Wine Tip

Signature Kitchen Suite

Gentile {NOMEUTENTE}
La prima giornata del Trento Film Festival di montagna, edizione numero 60, mi ha permesso di cenare una volta ancora da Alfio Ghezzi alla Locanda Margon in località Ravina, divisa dal capoluogo dal corso dell’Adige. “La suggestione Bollicine” è un menù degustazione pensato per esalare al massimo le nobili bollicine Ferrari: Ferrari Perlé 2006 con il Salmerino alpino: relitto glaciale; il Ferrari Riserva Lunelli 2004 con il Canaderlo di fregula e l’Altrimetria di un’insalata…

E’ bello trovare degli chef che, con intelligenza, riescono ad andare oltre il mero abbinamenti cibo-vino e sanno compenetrare a fondo ogni aspetto, quello del mangiare e quello del bere.
Paolo Marchi
 

Sara Orlando, sommelière di rango

C’è più di un motivo per andare a mettere le gambe sotto a un tavolo del Piccolo Principe di Viareggio. Il primo è ben visibile oltre il vetro della cucina a vista: questo incornicia la stazza di Giuseppe Mancino, un cuoco che stropiccia con furore campano gli ingredienti del Tirreno, quello settentrionale che ondeggia oltre le finestre e quello meridionale dei suoi natali.

Di qua della vetrata si aggira tra i tavoli Sara Michela Orlando, il secondo motivo, certo più grazioso. Trentasei anni, piemontese di Arona, sa interpretare il mestiere della sommellerie come di rado capita di osservare: consigli al bicchiere poco canonici, mai una parola di superbia e un’inclinazione spiccata al non-solo-vino. La passione è germogliata accanto al cuoco Fabio Barbaglini del Caffè Groppi di Trecate, all’epoca un bel nido di creatività. Dopo la Laurea in Storia Medioevale, con una tesi sulla coltivazione dell’uva nel Medioevo, Sara è pronta per il grande passo: la chiama Villa Crespi sul Lago D’Orta, «Quasi 5 anni di grande fervore», racconta Orlando, «eravamo tutti impegnati a inseguire la seconda stella». E' qui che ruba il mestiere ad Alessandro Giardiello: «Ho imparato da lui la cordialità nell’approccio al cliente. E ad ascoltare i produttori. Una volta rimasi stregata dalle mani di Marziano Abbona. Se ne era tornato dalla Borgogna con delle barbatelle di Viognier: le aveva piantate a Dogliani. Quel sogno ora si chiama Cinerino ed è un Viognier in purezza, figlio di una passione sfrenata. Sono le storie che piacciono a me, come quella dell'Associazione Vignaioli di Pinot Nero dell'Appennino Toscano, appena nata».

Con Giardiello trasferito a New York, è toccato a lei sovrintendere la sommellerie a Orta San Giulio: «Un compito non semplice, con la cantina che valeva 350mila euro». Ma non basta perché Sara sente di avere delle lacune alla voce vini francesi. Le colmerà presto in fretta al Waterside Inn, il più importante ristorante di cucina classica francese in Inghilterra: «Per loro era normale aprire uno Château d'Yquem a fine pasto. Ricordo ancora oggi una verticale completa dal 1975 al ’98. Da brividi. Ho imparato tantissimo dai Roux: mi facevano studiare, mi interrogavano di continuo». È così che l’allieva approda da maestra nel 2009 a Viareggio: «Qui posso gestire la composizione della cantina come fosse la mia personale. Cerco l’equilibrio perfetto tra vini semplici e complessi. Che siano comunque sempre espressioni del territorio di personalità». Come Nicole, il Sangiovese biodinamico imbottigliato a San Miniato da Cosimo Maria Masini, il Breg di Gravner o il Prosecco passito (!) di Merotto che hanno scandito il ritmo alcolico al nostro pasto. «Ci tengo che a tavola il cliente stia bene, ma in modo particolare». Magari anche col tè o le birre artigianali, le altre passionacce di Sara.
Gabriele Zanatta
 

Loos, Winenews e i 600 vitigni d'Italia

Una decina di giorni fa Alessandro Regoli ha lanciato nel suo sito, Winenews, una storia che mi è piaciuta molto tanto da riprenderla integralmente. E’ la storia di Michael Loos, un americano che ha colorato il suo camper dello stesso colore del Barolo e con esso attraverserà il Buon Paese in lungo e in largo “per riscoprire, far conoscere e salvaguardare i 600 vitigni autoctoni d’Italia”. L’idea ha un nome, 20 Mondi, uno per ogni regione tricolore.

“L’Italia, oltre allo straordinario patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, vanta un eccezionale tesoro viticolo, fatto di 600 vitigni autoctoni divisi tra le 20 Regioni, molti dei quali in pericolo di estinzione. Un patrimonio da difendere, ma prima di tutto da riscoprire, come ha pensato un americano, Michael Loos, arrivato a Firenze 23 anni fa dall’Ohio, con un’idea originale, ambiziosa e un po’ avventurosa: fare il giro d’Italia, Regione per Regione, a bordo di un camper color Barolo (che farà da laboratorio e redazione mobile), raccontando in tempo reale le straordinari peculiarità del vino italiano. Il progetto si chiama “20 Mondi”, perché ogni Regione è come un mondo a se stante, con la propria storia, le proprie tradizioni, le proprie peculiarità, che Michael documenterà e racconterà online.

‘Dal vino - racconta Michael - ho sempre pensato che il modo migliore per conoscere un posto sia bere un buon bicchiere di vino con la gente del luogo. Accende la conversazione. Faccio domande sul loro vino e la storia inizia... Mi raccontano della loro terra e del clima, delle tradizioni e degli usi. Imparo qualche parola del loro dialetto, apprezzo il cibo e mi danno le loro ricette, scopro anche la loro acqua. L’Italia ha un numero pro capita tra i più elevati al mondo di sorgenti naturali, ognuna esprime un gusto unico, riflette la terra come il vino. La gente parla facilmente quando beve un bicchiere. O due. Durante i miei viaggi, ho capito che un bicchiere di vino fatto in un posto è in grado di rivelare l’unicità di quel luogo. Ma poche persone riescono a sperimentarlo. L’Italia ha un tesoro immenso di oltre 600 vitigni autoctoni, ma il 90% dei vini fatti con queste uve raramente escono dalla loro regione. La mia idea è di renderli famosi perché credo che i vitigni autoctoni siano la chiave per cogliere l’anima segreta e autentica di questo Paese’.

La salvaguardia di questo immenso tesoro è la missione primaria di 20 Mondi, prima di tutto creando consapevolezza, necessaria per preservare le tradizioni regionali di chi fa il vino: molte di queste uve autoctone sono a rischio di sopravvivenza, possono scomparire senza che nessuno se ne accorga, 20 Mondi vuol diventare la loro voce, far parlare i piccoli artigiani del vino, di chi ancora lavora la terra e custodisce le tradizioni da generazioni e generazioni, per trasmettere storie di passione, ostinazione e resistenza alla standardizzazione del gusto. Storie come quella dell’Invernenga, che fra un po’ non ci sarà più: si tratta di una vecchia vite, che ha 500 anni e si staglia contro un antico castello nel centro di Brescia, forse il più grande vigneto urbano del mondo. Che potrebbe essere presto sacrificato per far posto a un centro commerciale con parcheggio, peccato che in tutto il mondo quel vitigno esista unicamente lì. E di storie come quella dell’Invernenga ne è piena l’Italia, per questo Michael Loos si prende l’impegno di documentarle e condividerle, insieme a tante storie di successo, sul sito blog".
 

The Cube, i JRE e i vini di Balan

Da un settimana ha chiuso a Milano un ristorante che ha avuto pochi mesi di vita, perché letteralmente programmato come un sogno lungo poco più di una stagione, un intero inverno e il successivo inizio di primavera. Si tratta del Cube issato da Electrolux sul tetto della Galleria Vittorio Emanuele, palazzo delle assicurazioni Generali con ingresso da una delle vie più squallide e sporche dell’intera città, via Ugo Foscolo, guardando la galleria da Piazza Duomo sulla destra.

Il meglio sul tetto, una sorta di astronave in cristallo altezza guglie, e poi più avanti perché la struttura sarà tutta rifatta a nuovo. Per circa quattro mesi, in quel cubo si sono alternati chef dei JRE, uno ogni due settimane. Doppio appuntamento per me, prima Emanuele Scarello degli Amici a Godia (Udine) e poi Alessandro Breda del Gellius a Oderzo (Treviso).
Ricordo con piacere l’atmosfera, i piatti e i vini, tutti offerti da Fabio Balan, veneto, produttore e importatore.

In occasione della cena preparata da Breda, tra aperitivo e tutti seduti, sono stati serviti Valdobbiadene Prosecco Superiore Magnum Balan; Champagne Grand Cru 2000 Louis Dubosquet; Champagne Grande Cuvée Alain Thiénot 1999 Magnum e Klin 2004 Magnum Primosic. Al momento del risotto: Vecchio Grion 2007 Balan (50% Merlot, 45% Cabernet Sauvignon, 5% Cabernet Franc dal vigneto che circonda l'azienda), poi Barolo Visette 1997 Magnum di Ghisolfi; Vino Nobile Riserva Bossona 1997 Magnum – Dei; Anfiteatro 1997 Magnum - Vecchie Terre di Montefili e Brunello Riserva 1997 - Tenuta Il Poggione. Nel finale Passito di Pantelleria 2007 – Abraxas; Grappa di Amarone di Quintarelli – Schiavo; Cognac - Lafontaine de La Pouyade. Questo rientra in quello che io intendo per bere bene e godersi la serata senza perdere tempo in pensieri pesanti e pallosi.
 

Alessandro Job e i bio-vini di Villa Job

È interessante la storia di Villa Job (niente inglesismi, in friulano si legge “iob”), la cantina vinicola situata all’interno della dimora cinquecentesca Savorgnan nei terreni pianeggianti di Zugliano di Pozzuolo del Friuli, a pochi chilometri da Udine, e a raccontarcela è Alessandro Job, titolare trentenne che si divide tra Udine e Milano. “Quattro anni fa ho voluto cambiare la filosofia di produzione dell’azienda, conservando la produzione biologica che è stata applicata fin dal 1985, anno in cui mio nonno ha dato inizio all’attività di Villa Job: basta quantità, è importante evidenziare le potenzialità del vino e con queste far innamorare e appassionare le persone” spiega Alessandro.

Da sempre i filari dei loro vigneti vengono coltivati senza sostanze chimiche, senza pesticidi o fertilizzanti di sintesi, “e siamo molto contenti della scelta fatta già in tempi non sospetti” prosegue. È così che dalla vendemmia effettuata esclusivamente a mano si ottengono cinque diversi vini: il Chenti (che in dialetto friulano significa “del posto”, un blend di Merlot, Refosco e Cabernet), il Risic blanc (il “vitigno bianco” composto dall’80% di Sauvignon e dal 20% di Chardonnay) realizzato per un 15% con il metodo soleras, il Pinot Grigio, il Friulano, il Merlot.

Villa Job è stata inoltre una delle 100 aziende selezionate da Helmut Köcher per far parte del Milano FOOD&WINE Festival 2012, evento dedicato agli appassionati del vino e del cibo di qualità che ha accompagnato l’ottava edizione di Identità Milano. In questa occasione, Villa Job ha portato in degustazione il suo Risic Blanc 2010 (foto) e il Pinot Grigio 2010.
Giulia Corradetti
 

Mezzo secolo di Cantine Lungarotti

Festeggiano 50 anni di vita le Cantine Lungarotti, uno dei simboli (anzi “il simbolo”) dell’Umbria vitivinicola. Una storia nata con il genio e la lungimiranza del fondatore Giorgio, proseguita tutta la femminile con la sapienza della moglie Maria Grazia e l’instancabile vivacità e intelligenza delle figlie Teresa e Chiara. Oggi una visita a Torgiano non è solo una tappa per gourmet ed enoturisti (oltre al Museo del Vino, anche quello dell’Olio, il Relais e il ristorante Tre Vaselle), ma un vero e proprio tuffo nell’arte, nella emozionalità e nel sapere.

Lungarotti e Rubesco s’identificano a vicenda, ma a Torgiano i 250 ettari di vigne dell’azienda esprimono un mondo più variegato di quanto si sospetti. Ecco perché, per una volta, insieme a Chiara Lungarotti ho deciso di degustare ben “oltre” il Monticchio, il cru di Rubesco universalmente più famoso. Iniziamo con il Torre di Giano 2011, da uve Vermentino (40%), Trebbiano (35%) e Grechetto (25%): pulizia estrema nei profumi, con nuance di banana e pera in evidenza. Bocca sapida e piacevole, un eccellente vino soprattutto per il rapporto qualità/prezzo.

Passiamo di livello, ma non di qualità, con il Torre di Giano Vigna al Pino 2009, in cui il Trebbiano domina al 70% e il Grechetto è al 30%: vino che si esprime in evoluzione, grasso e opulento, ma che sfodera anche aromi di erbe officinali interessanti. In bocca particolare l’aroma di ciliegia. Chiudiamo la serie dei bianchi con l’Aurente 2008 (Chardonnay al 90% e Grechetto al 10%): un bianco di grande struttura con un perfetto bilanciamento sapido/acido. Ecco i rossi, con il Rubesco 2008 (Sangiovese 70% e Canajolo 30%) che ci ha colpito per l’estrema bevibilità e complessità degli aromi, che virano dal frutto al balsamico. Un grande esempio di vino, come ovviamente il Rubesco Riserva Vigna Monticchio 2006 che rappresenta l’eccellenza in tutti sensi, è risaputo: eleganza, potenza, equilibrio tannico, che volere di più? Chiusura per il San Giorgio (uve Cabernet Sauvignon al 50%, Sangiovese 40% e Canajolo 10%), taglio olfattivo internazionale per il vino dedicato al fondatore.
Bruno Petronilli
 

Fazio e I Carpini: degustazioni parallele

La prima occasione d’incontro è stata l’ultima edizione del Vinitaly: lì si sono conosciuti Paolo Carlo Ghislandi (Cascina I Carpini) e Maurizio Fazio (Fazio Wines), entrambi appassionati vignaioli, il primo sui colli Tortonesi, l’altro a Erice, in Sicilia. Sempre lì, insieme al blogger Federico Malgarini, è nata l’idea di una degustazione amichevolmente comparativa: a ospitarla è stato Paolo Carlo nella sua cantina, splendidamente posizionata sul colle di Pozzol Groppo, all’incrocio tra quattro regioni: Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Liguria.

La sorridente sfida enologica è stata la scusa perfetta per assaggiare vini accomunati da una grande conoscenza e rispetto per il terreno e da una curiosità che porta a sperimentare nuove idee. Così come quella della Carpini di spumantizzare per primi il Timorasso, nobile e sempre più apprezzato vitigno a bacca bianca, autoctono della provincia di Alessandria. Il Chiaror sul Masso nasce così da una sfida, vinta grazie a una vendemmia in due tempi e al metodo Martinotti lungo. E’ un vino particolare che sa riproporre nelle bollicine la mineralità tipica del vitigno, che si ritrova poi in maniera evidente nel più classico Timorasso Brezza D’Estate.

Un’altra idea piacevolmente sorprendente è stata quella della cantina Fazio di portare un noto vitigno di origini nordiche come il Müller Thurgau nel clima fresco e ventilato della Sicilia occidentale, producendo un vino molto equilibrato, armonico e intenso.

In questo incontro tra Fazio e I Carpini non sono ovviamente mancati i rossi, affascinanti soprattutto quelli legati alla tradizione del territorio, come il Pietra Sacra di Fazio, Nero D’Avola proveniente dai migliori cru della Doc Erice e il Bruma D’Autunno, Barbera in purezza di grande complessità.
Niccolò Vecchia
 

Volta Mantovana e i vini da meditazione

Da domani, sabato 28 aprile, al 1 maggio il meraviglioso Palazzo Gonzaga di Volta Mantovana ospiterà la decima edizione della Mostra Nazionale dei vini passiti e da meditazione puntando su concetti evocativi tra arte e storia. Oltre agli assaggi ci sarà una mostra dedicata agli “Incisori Veronesi” e un’altra di pittura Estemporanea il cui ricavato sarà utilizzato per il restauro della Cappella barocca del Palazzo.

Un tuffo nel tempo per rivivere attraverso i banchi d’assaggio 100 etichette nazionali ed estere in abbinamento a cioccolato, formaggi e mostarde rigorosamente italiane. Un percorso “meditativo” molto singola all’interno di questo antico Palazzo dove i produttori racconteranno i propri vini nella galleria che congiunge i Giardini alla Scuderia, un percorso sotterraneo di rara bellezza. I vini si potranno anche acquistare ed è previsto un interessante calendario di degustazioni guidate dove si evidenzieranno le provenienze dei vini con focus sui vitigni, annate storiche che raccontano l’unicità di tutte le etichette selezionate.

Ogni anno viene ospitato un paese straniero con il proprio vino e quest’anno si mediterà con il Sud Africa ma ci saranno EisWein, Sauternes e Porto. Solo da domenica 29 a martedì 1 maggio sarà possibile pranzare nel Parco con un cestino da pic nic molto originale: un kit mantovano, studiato per un abbinamento perfetto con questi vini, con all’interno i prodotti agroalimentari degli espositori partecipanti all’evento. Costo del cestino: 15 euro per due pasti. Imperdibile e prenotabile attraverso il sito www.vinipassiti.com.
cb
 

Hennesy: il cognac sposa il tè Theodor

Da Cognac, la storica storica Hennessy con Monsieur Fillioux, maestro assemblatore della Maison, lanciano un’idea singolare, anche in Italia, per degustare Fine de Cognac attraverso quattro cocktail abbinando il cognac al tè. Le note vegetali del Cognac risponderebbero a quelle erbacee del tè mentre le note speziate di quest’ultimo accenderebbero le note floreali delle acqueviti.

Ecco l’incontro con Guillaume Leleu, giovane creatore parigino della azienda di tè Theodor, e la creazione di quattro miscele individuando una ricetta a stagione. Per l’Autunno si utilizza il tè “Je ne sais quoi”, un tè verde cinese con una nota di vaniglia, la ricetta d’inverno (unico cocktail replicabile nella versione calda o fredda) è con il tè “Earl Grey Royal”, tè neri indiani e cinesi di grande fattura con piacevoli sentori di bergamotto e gusto di limone. Per la primavera ecco protagonista il tè “On va se revoir”, sempre un tè verde cinese con una nota erbacea e un evidente gusto di menta fresca e pepe di Madagascar per aprire le papille gustative. La ricetta dell’Estate è freschezza pura con il tè “Peche mignon”, un tè verde Sencha un po’ amaro, molto floreale e fruttato con note di pesca di vigna, melone e una punta di fragola esaltata dal tocco del frutto della passione che accentua il sapore esotico di questo cocktail.

Le ricette sono presentate in inediti infusori firmati dal designer Lehanneur, dei veri oggetti d’arte per collezionisti, oltre a bicchieri particolari dove potrete degustare nei prossimi mesi questi inediti cocktails. Non perdete le degustazioni presso i bar degli hotels Four Season di Milano e Firenze, a Venezia presso il Molino Stucky Hilton, a Porto Ercole presso Il Pellicano e al Capri Palace di Capri. Una degustazione delicata e indimenticabile.
Cinzia Benzi
 

Slawka e Il Vino in Italia on tour

Raccontare il vino come se si trattasse di un viaggio, è questo l’approccio con cui Slawka G. Scarso ha scritto Il vino in Italia, regione per regione guida narrata al turismo del vino, edito da Castelvecchi (368 pagine, 16,90 euro). Bando ai tecnicismi e alle lunghe descrizioni dei vini, dopo Il vino a Roma, sempre per i tipi di Castelvecchi, Slawka (pronuncia "Suafca") ci racconta un centinaio di produttori italiani, scelti soprattutto tra aziende a conduzione familiare, soffermandosi sulle loro storie e gli incontri fatti in cantina, in un percorso che nel 2011 l’ha portata dalle pergole del Prié Blanc in Valle d’Aosta, agli alberelli di Primitivo in Puglia. Tra queste pagine trovano spazio produttori storici ma anche altri meno conosciuti, in una sorta di romanzo del vino che non cede alla tentazione di parlare sempre e solo dei soliti noti, dando voce a chi il vino lo vive ogni giorno.

Una raccolta di racconti di viaggio, appunto, con digressioni on the road che sembrano prese direttamente da una moleskine, come annotate negli spostamenti da una cantina all’altra – magari perdendosi in mezzo alle campagne senza nessuno a cui chiedere indicazioni. E dopo i viaggi fatti per raccogliere le storie nel libro, Slawka è ora di nuovo in giro per lo stivale a presentare questo suo lavoro, da Roma a Torino, dal Friuli alla Campania. Tra le prossime serate, quella in programma domenica 13 maggio alle ore 18 da Alberto e Cristina Fiorini, nella nuova cantina della Torre dei Nanni, in via Puglie 4 a Savignano sul Panaro (Modena), telefono +39.059.386028, nell’ambito della manifestazione Vino e Dintorni. Una chiacchierata assieme anche alla sottoscritta, seguita da aperitivo e degustazione dei vini dell’azienda.
Laura Franchini