Newsletter 346 del 25.06.2011
 
 
Gentile
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  Buffo: due società mi hanno invitato, stessa città, stesso posto, ma due eventi distinti, la prima come blogger e la seconda come giornalista. L’obiettivo che le muove è lo stesso: ottenere della pubblicità per certi loro prodotti. E’ giusto che le liste degli esperti siano aggiornate con la blogosfera. Chi ignora internet, purtroppo tanti in Italia a iniziare dal nostro governo che riserva al suo sviluppo le briciole, ricorda quelli che non volevano le auto perché affezionati al loro cavallo o davano per certo il fallimento del cinema sonoro perché milioni di persone gradivano quello muto (ma solo perché non esistevano alternative). Certo che prima cresce la qualità media generale e meglio sarà per tutti. Piacciano o non piacciano i giornali, non mancano i filtri da superare prima che un articolo arrivi in pagina. Nel web no, il primo citrullo che accende il computer può mettere in circolo le sciocchezze più colossali, e i danni a seguire? C’è chi vuole abolire l’Ordine dei Giornalisti e io stesso inizierei ad abolire certi colleghi, però sarebbe il caso di istituire anche l’Albo dei blogger per scartare la crusca. La buona informazione non è mai abbastanza.
Quanto al sito di Identità Golose, in queste giornate si è arricchito di molti nuovi servizi a iniziare da quello che Fiorenza Auriemma ha dedicato al ristorante di Frédéric e Rika Bau. E poi l’olio raccontato da Luciana Squadrilli e quello raccontato da Simone Tondo nonché il colpo di fulmine di Mitzvka Kambayashi per una certa sushi pasticceria di Milano, il Basara. Infine Giovanna Sartor e la Wacky Wine Weekend, uno strambo modo per passare il fine-settimana in Sud Africa. Bevendo ottimi vini.
Paolo Marchi
"Oggi si confonde la notorietà, che si guadagna con un'apparizione in tivù, con la reputazione che si costruisce, invece, attraverso azioni giuste e concrete", Giulio Giustiniani

 
     
     
     
     
 
Il manzo all'olio 2011 della Dispensa di Fusari
 
     
 
Spero il 1° luglio di non avere nulla da fare la sera per potere tornare in Franciacorta, a Torbiato di Adro, e ordinare uno dei piatti più buoni gustato quest’anno, lo Sfizio d’estate: manzo all’olio 2011, un omaggio di Vittorio Fusari al tema, Odissea nello sfizio, dell’ultima Festa a Vico.
Lo chef della Dispensa pani e vini, telefono 030.7450757, ha stravolto il classicissimo, per chi vive a Rovato e dintorni bresciani, Manzo all’olio che, tra l’altro, propose, nella sua classicità, diversi anni fa al Mejor de la Gastronomia, ricetta che i baschi non conoscevano e così ritenuta creativa.
Innovativa è quella che ho potuto gustare in anteprima e che alla Dispensa debutterà il 1° luglio con la carta estiva. Il manzo è cotto un’ora, sottovuoto e a bassa temperatura, il bianco invece è lo spumoso matrimonio tra patate e limoni mentre il verde è una sorta di bagnetto di prezzemolo con note di acciughe (e una alice trionfa sulla vetta al centro). Sorpresina: quella “polpetta” carnosa e rosea, al centro di in un insieme che ricorda tanto un giocare con pomodoro, burrata e basilico, racchiude una polenta, altra tipicità assoluta del Bresciano.
Non mancherà chi si offenderà perché il Manzo all’olio, quello “vero”, è completamente diverso ma questo è ottimo e perfetto per coccolarsi al tramonto.
 
     
     
     
     
 
Sette milioni di nuovi consumatori di birra
 
     
 
La notizia di sette milioni di nuovi consumatori di birra in Italia nel solo 2011 sarebbe clamorosa se non fosse affiancata da quella relativa alla leggera flessione del numero di bevitori quotidiani (mentre è boom tra quelli occasionali). Dunque: la vendita di bionde, scure o ambrate cresce di poco in termini assoluti, si andrà probabilmente a pareggiare i dati pre-crisi – che si è infatti sentita anche nel mondo del luppolo & affini – con circa 28,5 litri pro capite. Ma l’aumento della popolarità della bevanda è un trend costante da tempo, ormai vanta numeri importanti anche in un Paese di Bacco come il nostro (non suoni come un’offesa): 36 milioni di appassionati (+ 7 milioni, si diceva) e addirittura l’oscar di alcolico preferito dagli italiani maggiorenni “under 44”, dominus in particolare dei pasti fuori casa, dove è ormai l'alternativa più leggera e meno alcolica al vino.
Sono tutti dati emersi durante la presentazione della ricerca annuale Ispo/AssoBirra, presente il curatore Renato Mannheimer. «Semplice, ma non semplicistica, bella ma non snob o pretenziosa. Per gli italiani la birra è easy, un piacere che si offre al gusto senza complicazione - ha commentato il sondaggista - È come i jeans, democratica. E, quindi, unica e insostituibile. Lo è soprattutto per le generazione dei 30-40enni, che l'hanno eletta a loro bevanda preferita, mentre il vino è il prescelto dagli over 45». Solo da quella fascia anagrafica in poi, in effetti, il vino riafferma con decisione il suo primato di gradimento, con un gap crescente, nei confronti della birra, che sale con l'aumentare dell'età. Dati confermati da una recente ricerca Vinitaly/Confcommercio, da cui emergeva che il consumatore abituale di vino ha mediamente più di 50 anni.
Per il resto, invece, non c’è che da registrare il favorevole trend birroso. A trainare il quale sono i consumatori sporadici (+40%) e quelli abituali (+20%), ma anche un consumo sempre più al femminile: 16 milioni le bevitrici, pari al 62,7% delle italiane maggiorenni.
La riduzione della forbice tra birra e vino è evidente infine se si analizza l'andamento dell'ultimo decennio. Otto anni fa non c'era storia: per ogni italiano che al ristorante ordinava una birra, ce ne erano due che bevevano vino. Oggi, invece, la situazione si è equilibrata, con - addirittura - un leggero vantaggio per la bionda. Del resto, sono ormai più di 300 i ristoranti forniti di carta delle birre, per non parlare delle pizzerie, dove l'accoppiata “pizza & birra” è una bandiera del gusto low cost da oltre 30 anni.
Carlo Passera
 
     
     
     
     
 
Premio Moretti Grand Cru: arrivano le ricette
 
     
 
“Un’amatriciana o una pasta e fagioli? No, forse un baccalà… o meglio, sì sì meglio questo…”. Pare già di sentirli i pensieri dei nostri giovani chef under 35, che sfogliano il loro ricettario personale alla ricerca di uno spunto vincente. L’obiettivo è arrivare alla finale del Premio Birra Moretti Grand Cru. Molti di loro riescono a dedicarvi solo i momenti di pausa dal lavoro in ristorante per testare l’abbinamento con la birra, altri invece avevano già nel cassetto un’idea. Ma per tutti, la sfida è stata lanciata il 25 maggio e le prime ricette sono cominciate ad arrivare da tutta Italia.
L’entusiasmo lo si percepisce già dalle foto dei piatti, ma è condiviso anche dalla giuria che, il 14 novembre alla Città del Gusto di Roma, decreterà il vincitore. Tra tutti Emanuele Scarello, chef patron de Agli Amici e Presidente dei JRE, che non nasconde di aver aderito all’iniziativa credendo fermamente che questa occasione sia un modo per i giovani di trovare il proprio spazio nel mondo dell’enogastronomia. Se avesse avuto la stessa chance tempo fa, vi avrebbe partecipato perché questo concorso è un momento di crescita personale, non solo professionale. Un giovane chef deve sapersi mettere in discussione e ha quasi il dovere di uscire dall’ambiente protetto della sua cucina per dare prova di ciò che sa fare e del talento che lo caratterizza.
Per questo l’essere nominato membro della giuria non è stato altro che una conferma di quanto già pensava. Quindi, il suo suggerimento è di lasciare a casa ogni timidezza e incertezza, ma di gettarsi nella mischia perché c’è bisogno di nuovi talenti che sfondino il muro dell’anonimato e portino nuova linfa alla ristorazione italiana.
Tocca a voi, cari giovani chef, attivarvi per inviare la prima ricetta, la rivisitazione di una delle ricette della tradizione indicate nel regolamento in chiave “birrosa” e dare così al grande pubblico l’opportunità di conoscere il vostro talento.
Claudia Orlandi
 
     
     
     
     
 
A Milano cresce una nuova Erba brusca
 
     
 
Tira aria nuova sull’Alzaia Naviglio Pavese, laggiù in fondo al civico 286, dove Milano è ancora città ma dove i giardini e gli orti lungo la strada fanno subito respirare un clima diverso, più fresco e meno caotico. Proprio qui, da nemmeno due settimane fa, è stato inaugurato l'Erba Brusca, telefono +39.02.87380711, un locale che già nel nome, erba brusca ovvero acetosella in milanese, ma soprattutto nel sottotitolo, racchiude il significato e la sua filosofia: “orto con cucina”. L’orto c’è, eccome, e lo si può ben vedere e apprezzare comodamente seduti al tavolo, sotto la tettoia di un piacevolissimo dehors esterno, dove si può cenare di fronte a vasche piene di erbe aromatiche, insalate pronte da tagliare e mangiare, zucchine e altre verdure che sbandierano un fiero spirito total green.
Chi sono gli artefici di questo “mangiar e rilassarsi nel verde”? L’Erba Brusca non è altro che la costola del Ratanà, il ristorante guidato dallo chef Cesare Battisti e dal maître e sommelier Danilo Ingannamorte in via De Castillia, altra oasi nel grigiore. La direzione culinaria sui Navigli è affidata alla giovane Alice Delcourt, cuoca franco-statunitense dai trascorsi lavorativi milanesi (tra tutti al ristorante Alice di Viviana Varese in via Adige) che ha strettamente collaborato con Cesare al Ratanà fino a prendere le redini della cucina dell’Erba Brusca e disegnare un percorso caratterizzato prima di tutto dalle verdure dell’orto, ma anche da carne e pesce (quest’ultimo non solo di acqua dolce come invece in via De Castillia) e di materie prime di piccoli produttori e artigiani. E non dimentichiamo la carta dei vini: non troppe etichette ma ben selezionate, di produttori biodinamici.
Giulia Corradetti
 
     
     
     
     
 
Corsini e gli Spiriti Bollenti della Cucina italiana
 
     
 
Raethia Corsini è una giornalista che, nata a Milano, ora vive e lavora a Roma, suo il blog Zippora. Nel risvolto di copertina della fatica appena uscita per Guido Tommasi, di sé dice che “ascoltare e raccontare storie è ciò che le piace fare, meglio se davanti a cibo di qualità e a un buon bicchiere di vino”. Poi una precisazione, importante: “Con questo libro ha realizzato entrambi di desideri”. E sarebbe sorprendente il contrario perché in Spiriti Bollenti ritroviamo i “ritratti terrestri di 21 chef stellati, illustrati da Gianluca Biscalchin”.
E i cuochi (tutti gli chef un giorno sono stati cuochi) con cui Raethia ha parlato e, soprattutto, ascoltato possono essere Niko Romito e Gli Iaccarino, Valeria Piccini e Agata Parisella, Pino Cuttaia e i fratelli Alajmo, in un gioco in cui ognuno avrebbe potuto aggiungere o togliere questo o quello, ma che difficilmente poteva essere scritto meglio e in maniera così calda e coinvolgente. Cosa rara di questi tempi, l’autrice non è mossa da protagonismo piuttosto che voglia di sputtanare, non si veste di lattice per stupire alla cena del lunedì sera e ancor ameno fa ruotare attorno a sé i protagonisti che sono gli intervistati.
Mi piace segnalare alcune note a pagina 7. La prima: “I racconti sono frutto di interviste riportate fedelmente nei contenuti e liberamente nella forma”. Sono del parere che tanti dovrebbero almeno offrire un caffè a quei giornalisti che hanno battuto per anni il marciapiede perdendo tempo a mettere in italiano i loro astrusi monosillabi, lo si può facilmente capire ora che dominano i blog e la tivù. La seconda: “La scelta dei protagonisti è stata fatta secondo il libero arbitrio dell’autrice, rispettando un unico parametro: l’internazionalità degli chef, che li rende ambasciatori di cultura italiana nel mondo, e che fino a oggi è istituzionalmente decretata solo dalle stelle Michelin”. Tutto vero, peccato che in Italia pochi lo colgano.
Ringrazio infine Raethia per quanto ha scritto a pagina 241. Leggere che Giancarlo Perbellini a Identità “si sentiva nei suoi panni, al centro della storia della gastronomia” mi fa solo stra-piacere perché anche a Milano, come a Londra e New York, i protagonisti sono i cuochi.
 
     
     
     
     
 
Troppi cuochi nella cucina di Nero Wolfe
 
     
 
Nove euro spesi benissimo per l’Oscar Mondadori dedicato a uno dei gialli migliori di sempre, che ha uno splendido titolo nell’originale e meno efficace nella traduzione perché Alta società non fa pensare ai personaggi che ruotano attorno all’omicidio ma al censo della società che servivano notte e giorno.
Nel 1938, Rex Stout scrisse infatti Too Many Cooks, Troppi chef, troppi perché il suo protagonista, il detective Nero Wolf, tanto sedentario quanto goloso, sperando di ottenere la leggendaria e segretissima ricetta delle Salsicce mezzanotte, si era deciso a salire su un certo treno per raggiungere il West Virginia e lì assistere a un convegno riservato ai quindici migliori cuochi della sua epoca. Ovviamente ci scappa il morto, antipaticissimo, cosa che però non giustifica la coltellata mortale. Davvero un’ottima (ri)lettura per l’estate appena iniziata.
 
     
     
     
     
 
La S.Pellegrino Cooking Cup oggi colora Venezia
 
     
 

Oggi per tanti appassionati di vela e di cucina è il sabato della S. Pellegrino Cooking Cup nella Laguna di Venezia, tanti equipaggi italiani e undici internazionali per l’edizione numero 11, onde e virate, piatti e bocconi. La S.Pellegrino Cooking Cup non è solo una regata originale che prevede uno chef a bordo ma è un evento gastronomico di portata internazionale dal momento che coinvolge professionisti in arrivo da diversi Paesi del mondo. L’appeal di questo evento unico, organizzato da S.Pellegrino in collaborazione con La Compagnia della Vela, è cresciuto nel tempo. Quest’anno circa 40 le imbarcazioni iscritte con, “gara nella gara”, la Inside the Cooking, le gesta dei velisti di Australia, Belgio, Cina, Germania, Israele, Italia, Russia, Sud Africa, Svezia, Olanda ed Emirati Arabi.
Il trofeo Inside the Cooking sarà assegnato all’equipaggio che avrà ottenuto il miglior punteggio tra prestazione velica e prestazione gastronomica mentre il premio Young Chef of the Year, giunto alla terza edizione, sarà assegnato al cuoco che avrà proposto la ricetta in assoluto migliore in relazione agli standard verificati dalla Giuria composta quest'anno da 11 personaggi e professionisti della cucina internazionale: dall’Austria Karl Obauer di Obauer (** Michelin) ; dalla Francia Inaki Aizpitarte di Chateaubriand (nono nel S.Pellegrino 50 Best); da Hong Kong Chris Keung di Bo Innovation (vincitore del Young Chef of the Year 2010); dall’Italia Massimo Bottura (quarto nel S.Pellegrino 50 Best e ** Michelin); Carlo Cracco (33° S.Pellegrino 50 Best e ** Michelin) e Andrea Sinigaglia di ALMA; dalla Russia Andrey Makov del Caffè Pushkin (93° S.Pellegrino 50 Best 2010); dal Sud Africa David Higgs di Rust en Vrede (61° S.Pellegrino 50 Best); dalla Spagna Elena Arzak di Arzak (8° S.Pellegrino 50 Best e *** Michelin); infine dalla Svizzera Martin Dalsass del Sant’Abbondio (* Michelin). Quanto ai baby-chef, per l’Italia sarà in regata Marianna Vitale di Sud a Quarto vicino Napoli.
 
     
     
     
     
 
Ecco la ricetta dell'arancino ripieno di cous cous
 
     
 
In una precedente newsletter, la 344 spedita a inizio di giugno, aveva raccontato di Giuseppe Costa e della sua affermazione alle selezioni per il Cous Cous Fest di settembre a San Vito lo Capo nel Trapanese, successo ottenuto grazie a un Arancino di cous cous ripieno, con succo di pomodoro e fiori d’ulivo di cui riportavo gli ingredienti, ma non il procedimento.
Ora colmo la lacuna, rispondendo così alle richieste di alcuni lettori: “PER IL COUS-COUS : portare a bollore il brodo di pesce e appena raggiuntolo, aggiungere la semola e fare cuocere per circa 5 minuti fuori dal fuoco.
Unire il resto degli ingredienti e mantecare per far poi riposare in frigo per circa 5 ore.
PER IL RIPIENO : preparare con le verdure un fondo da fare dorare, su una pentola di rame, per circa 10 minuti a fuoco lento. Appena pronto, aggiungere tutti i tipi di pesce elencati, precedentemente puliti e tagliati a quadratini, ricordandosi di sgusciare le vongole. Per finire, incorporare della salsa pomodoro e aggiustare con sale e pepe.
PER LA PANATURA bisogna unire tutti gli ingredienti sopra elencati e
PER LA PASTELLA tutti gli ingredienti e passare il composto in un colino per evitare i grumi. PER IL SUCCO DI POMODORO, frullare con l’aiuto di un minipimer il tutto fino a quando non si ottiene un composto omogeneo.
COMPOSIZIONE: stendere sul palmo della mano il cous-cous e posizionare il ragù di pesce al centro per poi chiudere e formare una sfera con le mani. Passare l’arancino prima nella pastella e successivamente nella panatura per poi immergere in friggitrice per 5 minuti a una temperatura dell’olio di circa 175 gradi. Disporre in un piatto il succo di pomodoro sopra l’arancino fritto e per finire dei fiori d’ulivo”.
Per ogni chiarimento telefonare a Costa allo 091.8682285, risponde Il Bavaglino.
 
     
     
     
     
 
Nuvole di drago e granelli di cous cous by Kumalè
 
     
 
Nella vita è Vittorio Castellani, torinese, nel mondo della ristorazione etnica tutti lo conoscono però come Chef Kumalè, pseudonimo che suona molto Africa Nera e che invece fa il verso al dialetto piemontese. Sia come sia, il suo ultimo libro, Nuvole di drago e granelli di cous cous per Vallardi, è una carellata di “ricette facili di un gastronomade senza frontiere, un viaggio alla scoperta di nuovi sapori in 5 continenti e 32 paesi per un totale di 200 ricette per dare un tocco esotico alla propria cucina”.
Ora che in qualche modo noi italiani festeggiamo i 150 anni dell’unità nazionale, ricorrenza che tanti altri popoli avrebbero onorato con maggiore serietà, ma qui l’Italietta è in perenne agguato, questo ricettario cade a fagiolo perché ci ricorda come non solo non abbiamo un’autentica cucina nazionale, ma che tanto ci arriva da fuori, da lontano. Chi teme i piatti etnici teme quasi sempre i popoli che li hanno elaborati e diffida del nuovo perché il Guacamole messicano e lo Tzatziki greco, il Taboulé libanese (ma anche francese) e il Ceviche peruviano sono delle signore preparazioni.
Pensando alla ricetta dell’Arancino di Giuseppe Costa, nel libro di Kumalè Castellani compaiono tre versioni di cous cous: di carne e verdure, dolce con frutta secca e come insalata fredda di/e verdure.
 
     
     
     
     
 
Premiato Ardito, chef diviso tra Trentino e Puglia
 
     
 
Avevo gustato con piacere i piatti di Pierluca Ardito la scorsa estate alla Tenuta Monacelle alla Selva di Fasano, tra Bari e Brindisi. Trentaduenne, adesso si divide tra il resort pugliese, lui pugliese di Noicattaro, e, mille chilometri più a nord, il Maso Franch in Val di Cembra sopra Lavis in Trentino, ex ristorante stellato in cerca di rilancio.
Ardito è stato appena premiato a Milano come chef dell’anno perché “esprime al meglio, attraverso i suoi piatti, la cultura gastronomica italiana” da parte di Solidus, i “Professionisti dell’ospitalità italiana, associazione che raggruppa le 8 associazioni professionali più importanti del mondo dell’ospitalità e dell’accoglienza italiana, costituito per dare visibilità e forza politica all’intero mondo del turismo italiano”, realtà a cui è facile consigliare di investire qualcosa anche nel sito web, troppo elementare e scarno per destare l’attenzione che l’argomento merita.