Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
Non c’è nulla da fare: quando vai all’estero, il biglietto da visita di noi italiani è la pasta. Certo, siamo i maestri dei primi piatti, in pratica la nostra è la sola cucina che li prevede, dopo l’antipasto e prima del secondo, quel main dish che nel Buon Paese è annunciato da pastasciutta piuttosto che ravioli o risotti. Però il risotto è meno immediato e all’estero fatica a farsi strada a livello di popolarità e la pizza è sì un totem assoluto, ma vive di circuiti e vite tutti suoi. E così Identità New York è stata scandita anche da più ricette e lezioni a tutta pasta, con gli americani attenti a ogni passaggio e a ogni boccone di esecuzioni firmate non solo da chef di casa nostra, vedi Cracco e Scabin, ma anche da francesi come Alain Ducasse e Sylvain Portay e da un italo-americano come Mario Batali.

E non c’è volta che non si debba spiegare cosa sia mai la cottura al dente. Dalle facce capisci che è un po’ come spiegare un miracolo: o ci credi o no. Come con il riso, gli altri popoli amano risi e paste che per noi sono scotti e scotte. Difficile far passare l’idea che la bontà e il gradimento di quel certo primo derivano non solo dal sapore del sugo, ma anche dalla consistenza della pasta e che quest’ultima è più importante dell’intingolo. Si può perdonare una salsa scarsa o mediocre, spaghetti passati di cottura mai. Solo che per tantissimi stranieri sono buoni anche così perché così sono soliti mangiarli.

Nota finale: la Pasta e Insalata di Scabin è una pietra miliare per le future estati italiane.
Paolo Marchi

Testi di Gabriele Zanatta. Foto di New York di Francesca Brambilla e Serena Serrani
 

Meyer, il Maialino e una domenica pastaiola

Maialino a New York offre una formidabile prima colazione al 2 di Lexington Avenue, che vuole dire il Gramercy Park Hotel. Perla della collana di Danny Meyer, è sostanzialmente una trattoria romana con alcune divagazioni tipo Fettuccine alla Bolognese, Trota alla piastra e Trenette più o meno al pesto. Meyer è un mostro di bravura nel capire cosa chiede il pubblico, non si ricordano locali sbagliati anche perché se uno parte e zoppica fin dal primo servizio, tempo un mese penso lo chiuda per tuffarsi in un altro progetto.

I ristoratori italiani, italiani anche nella carta di identitià, sono sul piede di guerra con quelli come lui perché hanno abbracciato la cucina italiana (Meyer, classe 1958, conosce molto bene Roma per averci studiato e lavorato come guida turistica e la nostra cucina per degli stage) adattandola al loro palato, che è poi il palato degli americani. Non solo: godono dei favori della critica – questa l’accusa – perché giornali, riviste e web sono popolati di americani esattamente come le cucine e i ristoranti. Parlano insomma la stessa lingua e si capiscono al volo.

Però è anche vero che posti come il Maialino sono autentiche macchine da guerra, decine e decine di coperti quasi a tutte le ore del giorno, grazie anche a un’offerta molto variabile e ben poco puzza sotto al naso. In genere sono tutti al servizio di chi si è accomodato a tavolo, e non viceversa.

E arrivo alla pasta. Nella carta della domenica, a parte antipasti, primi, secondi e contorni, salumi e formaggi, tutte proposte scritte in italiano con traduzione a seguire in inglese, brilla un menu degustazione pastaiolo: “Sunday Pasta Tasting”, 55 dollari, 30 in più per gli eventuali vini in abbinamento. Quattro ricette: Spaghetti al pesto di cavolo e scarola, Trenette al merluzzo, pomodoro e basilico, Tagliolini Neri con muscoli e peperoncino calabrese, infine Garganelli al ragù di coniglio e olive; per dolce la Torta della Nonna. E l’executive chef? Nick Anderer. Signori, a tavola.
 

New York, quattro autori attorno alla pasta

Per me Identità New York 3 è stata un’edizione fantastica perché ho visto quattro cuochi interpretare la pasta in maniera totalmente diversa da come siamo abituati. Ognuno figlio di orizzonti personalissimi: Mario Batali ha cucinato un raviolo perfetto per il gusto americano, con una sfoglia di un certo spessore e un ripieno di sapori strong, orientato al gusto dei locali.

All’inizio della lezione di Davide Scabin ero quasi spaventato dal suo continuo mulinare le tagliatelle. Ma nel corso della lezione ha dimostrato una grande padronanza della materia prima, sfociata in un piatto perfetto, la Pasta and salad. E poi il giorno dopo ha fatto impazzire il pubblico di Eataly con un provocatorio e attraente Mac and cheese, fusillo Monograno e crema di Grana Padano: abbiamo contato 270 persone, accorse in 40 minuti!

Ho apprezzato molto anche il piatto di Carlo Cracco, straordinario nel riproporre dei tagliolini di uovo marinato, un classico visto da una prospettiva sorprendente per il pubblico americano. E che dire della lezione di un maestro come Alain Ducasse? Vedere i nostri fusilli accompagnati a 6 salse diverse, tutte composte a mano in un vecchio mortaio, mi ha fatto tornare alla mente certe semplici insegne giapponesi, che servivano al centro del tavolo una ciotola di spaghetti e tutt’attorno 7-8 condimenti entro cui ‘pucciarli’. Un’altra idea che mi ha sempre entusiasmato.
Riccardo Felicetti
 

Mario Batali, ravioli ripieni d’Italia

Chi ha già letto la cronaca minuto per minuto sul sito di Identità Golose, avrà notato il peso specifico giocato dalla pasta sul totale commestibile complessivo della terza edizione di Identità New York, srotolatasi tra il 12 e il 14 ottobre scorsi a Eataly. Dominante. E non poteva essere altrimenti per l’alimento italiano che, più di tanti altri, all’estero conosce moti di crescita galoppante.

Mario Batali, il cuoco che ha aperto la terza edizione. O «l’uomo che vale due ministeri», per dirla con Scabin. Se non il profilo da 360mila-e-passa follower su twitter, ha scelto di giocare la sua performance proprio su quel simbolo. Imboccando al bivio secca-ripiena la seconda biforcazione, come molti cuochi italiani-e-dintorni di New York, ancora poco avvezzi a sperimentare sul fronte dry.

I bataliani Ravioli di bietole rosse e ricotta con ceci neri e aglio nero nascondevano un concept di fondo, summa del cuoco-pensiero: «L’importanza della spesa», ha debuttato in una Scuola strapiena, «perché occorre scegliere ingredienti esplosivi, che eruttino freschezza». Nello specifico: «La ricotta dev’essere fatta lastminute per davvero, come quella che troviamo qui accanto all’Union square market, che ha una grande acidità lattica. I ravioli non devono essere gommosi tipo cheesecake, come piace a noi/voi americani, ma ben cotti. E il ripieno non deve avere residui liquidi».

Più importante di tutto, «Do what I do, don't do what i say». Lasciando intendere che nella costruzione della pasta e nel successivo inglobamento del suo ripieno, è fondamentale osservare il gesto più che ascoltare le parole dell’autore. Scrutare l’insieme delle azioni del cuoco che taglia, affetta, riempie. È così che una grattugiata di Grana Padano, la rifinitura ponderata in pentola con salsa al basilico, pomodoro, aglio nero («fermentato come il kimtchi coreano») e persino la scenografica affettata di cardo sulla schiena di Scabin, tagliere improvvisato, acquistano un senso compiuto.
 

Davide Scabin: il diavolo veste pasta

Davide Scabin pasta king. C’è già, infatti, tutta un’aneddotica sul cuoco di Rivoli che la somma di capitoli basterebbe per la stesura di un libro: «Il diavolo veste pasta». New York è l’ultima chiosa del fertile rapporto Scabin-Felicetti, un modo di vedere l’alimento attraverso un filtro che non c’era.

Oddio, chi non ha mai assaggiato i Maccheroni shake? Difficile che un nostro lettore risponda «io». Facile, invece, che il pubblico americano non ne abbia mai sentito parlare. Prima del 13 ottobre, però, quando orde di ragazzi (ragazze) hanno affollato d’un tratto lo stand del pastificio di Predazzo a Eataly per ascoltare le istruzioni quadripartite di uno scatenato mister Combal: «Open it, pour it, shake the fusilli, eat it!».

Il giorno prima Scabin aveva ammaliato tutti a suon di Pasta e insalata, un piatto che dice basta «ai cuochi ordinati, guidati dall’hi-tech e dei laser: torniamo all’imprevedibilità, al piacere di non conoscere il risultato finale. Basta con le performance gastronomiche studiate: oggi voglio fare come quelli che aprono il frigo per farsi una pasta, senza avere la minima idea di quel che troveranno, nè di come verrà alla fine».

E com'è venuto? Benissimo a sentire un cuoco di Miami, astante tra gli astanti: «Non ho mai mangiato nulla di così buono». Cioè fondo di vitello concentrato col burro che scioglie lentamente. Una vinaigrette che monta con aglio «che qui in America per fortuna non ripudiate come noi italiani» e cipolla. Poi un bouquet potente di erbe: timo, maggiorana, rosmarino, aglio, salvia, spinaci. Il tutto in un’insalatiera con tagliatelle all’uovo di Felicetti, aggiunta di caviale di tartufo nero e del Grana Padano disidratato prima di salire sull'aereo. «Il vero fast food italiano», ha proclamato sornione Scabin alla fine, «un piatto di pasta che fai in 12 minuti, il tempo che occorre per costruire un disastro ma pure un capolavoro». A leggere lo sguardo psichedelico dei commensali, disastro non avremmo detto proprio.

Nota importante: chi ha perso la perfomance di New York, puoi rifarsi fino al 29 ottobre al corner Felicetti (pad. 1 E 074) del Salone del Gusto di Torino. Davide Scabin presenterà ogni giorno le sue ultime variazioni sul tema "Allarghiamo i momenti di consumo della pasta".
 

Marinare l’uovo dei tagliolini: Carlo Cracco

Nell’eterno dualismo secca-fresca c’è un tertium che di fatto è datur: la pasta che non è proprio pasta. Cioè le soluzioni che succhiano il disegno agli innumerevoli formati della tradizione italiana, senza per questo aver nulla a che spartire col grano, il farro o l’uovo ‘puro e semplice’. Pasta che non è pasta, che non ne condivide la sostanza. Piuttosto, la sua idea.

A New York il terzo sentiero è stato battuto dall’avventuriero Carlo Cracco, salito a bordo di Tagliolini di tuorlo d’uovo, un masterpiece ma solo per noi che lo conosciamo da tempo tra i confini nostrani. Quel “di” che separa “tagliolini” e “tuorlo” è notoriamente un complemento di materia, il celebre uovo marinato creato 10 anni fa e poi anche ‘quadrato’ nel libro.

«Un piatto», ha raccontato il vicentino a Eataly, «che ho cavalcato per rivoluzionare la posizione dell’uovo stesso, da allora non più elemento complementare ma trave portante di un piatto, icona della mia cucina». La marinatura è preceduta dalla separazione dell’albume dal tuorlo, e dura 7 ore tra sale grosso, zucchero e purea di fagioli.

Un cavallo di battaglia tra i più scalpitanti della cucina italiana contemporanea, quel giorno d’autunno col surplus del tartufo bianco d’Alba, che però non era quel che la gente poteva immaginare ma «una patata pregiata che abbiamo fatto disidratare» per isolare il proverbiale aroma. Un piatto di “pasta” secca, da mangiare con le mani perché privo di condimenti che imbrattano. Una pietanza che alterna ludicità a profondità di pensiero, le stimmate del nostro cuoco.
 

Il fusillo e l'habileté manuelle di Ducasse

I singoli fusilli Felicetti adagiati in 6 contenitori, ognuno con una salsa diversa, pazientemente elaborata con mortaio e pestello da Alain Ducasse e dall’executive Sylvain Portay dell’Adour al St. Regis di New York. Un micro-Mediterraneo esa-composto in salsa di olive, funghi porcini, fagioli bianchi, pomodori e sapori di Sicilia, acciughe, aceti di ciliegie. «Ah, l'habileté manuelle!», ha esclamato il Maestro a piatto finito.
 

Alessandro Dal Degan: tra il fresco e il freddo

Il piatto in foto è costruito attorno all’intramontabile idea dello spaghetto freddo e proviene dritto da La Tana di Asiago (Vicenza). Lasciamo al cuoco Alessandro Dal Degan la genesi dell’idea e la sua realizzazione: «Il piano iniziale», racconta, «era quello di preparare un piatto di pasta fresco ed estivo, tipicamente mediterraneo.

In realtà gli intenti sono variati dal fresco direttamente sul freddo. Così nasce uno spaghettino sottilissimo, cottura molto veloce e raffreddamento istantaneo. Lo condiamo con dell'olio di menta, basilico e zenzero e poi ancora con pomodori dattero battuti a coltello. A dare grinta, una polvere di capperi essiccati, qualche oliva taggiasca, del parmigiano in scaglie e in crema. A finire, un'emulsione ghiacciata di acqua, olio e acciughe». Ogni boccone, un gusto differente.
 

Rotondo e la rivincita del pesce scappato

L’Insalata di paccheri e astice di Michele Rotondo della Masseria Petrino a Palagianello (Taranto). Il piatto nobilita una tradizione poverissima del basso Ionio, la Pasta col pesce scappato pugliese: chi non poteva permettersi il pesce, cucinava la pasta con un sasso di mare rivestito di alghe dentro l'acqua di cottura, per conferire un'idea di ittico. Rotondo ha riprodotto lo stratagemma, solo che a cottura avvenuta ha aggiunto un ingrediente di sangue blu, dell'astice crudo tagliato a lamelle, aromatizzato con maggiorana, timo e scorzetta di limone in infusione a 30°C. Sublime semplicità. (foto di Antonio Vasile)
 

RICETTA/ I Marshmallows di Gilmozzi

I Marshmallows di pasta di Alessandro Gilmozzi, un brillante snack dolce firmato dal cuoco d’El Molin di Cavalese (Trento), Alessandro Gilmozzi.

Ricetta per 6 persone

per la pasta
500 g pennoni Felicetti
100 g miele d’acacia per ogni litro d’acqua
olio di arachidi qb

Cucinare la pasta per 25 minuti, e poi seccarla in forno a 50°C per 5ore. Raffreddare e friggere in olio di arachidi. Asciugare dall’olio e farcire.

per i marshmallows
500 g zucchero
3,5 dl acqua
30 g glucosio liquido
30 g colla di pesce (ammollare in acqua fredda)
2 albumi montati a neve
Zucchero a velo
Maizena (in alternativa, polvere di more essiccate)
Farina di spaghetto di farro candito……….per l’aroma del mars mellowos

Procedimento
In un pentolino, sciogliere lo zucchero con il glucosio e l’acqua portare il tutto a 120°C. Aggiungere la gelatina con l’aiuto di una frusta elettrica o planetaria incorporare gli albumi montati, finché non risulta una meringa collosa. Aggiungere l’aroma. Farcire i pennoni.