dal Molino Quaglia – consistono infatti di un pacchetto articolato in tre livelli, con diversi gradi di approfondimento delle diverse “materie” che formano il mondo della pizza professionale, in un percorso che porta ogni allievo ad individuare il tipo di impasto e lavorazione che fa più al caso suo.

Confermati i docenti delle passate edizioni – Federica Racinelli, esperta in impasti e lievitazione; Marco Valletta, chef ed esperto in tecniche di cucina e gestione di un'attività di ristorazione; Piero Gabrieli, direttore marketing Molino Quaglia, ideatore del progetto Università della Pizza assieme a Chiara Quaglia ed esperto in gestione e marketing, e un pizzaiolo esperto (del calibro di Igor Nurra, Roberto Ghisolfi e Simone Calore) per quel che riguarda gli aspetti tecnici della pizza.

E' una bella novità invece l'idea di far terminare ogni livello di corso con una degustazione guidata ospitata nei locali della Pizzeria Dinamica all’ultimo piano del vecchio Molino, in cui un gruppo di consumatori selezionati assaggerà le pizze e i prodotti realizzati dagli allievi, in modo da avere un confronto diretto con il lavoro della pizzeria e le reazioni dei clienti. Per tenervi informati sui prossimi corsi, seguite il sito. Intanto, fino al 30 settembre sono aperte le candidature per il prossimo Pizza Up, il simposio dedicato alla pizzeria italiana contemporanea.
 

Callegari: i trapizzini scoprono l'America

Dopo il grande successo a Roma e in tutta Italia, i Trapizzini – triangoli di pasta da pizza farciti con i sughi della cucina tradizionale romanesca (ma pronti ad accogliere ogni tipo di farcia) creati da Stefano Callegari per 00100 Pizza a Roma – sbarcano nella Grande Mela.

Dal 21 settembre al 19 ottobre – dunque in concomitanza di Identità New YorkStefano sarà infatti presente alla manifestazione Mad. Sq. Eats, il mercato pop-up dedicato allo street food (si tiene due volte l'anno, in autunno e in primavera) della “rete” UrbanSpace, a cui fa capo anche il mercato londinese Camden Market, tanto per citarne uno.

Ogni giorno dalle 11 alle 21 a Madison Square – la famosa piazza a due passi dalla Fifth Avenue e dallo stesso Eataly NY - diventerà il palcoscenico per un bell'assortimento di cibo da strada d'autore proveniente da tutto il mondo. Stefano e i suoi trapizzini saranno allo stand del ristorante Broken English di Paul Pansera e Fabio Cianfaloni, soci anche dei locali romani Passaguai e Il Sorpasso, che dopo aver sposato la causa dei trapizzini a Roma hanno pensato di portarli per la prima volta anche all'estero insieme al loro creatore.

Stefano ha deciso per l'occasione di portare la vera cucina popolare italiana, da quella romana (con i grandi classici di 00100 Pizza come la coda alla vaccinara e la trippa) a quella di altre regioni, dalla caponata siciliana alla parmigiana di melanzane, senza fare concessioni alla cucina Italian American con le sue improbabili ricette tipo la chicken parmesan. Tra un macaron, una meatball e una empanadas, siamo sicuri che i Trapizzini non faranno sfigurare il made in Italy anche nello street food. Anzi, questo potrebbe essere solo l'inizio dell'avventura americana di Callegari&Co...
 

Lazzarella, Miracolo a Caserta

Tre soci (Carmine Montella, Vittorio Perrotta e Carmine Ciccozzi), due pizzaioli (Luigi Acciaio e Bruno Gerace), due cuochi (Antonello Scopelliti e Chiara Salvati) e un beer sommelier, Gilberto Acciaio. È la nutrita squadra che mette in campo Lazzarella (via Mascagni 9, +39.328.7687332) pizzeria-braceria-birreria aperta a ridosso dell'estate in una zona residenziale di Caserta, a due passi dalla grande multisala Duel.

Una bella novità nel panorama non esattamente frizzante della ristorazione casertana, che fatta esclusione per Le Colonne di Rosanna Marziale e poco altro sembra avere più fortuna al di fuori dei confini cittadini. In questo caso la formula pare azzeccata: impasto di stampo tradizionale napoletano, ma senza paura di osare qualche sperimentazione su impasti e farina (la Petra3 del Molino Quaglia, ad alta percentuale di germe di grano, che con una maturazione lenta e curata, sa dare risultati incredibili anche per la pizza napoletana, con un'alveolatura perfetta e un profumo di pane esaltato dal forno a legna), materie prime di eccellenza per i topping, scelti tra le Dop e i presidi Slow Food della regione e non solo.

Pomodori San Marzano Dop, Pomodorini del Piennolo del Vesuvio Dop, fiordilatte di Agerola, alici e tonno di Cetara, ma anche pistacchi di Bronte e radicchio trevigiano, vengono acquistati da piccoli produttori selezionati che garantiscono qualità e per cui ben volentieri si paga lo scotto della mancanza di prodotto in alcuni periodi dell'anno, vedi i buonissimi pomodorini Miracolo di San Gennaro, attualmente assenti (si attende la nuova raccolta a novembre).

Tra le pizze di punta le 5 “Dop”, tra cui la Miracolo (Margherita classica con i pomodorini Miracolo di San Gennaro), la Vesuvio (con i pomodori “pacchetella” che crescono sulle pendici del vulcano) o la Miracolo del Mare (con i già citati pomodorini, fiordilatte di Agerola e alici di Cetara). Qualche concessione creativa soprattutto nelle pizze dolci, formate da due pizze sovrapposte e farcite dentro e sopra, per esempio con spuma di torroncino o con crema pasticcera.

Poi ci sono anche le carni irlandesi alla griglia dalla lunga frollatura, i taglieri di salumi e formaggi con delle chicche tutte da scoprire, gli sfizi fritti anche a base dell'impasto della pizza come i “cicciotti”, straccetti di pasta conditi in diversi modi, o i panini sempre a base di pasta da pizza. Di “miracoloso” infine, oltre ai pomodorini, qui ci sono anche i prezzi, che nonostante le materie prime usate non si discostano dallo standard regionale, bassissimo rispetto al resto d'Italia. (Nella foto di Tommaso Esposito, Luigi Acciaio).
 

Slurp, a Ferrara da Marina e Giovanna

Il giardino delle Duchesse, creato verso la fine del Quattrocento per volere di Ercole I d’Este, è un angolo seminascosto di verde e pace nel cuore di Ferrara: il posto adatto in cui fermarsi per una breve sosta durante la visita della città. Proprio a due passi, per chi volesse rinfrancare anche il corpo oltre che lo spirito, c'è la Pizzeria Stuzzicheria Slurp di via Garibaldi 4, telefono +39.0532.1825365).

Cinque anni fa Marina Orlandi e Giovanna Baratella – amiche dai tempi della scuola alberghiera – hanno rilevato la pizzeria d'asporto che sorgeva qui e hanno avviato la loro attività, sempre più orientata al servizio ai tavoli, e soprattutto alla qualità. «Quando abbiamo deciso di metterci in proprio – racconta Marina, che per 20 anni ha fatto la pasticcera e che oggi si occupa soprattutto di impasti e cucina, mentre Giovanna sta al forno e in sala, anche se non sono ruoli fissi – abbiamo anche deciso di puntare sulla qualità, sia negli impasti sia nei condimenti; usiamo farine selezionate e ingredienti soprattutto locali, come i salumi o la zucca, ma a volte ci piace anche “unire l'Italia” per esempio accostandole i friarielli, la tipica verdura napoletana».

Nel menu della pizzeria – che propone anche le tigelle in versione mini, da accompagnamento a salumi o verdure, o maxi da farcire, le crescentine al forno e i panini con l'impasto della pizza e farciture gourmet – ci sono diverse proposte particolari, come appunto la Pizza con pere, gorgonzola e noci. L'impasto è a scelta del cliente: si va da quello al classico a quello al kamut, da quello senza lievito a quello speciale con farina Petra.

La pizza viene cotta in tegamino, un po' per esigenze logistiche, visto che il forno è lontano dalla cucina, un po' per distinguersi dalle pizze sottili e croccanti comuni da queste parti. Tutti gli impasti (diretti, ma con pochissimo lievito) maturano per almeno 3 giorni a freddo, in modo da ottenere la massima digeribilità: il risultato è una pizza alta ma estremamente leggera, croccante fuori e morbida dentro, con un bordo soffice e gustoso che difficilmente i clienti lasciano nel piatto, anche grazie all'attenta cottura al forno elettrico, che non fa rimpiangere quello a legna.

«Al momento stiamo studiando e sperimentando sugli impasti con il lievito naturale – spiega Marina – per me la pizza era un campo nuovo, è stata una scoperta e ho imparato un sacco di cose nuove, anche grazie ai corsi e agli incontri con i colleghi. Il lievito madre non è facile da gestire, ma ci sto lavorando su». (in foto, la Pizza Colorata: zucca, scamorza e friarielli)
 

Pietro Parisi e la pizza al lievito fujuto

Del ruolo fondamentale della mozzarella di bufala sulla pizza abbiamo già parlato. Ma adesso scopriamo che la mozzarella (o meglio, parte di essa) può essere utilizzata anche nella pizza, e in particolare nell'impasto. Bella “innovazione nel nome della tradizione” che segna una piccola rivoluzione nel mondo dei lievitati, messa a punto da Pietro Parisi, giovane e vulcanico chef del ristorante Era Ora di Palma Campania (+39.081.8247453, Napoli), anche pizzeria e bottega gourmet.

Invece di acqua e lievito – che sia di birra o madre – Pietro aggiunge all'impasto un blend sapientemente modulato, fatto dal liquido di filatura (l'acqua che viene utilizzata, a circa 90°C, per lavorare la mozzarella, che ne trattiene soprattutto il sapore ma, vista la temperatura, non ha flora batterica) e l'acqua di governo (o siero, quello che viene usato anche per la conservazione della mozzarella e ne conserva i batteri responsabili del processo fermentativo, oltre a essere leggermente sapido).

Alcuni litri di liquido di governo della mozzarella – che altrimenti sarebbero andati buttati nel normale utilizzo del ristorante – vengono scaldati a 38°C e poi aggiunti al resto del blend, per ottenere una buona acidificazione capace di far partire la fermentazione dell'impasto. L'idea è nata dall'abitudine di Pietro di frequentare contadini e allevatori delle sue terre, da cui impara antiche tradizioni come quella di non buttare mai via nulla, e soprattutto da “chiacchierate tra amici” come Teresa De Masi (animatrice del sito Gennarino.org), Giustino Catalano e Antonio Lucisano, direttore del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop.

Fondamentale infatti la qualità del prodotto: «in alcuni casi nelle acque di governo della mozzarella vengono utilizzati acido citrico e acido acetico per aiutare la conservazione, che possono condizionare la resa dell’impasto. Ed è anche per questo che per le acque ci affidiamo esclusivamente al Consorzio, che ne garantisce la qualità». Diversi esperimenti di lievitazione a partire dall'acqua della mozzarella erano già stati tentati, ma ci è voluto l'approccio professionale e “scientifico” di Pietro per mettere a punto il giusto impasto: «bisogna individuare la giusta proporzione tra caseine e flora batterica; inoltre una lievitazione entro le 12 ore avviene grazie alla fermentazione lattica dovuta ai batteri ancora vivi; andando oltre questo periodo di tempo si verifica una fermentazione acetica che può dare eccessiva acidità con effetti non voluti sia sul sapore che sulla digestione».

La caratteristica principale della pizza con lievito fujuto (espressione napoletana con cui si indica solitamente una ricetta “povera” in cui si ricrea l'effetto di un ingrediente pregiato, in realtà assente) è infatti la digeribilità: «l'impasto è leggerissimo, si scioglie in bocca grazie all'alveolatura omogenea e diffusa – racconta Parisi – anche nella parte centrale della pizza, nonostante sia molto sottile, la sfogliatura è visibile a occhio nudo. La pizza inoltre è molto profumata, non di lievito ma di pane appena sfornato e di latte: senti il sapore della mozzarella, anche se non c'è».