Monograno Felicetti

Gentile {NOMEUTENTE}
si vive di certezze, ma sono le novità quelle che emozionano con la loro carica di nuovo e ci spingono sempre più in avanti, in un’eterna ricerca di nuovi limiti, nuovi successi che alla lunga maturano fino a diventare tradizioni per essere a loro volta messi un discussione. Pensavo a questo eterno movimento, sempre contestato da chi ha paura di idee ignote, tutte da verificare, durante le lezioni e i momenti conviviali di Identità London. Ci pensavo ascoltando a Londra Heinz Beck e Gennaro Esposito così come Davide Scabin che mi ha rimandato a un lustro fa, a Corrado Assenza con i suoi Spaghetti al miele all’esordio milanese di Identità Golose. Li ascoltavo ammirato perché, come mi è poi capitato di commentare con una collega, è affascinante trovare chi sa affrontare l’universo della pasta con occhi e menti diversi, chi attingendo in un campo qualsiasi trova risposte che spiazzano.
È vero che la tradizione a tavola rassicura, ma tutto si muove anche quanto crediamo sia fermo perché nel piatto ha fattezze note. Ma dietro? Quali sentieri segue quel certo cuoco per arrivare a una Pasta al pomodoro dai contenuti geniali? E la pasta-pizza di Scabin? E l’al dente di Esposito? Se anche la tradizione fosse uguale a se stessa, perché escono migliaia di ricettari? Perché si susseguono i congressi e le lezioni di cucina? Perché quando hai imparato ad andare in bici è così per tutta la vita mentre a tavola i nostri gusti cambiano?
Paolo Marchi

Testi di Gabriele Zanatta
 

Davide Scabin, un uragano sulla pasta

Chi ha letto la newsletter con la cronaca del secondo giorno di Identità London , sa già. Per quelli che no, riassumiamo: l’Atelier de Chefs di Soho ha ospitato una serata che verrà ricordata a lungo, un non-luogo in cui Davide Scabin del Combal Zero di Rivoli si è cimentato in una serie di interpretazioni sui Monograno Felicetti che dilatano i confini della pasta per come li abbiamo avvistati finora. Uno sfoggio illuminato di come la pasta possa serenamente imporsi non come stanco veicolo di un sugo, ma come motore principe di portate mai viste, esegesi che perfezionano d’estro il classico.

Il dettame scabin-felicettiano ha dato scacco alle convenzioni attraverso nove mosse, che elenchiamo per intero: Chips di pasta con conchiglie nature e pringles alla cipolla e semi di peperoncino; assaggi di Check salad, ovvero pasta coi 5 condimenti principe della cucina italiana (spaghetti al pomodoro, penne al burro e salvia, chiocciole alla carbonara, eliche aglio olio peperoncino e spaghetto caviale e cipollina); 3 Sushi di conchiglioni di pasta con ricciola e foie gras, salmone e wasabi e tonno con glassa di sugo con carne; ancora tre Conchiglioni di seafood con riccio e nori di aglio prezzemolo e peperoncino, ostrica lemongrass olio e pepe; seppa e nero di seppia e Macedonia Cinque Spezie: conchiglia con con cannella, rigatini e noce moscata, penne ritorte e curry, linguine e anice stellato, chiocciole cumino e bisque di gambero.

Dopo la virata, le ultime quattro diavolerie: Spaghetti Pizza Margherita con pomodorini glassati in forno e acciuga e straccetto di burrata, olio verde, salsa inglese di burrata, olio e peperoncino. Ancora, una cerimonia del tè in tutto personale, con linguine cotte nel tè e verdure e ditalini con brodo di katsuobushi e soia essiccata. Il Raviolo Shake, classico scabiniano, aveva dentro invece le conchiglie Felicetti (con bagna caoda e peperoni, nella foto la versione dall’alto di Alessandro Castiglioni), il Soufflè era un finto dolce perché gonfiato con pasta di rigatoni scotti e col ragù di carne accanto e le Tagliatelle pomodoro e arancio (con miele d’edera, scorza d’arancio, semi di pomodoro, succo d’arancio e Cointreau) in chiusura un primo dolcissimo. Di che riscrivere la letteratura del nostro sapere pastaiolo.
 

Giusto, passivo e stracotto: gli estremi di Napoli

Quanti luoghi comuni attorno alla pasta. La stessa definizione di “pronta cottura” è variabile a seconda delle latitudini (da qui la famosa battuta di Ducasse: «non sapete mettervi d’accordo nemmeno sui tempi di cottura della pasta») e dunque multiforme. Ma non per uno come Gennaro Esposito della Torre del Saracino di Vico Equense, Napoli, che sul palco di Identità London ha provato a circoscriverne la definizione: «è l’istante preciso in cui scompare la sottile striscia di bianco all'interno della pasta. E questa può variare a seconda della trafilatura, del formato e del tipo di grano utilizzato». Una sentenza. Che naturalmente non impedisce ad altri cuochi di giocare creativamente sui tempi di cottura perché a questo mondo, direbbe Platone, non c’è un solo oggetto identico a un altro, nemmeno l’oggetto rispetto a esso stesso.

È sempre a Napoli e dintorni che troviamo esperimenti interessanti. Andrea Aprea, giovane cuoco del Comandante del Romeo Hotel di Napoli, da buon ex allievo di Elio Sironi di Milano, è un estimatore della cottura passiva (per il significato e il dibattito, leggi qui e qui), non per ossequio o stravaganza creativa ma per ragioni storico-economiche: «un tempo, dalle nostre parti, portare a ebollizione l’acqua e quindi a cottura la pasta, aveva un costo troppo alto. Quindi si spegneva il fuoco e si lasciava cuocere la pasta nell’acqua che intiepidiva». Un’altra ragione per spegner prima il fuoco è che «in acqua bollente una pasta come il pacchero un tempo, ma ancora adesso, si sfalda facilmente». Il suo mezzo pacchero, in effetti, giammai si romperà nel bollitore perché la ricetta prevede che il guazzetto di pesci di scoglio, i carciofi e la lattuga di mare stiano tutti dentro al ditale di pasta.

E la foto (di Gabriele Zanatta)? È stata scattata a Sant’Agata sui Due Golfi: è uno spaghetto soffiato. Cioè: stracotto nel bollitore per mezzora, disidratato e fritto a 180°C. Il cuoco Ernesto Iaccarino poi lo tira su e lo schiaffa come contorno accanto alle favolose carni del Don Alfonso. Questo per assicurare che persino la stracottura può avere un succulento perché.
(si ringrazia Cinzia Piatti)
 

Pasta fredda e non: nel pentolone di Andrea Berton

È un bel mangiare in questi giorni a pranzo al Trussardi alla Scala: Andrea Berton rinfresca con un piatto unico quadripartito che, nel rettangolo della pasta, lascia spesso spazio alla pasta fredda. Anzi, più tiepida che fredda perché viene appena immersa in acqua e ghiaccio, un pelo prima del tempo limite riservato alla cottura standard. Un’opzione che giunge molto lieta d’estate, specie ora che la caldazza incombe (finalmente) su Milano.
Una prima ricetta (di tante, visto che la carta della colazione - dicono quelli à la page - cambia ogni giorno) prevede Rigatoni freddi con olio alle acciughe, verdure croccanti e gazpacho di pomodoro. Una seconda: Trenette all’orzo con sugo mediterraneo: acciughe, capperi, olive, briciole croccanti di pane e sfoglie di baccalà. Come dire, un lembo di spiaggia in piazza Scala.

Non che poi la sera al Trussardi si navighi male nel mare dei primi di pasta “calda”: prendi il Conchiglione di pasta ripiena con zuppa di pesce della foto (di Gabriele Zanatta): la zuppa prima riempie il conchiglione, poi diventa un magma di mare che scivola dal cratere di un conchiglione singolo, generando un continuum col lago nero di seppia alla base. Un escamotage inedito e divertente. Ma Berton gli spaghi se li fa anche in casa: vedi il disco di Spaghetti alla chitarra con alici marinate, alghe, pesto di basilico e croccante di pane per legare. La multi-consistenza di addendi leggeri scivola in bocca tenue. E il fatto che la pasta sia calda e il condimento piuttosto denso non fa impennare il colonnino della temperatura corporea.
 

Pasta calda, condimento freddo: la variante Sultano

Diciamolo subito: Ciccio Sultano del Duomo di Ragusa Ibla, il cuoco bistellato più a sud d’Europa (e più nord dell’Africa) sulla pasta fredda non ci ha sviluppato una malattia: «tecnicamente, la consistenza tattile e gustativa di uno spaghetto o di una penna fredda per me non hanno grande valore: l’amido sembra quasi svanire e la pasta più fredda è, peggio è». Di contro, hanno grande valore gli sbalzi termici che arrivano al palato dai piatti di pasta calda col condimento, quello sì, freddo: «penso a quando esci dal mare e ti pappi una pasta appena scolata con insalata di tonno freddo, con succo di limone olio e prezzemolo. O al bicchiere di ricci freddi che sbatti sopra alla pasta appena cotta e saltata in aglio olio peperoncino, prezzemolo succo e buccia di limone».

Il massimo della goduria da contrasto termico arriva invece dall’evoluzione della Pasta con carote e pesce azzurro in foto, presentata al congresso milanese di Identità Golose anni fa: oggi sono Spaghetti impastati con il succo di carota “taratatatà”, salsa di origini moresche ed etimo onomatopeico (sarebbe lo sferragliare di spade degli arabi in lotta coi normanni). Il procedimento dallo stesso Sultano: «Impastati gli spaghetti con succo di carota e semolino, si mettono a cuocere e si posano su una base fredda di erbe limoncine, aglio olio e peperoncino. A nappare lo spaghetto sopra, la salsa fredda taratatatà a base di bottarga, cannella, succo di limone, succo d’arancio, pochissimo zucchero e aceto e del pan grattato. Sopra ancora, chiudiamo con un paio di acciughe fresche». Mai mescolare i tre livelli prima dell’assaggio: così la stratificazione freddo-caldo-freddo arriva indistinta in questa sequenza al palato.
 

Felicetti e il grano duro dalla selezione al pastificio

Dopo khorasan/kamut e farro, eccoci a illustrare il terzo elemento della trinità Felicetti: il grano duro. La genesi del cereale affonda le radici nella notte dei tempi: chi dice 4mila, chi 100mila anni. Culla: la Mesopotamia, quella “mezzaluna fertile” su cui tutti abbiamo sbadigliato almeno una volta davanti al sussidiario. «Il grano duro», racconta Riccardo Felicetti, «ha una tenacia (=la capacità di trattenere all’interno gli amidi dopo i processi di impasto e di estrusione) che non si trova in nessun altro cereale». Per questo motivo, è usato quasi solo unicamente per fare la pasta: «Ne esistono di diverse specie varietali. Quella che abbiamo selezionato noi si chiama matt ed è parte della famiglia americana dei desert durum (in foto): come indice di glutine, profumo, sapore e colore ha proprietà insuperabili. Col nostro mugnaio, abbiamo deciso di piantarla in Puglia e in Sicilia, le zone italiane più vocate per quel tipo di coltura».

Non rimane che chiudere degnamente la filiera di produzione in pastificio: «mio cugino Paolo cerca di trasformare il cereale in pasta individuando i parametri di produzione più consoni e importanti: temperature dell’acqua, livelli d’impasto, diagrammi di essiccazione. E assieme al mugnaio definiamo il grado di essiccazione più indicato per ottenere una corretta disidratazione del prodotto». I formati di pasta che ne derivano: penne ritorte, fusilli, spaghetti, conchiglioni e rigatini. Ma sono allo studio altri formati ad alta valenza gastronomica.
 

La ricetta: gli Spaghetti di Baiocco e la cottura a ritroso

Spaghetti freddi alla chitarra, zuppa di pomodori datterini e caviale di Calvisano di Stefano Baiocco, cuoco di Villa Feltrinelli a Gargnano, sponda bresciana del lago di Garda. Da notare la tecnica del raffreddamento degli spaghetti, ancora lungi dall’essere cotti, in una sorta di “percorso a ritroso nella cottura”.

Ingredienti per 4 persone
320 g di spaghetti alla chitarra
40 g di caviale Calvisius

per la zuppa di pomodoro:
400 g di pomodori datterini,
40 g di peperoni rossi,
30 g di sedano verde,
30 g di cipolla,
30 g di cetrioli,
½ mazetto di basilico,
50 g di ghiaccio pilè,
8 g di zenzero fresco grattugiato,
15 g di olio extra-vergine d’oliva,
sale e pepe bianco,
olio allo zenzero e lemongrass (ottenuto da infusione di 100 g d’olio di semi, 50 g di zenzero e 50 g di lemongrass),
fiori ed erbe aromatiche (Baiocco utilizza basilico, prezzemolo, origano, maggiorana, fiori di tagete, lobelia, borragine e zest di lime).

Procedimento
Tagliare tutti gli ingredienti della zuppa in piccole parti e lasciarli marinare per almeno 12 ore in frigorifero. Il giorno seguente, passarli in un passaverdura e quindi con un colino a maglia fine. Riservare in frigo.
Cuocere gli spaghetti per 11 minuti in acqua salata. Trascorso il tempo, fermare la cottura della pasta (non ancora cotta, dunque) e immergere gli spaghetti in un contenitore con acqua ghiacciata, olio di oliva e poco sale. Scolare la pasta e mantecarla con olio di zenzero e lemongrass. Versare sul fondo di un piatto 3 cucchiai di zuppa di pomodoro, adagiare sopra gli spaghetti, guarnire con le erbe aromatiche e un cucchiaio abbondante di caviale.
 

Le Mezze maniche al ragù di Enrico Crippa

Le Mezze maniche al ragù di Enrico Crippa del Piazza Duomo di Alba (Cn), “847 chilometri da Napoli”, piatto presentato a Identità Golose 2010 (foto Brambilla/Serrani).